Il funzionamento delle società complesse del nostro tempo |
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Affermazione e struttura delle società complesse Abbiamo visto come, da una certa epoca in avanti (ma appena un attimo fa nella cronologia del nostro pianeta), i raggruppamenti di creature umane più o meno primitive abbiano cominciato a produrre fenomeni ed eventi di tipo diverso da tutti quelli che avevano caratterizzato fino a quel momento il mondo animale. Erano eventi di tipo comportamentale (fabbricazione di utensili, cura e decorazione del corpo, comunicazione di informazioni, ecc.) originati dalla psiche. Nel giro di pochi millenni questo tipo di fenomeni ha subito una rapida evoluzione, fino agli sconvolgenti cambiamenti degli ultimi due secoli. La civiltà ha avuto origine non solo dall'ampliamento delle facoltà della coscienza, con l'elaborazione dei miti primordiali ed il loro radicamento nella coscienza di gruppo, ma anche dall'incremento numerico degli elementi del gruppo e dall'insorgere tra di loro di particolari relazioni per la comunicazione e la trasmissione delle informazioni. L'esistenza della civiltà non è assolutamente necessaria per la vita dell'uomo in quanto specie animale, ma dato che nel passato storico dell'umanità è accaduto che l'uomo sia passato dalla vita naturale alla vita culturale, e poi alla vita civile, dobbiamo riconoscere che l'esigenza di questa trasformazione si è presentata come inevitabile nell'ambito della psiche umana. Gli esseri umani, o almeno alcuni di essi, devono aver sentito il fascino ed il vantaggio, anche in termini emotivi, della vita culturale e delle prime manifestazioni di civiltà. Tipico dello sviluppo delle civiltà è sempre stato l'elemento coercitivo del dominio. Prima ancora che nelle relazioni tra gli individui e tra i gruppi sociali (fino alle società complesse dei nostri giorni) la pulsione a dominare deve essersi presentata con forza nella coscienza di alcuni individui. I vantaggi che la civiltà offre al singolo individuo in cambio della sua rinuncia ad uno stato di natura caratterizzato da rischi e pericoli, ma anche dalla libertà, rappresentano solo un lato della medaglia. L'altro aspetto è la forte tensione che obbliga alcuni individui o gruppi umani a governare i popoli, sia mediante la convinzione sia con la forza della coercizione: quasi tutte le grandi civiltà del passato si sono imposte con la forza. Ma lo stato di natura, per la nostra coscienza civilizzata, è ormai insopportabile, oltre che impraticabile. Infatti il numero degli esseri umani del pianeta è diventato talmente alto che, se tutti dovessimo fare affidamento sulle sole risorse offerte direttamente dalla natura, ci ridurremmo a meno di un ventesimo nella sola fase di lotta per il controllo di tali risorse. E quand'anche in certe zone vi fossero culture primitive i cui membri vivono soddisfatti dello stato di natura, queste sarebbero progressivamente annientate dall'impatto con le civiltà più evolute, a somiglianza di quanto è già accaduto agli indiani d'America o agli aborigeni australiani. Tutte le civiltà importanti presentano una classe dirigente, minoritaria, che si differenzia in modo più o meno conflittuale da una massa umana governata. La capacità e la facoltà di esercitare il governo viene definita potere. I governanti esercitano il potere sui governati (ai nostri giorni benevolmente definiti cittadini o popolo, in altre epoche chiamati più esplicitamente sudditi). Questo fenomeno è inevitabile perfino nelle moderne democrazie, dove il potere viene delegato ai rappresentanti del popolo per periodi di tempo limitato. Nelle società complesse sono all'opera anche altre forme di potere, di tipo economico o finanziario, che cercano di mettere a punto strumenti adeguati per dirigere il consenso e manipolare, come sempre è accaduto, le sintonie della psiche dei dominati. In sostanza i governati vivono, in modo più o meno consapevole, ad un livello culturale piuttosto ingenuo (anche se possono fruire di strumenti tecnologici d'avanguardia). La loro tendenza è quella di agire nei limiti della volontà di sopravvivere, nel tentativo di evitare le sofferenze e di procurarsi i diletti e le emozioni che la psiche umana può produrre. I condizionamenti culturali, le pressioni sociali e le forme di coercizione escogitate dal sistema sono sufficienti a programmare ed a controllare i comportamenti di individui di questo tipo. La vita di un governato è condizionata dalle forze socioculturali nello stesso modo in cui la vita di un animale (il quale può soffrire per malattie, carestia, attacchi di altri animali) è completamente in balìa delle forze naturali, anche quando soffre: se queste ultime tornassero ad essergli favorevoli, l'animale si sentirebbe di nuovo soddisfatto. I dominatori fondano la loro vita sulla ricerca di qualche forma di potere. Anche se sono quasi sempre poco consapevoli dei motivi che li spingono in questa direzione, non possono fare a meno di impegnare le loro energie e le loro risorse verso uno scopo che va al di là del comportamento dei dominati. Possono essere persone fastidiose e disumane, se osservate dal punto di vista di chi pensa che la vita dovrebbe essere piacevole e tranquilla. Il dominatore, spinto all'estremo, pretende il lavoro ed il sacrificio di coloro che cadono sotto il suo potere. Sia che si tratti di grandi condottieri come Alessandro Magno o Napoleone, alle mire dei quali vennero sacrificate centinaia di migliaia di vite umane, oppure di semplici organizzatori burocrati come quelli che pianificarono i campi di concentramento nazisti, i dominatori sono sempre attivi, quasi sempre inquieti, spesso insonni: possono assomigliare ad animali da preda, pieni di risorse e di energie. Forze distruttive naturali, guerre e fenomeni antisociali Nei momenti in cui le forze naturali mostrano agli uomini il proprio aspetto devastante, allora i dominati si sentono perduti e si affidano sempre più alle energie ed alle capacità dei governanti, perché solo l'organizzazione delle energie e delle risorse umane può salvaguardare le masse di fronte alle catastrofi naturali, inclusa quella forma particolare di tragedia, apparentemente non naturale, che è la guerra. In effetti la guerra è gestita da dominatori che cercano di sottrarre ad altri il potere ed il controllo di risorse umane e materiali, ma anche il popolo che non volesse la guerra, avrebbe bisogno, se attaccato, di un capo che ne organizzasse la difesa. Si crea così un tacito patto tra i governati ed i dominatori, che esprime un equilibrio instabile tra la tendenza naturale all'iniziativa ed al godimento (la cosiddetta libertà), la paura del sopravvento delle forze distruttive della natura, ed il potere di certi individui di amalgamare, di organizzare e di gestire le energie umane. I ribelli, gli asociali, le organizzazioni criminali, sono fenomeni devianti che confermano la norma, e possono anche prosperare all'interno di una società evoluta fintanto che vi siano risorse sufficienti a mantenerli attivi. Nel ribelle prende il sopravvento una pulsione distruttiva o autodistruttiva della psiche, che può anche riflettere le tensioni presenti nell'ambiente sociale in cui il ribelle vive o è vissