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«Al primo vederla sentii in me ch'io l'amava d'amor veritiero; mai aveo avuta in visione simil madonna di virtudi piena». E sì favellando faceasi alto su' mettipiedi, e con la man maestra toccaasi la parte dove amor cova, e lo su' volto avea espression diversa al su' costum di pria. E poi in favellar riprese mentre messer Antonello col su' messo sorrider l'andaa osservando.
«Messere, io disconosco chi essa sia; forse una orrevol madonna, o forse un di quelle che allo torno stanno alle madonne di gran casate. Ma che importa questo? Sia ella orrevol o figlia di ignoranti, lo mi' core molto ha vision di lei che sembrami abbiasi in più li battiti, laonde 'l dimenticare mai abbiavisi a prender dimora».
«Ben favellate, messer Brando – disse Antonello; – potess'io dar vista alli miei occhi simil madonna; onor n'avrei, dato ch'essa luogo ha preso nello vostro core».
Messer Brando rossore mise in sul su' volto, e dando piego ad esso disse: «Messere, amo tanto essa, e mai pria d'ora aveo sentito amore».
…Puosegli la mano in sulla crine e continuò: «Può darsi che amore sia».
Brando sospiro trassesi dal dentro, e premuto ch'ebbesi 'l giustacuore in quella parte dove l'uom mette cagione del bene e del male, rispose 'n piano: «Messere, i' mai l'avea sentito».
Messer Antonello nell'udir ciò, tocco dette al sito del su' destriero, e 'n risata di beltà piena e com'era di su' costume, misesi al trotto. «Non vi facea sì tanto pulzello, ma piacemi assa' molto 'l favellar vostro di timidezza pieno». Poi quasi a strappo tirò le tirette e fermossi. E Brando che 'l seguia al dietro trassesi 'n diparte a tempo per non aver acciampo, ed accortosi che messer Antonello più non ridea e a serio erasi messo 'l volto, avvicinossi alquanto e dimandogli cosa che tolto le avea 'l buon umore. Questi guardollo fisso fisso, e 'n risposta favellò: «Credo sia amore, ma non ridete com'io volli far di voi, lagrimate e ve ne sarò grato». Poi ancora: «Oh, messer Brando, quante cose se 'n stan chiuse nell'anima mia!». E trassesi sospiro.
E come a volte l'anima dell'uomo pien di travagli geme nel ricordar cose che gioia dettero e che male fecero, l'astro della vita cedea al basso in languor morente quasi a ricordar vision d'altri tempi; e in quello dì omai volgente a fine s'udia distinto 'l volazzar d'animaletti di tante specie; poi venne 'l vento ch'alquanto fece trellio nelle foglie; e poi ancora un augello fecesi udir fischiando a bel mo' da un prugnolo selvatico. Messer Antonello tolsesi 'l ciapetto forza facendo al mettipiedi di maestra.
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«Brando mio, quanto ebbesi soffrire lo mi' core!»; ed abbassava 'l volto di mestore pieno. Eppoi ancora: «Perché noi non fuggiam a Rocca d'Olivo, che dicesi sì bella e forte castella di visioni da dipintore?». La portiera di fondo alzossi di nuovo, e monna Lisa cenno facea di favellar 'n sommesso puortandosi 'l dito a mo' di chiuso sulla bocca.
Brando andava passandogli la su' forte mano in su' capelli ch'eran belli assai: «Madonna amata mia, quel che vo' dite è pien di sogno, e vorrei che fosse 'n vero laonde gioir puotesse la vita nostra, ma questo ora non sembrami 'n sicuro; i dì passeran lesti, e voi che preghiera avrete accetta, pensierate ver la stella che fa giorno da mattina a sera laonde 'l su' camminar più 'n fretta divienga».
Ella si facea più appresso collo volto al suo, e collo su' pensier dicea: «Brando mio!».
Questi favellò ancor dicendo: «Ancora vale messer Grinta de' Certosi, e 'l pensierar che dimani li suoi calzari calpesteran qui dentro, fammi tristezza assai nel mi' dentro; e non avrà temor come 'l mio l'esser quivi; esso dicesi puotente perché 'l su' zio vescovo falli da spaliera, ma pagherammi prezzo caro simil soffrire».
Madonna Grazia l'andaaa mirando per lo volto e batter non facea lo occhio onde mirar 'n più puotessesi le impression di lui, e 'n piano, quasi a giurar, dicea: «Mai avrammi sua; Brando mio, pria d'esser tale, l'alto spalto che mai viddi avrà vision di me».
Queste sue parole di affezion piene tuoccarono nel dentro a Brando che favellò: «Mai farete questo, o madonna; 'l mi' braccio è sempre forte, e vale molto, e 'l difender l'amore vostro dammi sentor di vittoria». E puosatole la su' maschia bocca in sulla sua baciolla alquanto con amore puro.
E Chiappo e lo Zoppo ch'eran rimasti fuora ficcavan li occhi nelli vicini dintorni, e con spezial cura alzaan macchiole per scerner meglio.
«Lo tempo passa» favellò uno.
«Buio è da chioccoli e nottoli – favellò l'altro – e 'l nostro messer ritarda. Ah, cane da moria, come piacerebbemi che Bucacciòlo delli malefichi Ardinghelli vienisse ad imparar 'l nostro posto!»; e misesi la mano in sullo stocco.
«Favella 'n piano» disse l'altro.
«Taci, Zoppo dannato, pien di rosari da neri; è quel che voglio io. Io non addimentico 'l graffio che fecemi nell'ultimo battagliare».
«Ben ti vedrei, Chiappo mio, far fronte a quello che dicon stocco di valentia».
«Taci, Zoppo nero, e non mentovar quello in valentia; stocco da neri, vale pecora». E ritreciando li denti, Chiappo guardossi al dietro e continuò nel favellare: «'l nostro messer ritarda; non vorrei che succeder doesse quel che non dee; vien meco, Zoppo del diavolo, ritornar su li nostri passi a noi convien; 'l nostro messere non starassi certo ancora 'n tardia». E fu nel ritornar su quelli passi che lo Zoppo, dato 'l buio, non vidde bene, e acciampando colli calzari…
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«Per lo mi' messere i' mi batto, pulzello mio».
E l'altro ancora: «E di qual sciagurata casata è egli?».
Chiappo come l'era di su' costume perse quella che 'n senno tiene le genti, e treciato ch'ebbesi li denti, balzo fece in su quello, che ben che stevasene in sulla guardia, non aspettavasi simil destrezza, e bene avvicchiollo da spezzarle le coste sì che costui died'in urlo iroso e doloroso; ma quella faceasi più forte, e non volendo Chiappo finirlo dato che 'l su' messere avealo proibito per tal uopo, fu così che resiando li santi 'l disse: «Taci, pulzello mio, e se questo non piacciati farò giuntoia delle tu' coste».
Ma quello forse non udendo 'l su' dire, o forse fusse lo su' intento 'l far trambusto a ciò che gli altri udendolo fusserosi in su' aiuto, dette in vociare nomando più d'un de' suoi, e lo Zoppo che muto steva ne' prugnoli…
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E 'n su' correre appoggiossi allo portale ben battendo le su' gentili mani onde dischiuder si puotesse libera rendendola da sì brutta visione, ma messer Grinta le fu alquanto appresso e traendola ver sé con sì forza forte andaa'l dicendogli: «Molto misimi voglia di baciar le bellezze vostre, e 'l dilire lo mio amore resìa sarebbe allo Dio». E sì favellando li suoi occhi faceansi quasi come a dir chiusi, ed essa 'l miraa assai con quelli fatti al grande in cui lettiera aveavi preso 'l terrore.
Cosa sperar dee l'augello nelle villose mani del falconiere?
«Vi voglio, madonna» andaa favellando con far volioso, e la su' scarna mano e di color non vero tratta diede sì virulenta alla su' fine veste che nuda le rese la bellezza ch'avea per seno. Fu a quella che madonna Grazia presa da sì bella vision di Brando, con modo fatto vivo dallo pensierar per quello, pintollo alquanto e morselo a fondo nella vile mano che nello suo seno toccava cose sue. Ma ben essendosi la su' anima nudrita di cielo, la su' bocca non puoteva trar favella laonde dire offesa a quello scellerato.
«Ah! così madonna, ricambiate 'l mi' amore» favellò molto irato messer Grinta dando guardo alla su' mano; e roso dallo furore che sovente pone li uomini in brutte peste, stea per strappar tutta la su' fine veste, ma fu allora che 'l portale apriendosi mise 'n presenza l'orrevole messer Ardinghelli: misesi a bracce al dietro e molto mirando madonna Grazia, favellò: «A po' domani li sponsali».
Poi lo su' sguardo cercò quello di messer Grinta, e favellò ancora: «Volete voi, messer Grinta de' Certosi porre la nobil vostra firma allo tergo di quella carta?».
Questi aggiustossi 'l giustacuore e 'l rispose: «È mio dovere, messere orrevole».
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Ma Chiappo miselo alle strette dando ancor tirata sì che quello lamento fece che venia dal dolore.
«Favella» disse ancora Brando; ma quello cheto stettesene ancora. «Ah, sì?! – favellò forte Brando; – sembrami che la favella in via ti sia ita, ma Chiappo daratti aiuto nel ricoparla».
E quello ch'avea nomato, di subito capito, dette quasi strappo a quella che a mano tenea, sì che quello truovossi in sopra al basso, e tenendolo ben così, dissegli: «Favella al mio messere se così non piacciati restare».
Ma quel diavolo in appeso urlaa dal dolore apriendo la bossa a tanti modi che dolor toglie. Brando misesi a reggibracce, e ben battendo 'l piede maestro, da quello attendea.
«Favellami – urlò Brando – se voler non vuoi che le tu' bracce ti si spicchino dallo corpo; favellami, e ben ti farai accorto che Chiappo più di core diverrà. Favellami, perché volei darmi morte? Eppure mai li occhi miei ti viddero e nulla feceti; favella!» urlaa Brando.
E quello nel gemire del dolore disse: «Misericordia, messere!».
«E ben, favellerai?» chiesegli Brando.
«Sì, messere» disse 'n risposta.
Allor Chiappo treciando li denti dette allento, e quando quel diavolo fece atto di riportar le bracce al basso fece ancor lamento, essendogli quelle portate al di fuori da qualche attacco che la natura mette.
«Allor favellami ben dicendo, perché volei darmi morte?» chiese Brando seggendosi su uno deschetto.
Quello girò li occhi al qua e al là, ma quelli volti essendo messi brutti al buono fecerogli tremendo tocco, sì che di subito disse: «Fu per lo volere di uno potente, messere, e molto a me l'ubbidir convenìa».
«E chi è questo che tu nomi potente?» Brando chiese. E li altri miserosi 'n attento mentre quello, dando peso allo volto, dette risposta.
«Messere, è 'l vescovo di Volterra».
Brando nell’udir simil detto alzossi dallo deschetto e, presa facendo colle su' forte mani alla strozza di quello, favellò vociando: «Tu sei un cane che semina moria!… Favellami di lui, laonde 'l mi' odio di spegnersi non cessi». E dandole pintata buttollo a contro Chiappo che a sua volta resiando e ritreciando li denti stea per colpirlo a man rovescia. Ma Brando di nuovo le era sopra, e benissimo veder si potea che 'l poveretto assa' male l'era capitato in quelle mani, sì che quello ben credette che fosse l'ultimo tempo di sua vita.
«Misericordia, buon messere, misericordia per lo Dio» dicea nella strozza di Brando.
Questo dettegli lascio dicendogli: «Quivi non c'è lo Dio tuo che salvar ti possa; quivi c'è Brando assa'ito nella collera, che ben volentieri darebbe giorno allo tu' core pien di quella dottrina che sa di nero».
«Misericordia – disse ancora quello, – misericordia, messere».
«Certo ch'avrò misericordia ver' tu, se tu ne varrai ver' me – risposegli Brando assa' mirando fisso. – Ascolta 'l mi' dire, fido de' neri, io messer Brando dei Branducci avriendo tanto che più si possa dire affezione ver' 'l vescovo potente su tutto e sullo cielo, e non avriendo potuto onorarmi della di lui presenza, voglio questo fare appresso per addimostrargli di certo saper far mio che non manda altri ver' lui come lui mandollo ver' me, e come lui vuolsemi fare onore con altro, io le farò onore con la stessa mia presenza; e tu mi accompagnerai, fido de' neri, e darammi buon dottrina sì ch'io arrivi 'n su’ presenza senza che gli altri che coron le fanno se n'avveggano, e allor le reciterò li miei pater che ben da molto ho apparato. Presto, ch'ho fretta; getta tutto quello che lo tu' corpo fa coperto. E tu, Gaggione, porta altro che coprir lo ripossa». E quasi sorriso facendo, disse ancora: «Mi farò coperto della tu veste ond'io apparir le possa in tu».
Il fido de' neri avendo tutto compreso preso era da tremori e, con gli occhi che sapean di terrore, favellò: «Messere, misericordia! Fatemi ucciso, e in affezion ve ne sarò, ma non fate cosa ond'io cader possa nell'ira del vescovo che, 'l tutto sapendo, farebbemi truovare e poi scorticare».
«No, non aver tema, fido de' neri, che addopo li miei pater, quel che dicesi potente in tutto e sullo cielo, sarà polvere da calzari». Poi voltossi a Chiappo e dissegli: «Tu correrai alla volta delle castella che ben sai e dirai a quelli che farommi vicinante Volterra per aggiusto dare a certe cose che d'ira sanno, e 'n tutto sapevol li farai; va!».
Ma Chiappo non parve accoglier quel su' comando e, dando in traccheggio, fecelo sapevole che ben sarebbesi rimasto allo su' fianco per quelle certe cose di Volterra, al quale Brando bene apprezzandolo toccollo con le su' mani dicendogli: «Va' Chiappo, tu sei forte e sarò 'n sicuro che quel che dissiti fu detto, e, se presto farai, potrai seguir li miei passi».
Quel dire del su' messere fecegli certo effetto che in breve era escito al fora.
«Zoppo dannato – vociò – menami 'l mi' cavallo, fa' priesto ch'ò fame di miglia». E mentre che lo Zoppo glie 'l menaa saltogli in sopra di sol salto e buttollo a gran corsa; ma non parendogli tanto quel correre, addentollo all'orecchio e dettegli rosicchio sì che quella bestia, dal dolore, dimenasse in più le gambe...
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Two more pages of the notebook in which the novel was transcribed |
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Forti erasi messo le mani al volto e lo su' pensiero iva 'n vision di quello, e molto doleasene; poi si alzava e a passo più lungo del consueto passeggiare faceasi all'apertura, e fisso teniendo lo su' sguardo mirava San Gimignano e li dintorni. Poi voltossi ed ebbe brividore; piegò la bocca mettendo al brutto lo su' volto, e a passi non come quel di pria, portossi in abbandono sulla scranna; rimisesi a giusto come volle la divin natura, e favellò quasi 'n pensiero: «Povero mio grande amico! e mai conobbi far generoso e pieno di affezioni come 'l vostro. Ora è tardi, e s'io l'alie del vento mi mettesse, a nulla varrebbe». Poi ancora alzò li occhi, e fu in quello gesto che Chiappo dal fondo dov'erasi messo 'l vidde che quelli eran d'umidore pieno; diede peso al volto e treciò li denti, avendo cura di farlo 'n sommesso.
«Mio Dio che amore metti ai mali, qual dolorosa istoria i' vivo!». Poi di nuovo alzossi e fattosi assa' vicino a quello dimandogli per qual direzione eransi menati Testa e li altri; poi ancora: «E tu, Chiappo, che tutto sapeste, perché non correste?».
Questi alzò li occhi e le rispose: «Messere mio, molto detti rosicchio e 'l battei lo mi' cavallo, ma nulla guadagnar puotiedi su messer Antonello, e quand'arrivao 'l viddi…».
«Taci – comandò Brando; e poi ancora: – povero mi' amico!». Ma di subito videsi Brando ritornar quel di pria e con pieghe in sulla fronte favellò: «Cani dannati, 'l braccio mio ancor non si è spento, e pria d'esser tale vo' dar giorno a molti cari vostri».
E Chiappo vedendo 'l su' messere ire 'n collera treciò li denti 'n forte e favellò: «Messere mio, corro su e farò ritorno ver voi con un paro di quelli neri a bono, e li miei denti li farà sputar moccoli. Io per lo nero non sono e più butto sangue e più divertemi». E li su' occhi ch'eran bianchi assai sembraan bragini d'appicar 'l fuoco. Ed in quella stanza dove pria vi regnaa gran silenzio, e dove 'l pensier rivolto era a messer Antonello sì vilmente ucciso a tradimento da messer Grinta de' Certosi, ora vi regnaa lo inferno pien di trambusti che li diavol 'l fanno. E Chiappo rosicchiandosi 'l dito stea per uscir come demonio, ma lo Zoppo faciendo aperta la porta buttolla contro 'l su' muso che strappogli resìa, ma tacquesi di subito, dato che lo Zoppo facea favella a Brando ben dicendo che il maestro messer Alighieri della Fiorenza era a poche miglia e stea per giunger a San Gimignano.
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E quello e lo altro miraa cogli occhi 'l vicinante, come a richieder risposta dovuta, ma mute rimaneano le bocche, così che ogni uno di quelli in soggezione steva dandone allo altro. Di nuovo la su' favella facesi udire, ed era questa ancora d'autoritario piena: «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, o orrevol messeri». E mano dette a riassettare quelle carte di Fiorenza.
Fu questo suo favellare che tuolse a messer Chigi la soggezion di pria, e alzatosi dal su' deschetto e con mano chiusa come a dimostrare unione, favellò: «O orrevol Maestro delli Alighieri, quel che vuolsi da Fiorenza vuolsi da me; pria di cader 'n disgrazia di Volterra venga la moria, e l'otta di cessar tal sanguinose zuffe è giunta». Poi girossi al torno favellando: «O messeri di tutte le casate, misericordia per lo Dio, e che lo spuntar del novello dì truovisi sì tanta pace entro le nostre vetuste mura, e che tutto 'l male delli altri tempi puossesi tramutar in altro tanto bene per li tempi venturi».
E additando lo Maestro Alighieri, andò innanzi col su' favellar: «Ha parlato Fiorenza che in certa affezion ci tiene, ed io veracemente chiedo a voi, o orrevol messeri, quale capo della San Gimignano, di puorre tale firma sulla carta di essa, laonde darle assicuro che pace passi quassù; e 'n quanto a Volterra saprassi far valere sulli diritti consigliati da Fiorenza. Venire puote Volterra, ma truoverà le armi; ma se giunger vuolesse Fiorenza truoverà le madonne nostre di fiori piene».
L'Alighieri piegò la bocca a quel sorrider dignitoso, mentre quello favellaa ancora: «Tutte le nostre risse fan debole la nostra terra di primizie piena; unitevi, orrevol casate, e le vostre bracce date per opera e forza dare a questa lagrimante San Gimignano. Io messer Chigi eletto a ben su' tempo capo di quassù ho favellato in merto al favellar di Fiorenza. Che li cori vostri tocchi da certi rimorsi s'apprestino ad empitarsi di sì bontade, laonde 'l maestro Alighieri di ritorno alla Fiorenza puortivi che l'aver consigli e cercare ubbidienza l'è per San Gimignano dottrina 'n dote»…
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La svolta in alto dea in stretta riprendendo in largo al prencipiar della colonne ch'erano tarchie e infisso aveano anelli di grosso ferro. Notte dovea essere, perché quello luogo alquanto male rischiarato era da una fiaccola che pendea nello mezzo; all'altro lato eravi una scranna con davanti 'l banco che aspetto dava di sala giudiziale. In faccia a questo v'era una piccola porta ch'era nascosta da una tenda che, data l'oscurità che vi regnava, assai difficile era 'l conoscere il su' colore. Uno scritto vi stava in sopra, e chi avvicinato vi si fosse, avrebbe veduto ch'era in latino; l'ultima parola scritta più a grande dicea: «Finem».
Poco tempo passò che apparve sulla piccola porta uno volto d'uomo molto scarno; il resto non si potea scorgere perché lo fondo della porta nero era, e tale la sua veste dovea essere; stette ancora un po' come se meditasse cosa, poi si mosse e allor veder si potea ch'era vestito di nero e che avea andatura stanca come d'uom che affannato abbia lo proprio corpo. Si sedette in sulla scranna che cigolò, e dal di sotto del suo nero trasse fuora un rotol bianco e apertolo sul banco diede peso al capo mettendosi in lettura. Un capo dei neri doveva essere, perché sullo suo capo comodamente stava uno cocchetto rosso.
Dopo poco udironsi dei passi ed apparve un altro nero che senza far favella batté la mano maestra sulla manca; l'altro ch'era seduto favellò: «Bene così, fate passare»; e di nuovo da sotto 'l su' nero trasse uno panno di colore eguale e sel mise sul capo trando in giù uno lembo che coprì lo suo volto; due buchi v'erano per dar veduta alli occhi, e messosi in reggibraccia attese come persona che fretta abbia. Poco era passato tempo che più di un passo s'udì al di fuori, poi una favella che disse: «È là»; e sulla porta apparve un uomo ch'era pien di polvere.
Salutò dando un inchino con man portata allo core, e favellò: «Mio santo signore, ai vostri comandi attendo».
Con favellar rocoso l'altro rispose: «Qual nova mi portate?».
«Ecco, grande signore, sei dì sono passati da che io umilissimo vostro presi partenze, ma…».
«Quale ma?!» esclamò 'l nero con sua favella molto irata.
L'altro continuò, ma sentir si potea che il su' favellar tremava: «Ecco, signor alto e potente, io misero, 'l tutto feci e molto domandai, ma nessuno seppemi dar risposta».
Il nero rizzossi in su' piedi e poggiando le mani al banco, con voce simile al serpe che fra l'erbetta striscia, disse: «Cane dannato, nulla hai fatto ond'io in contento fosse?! Favella, maledetto da Dio, dov'è Brando de' Branducci?». L'altro buttossi in sulle ginocchie...
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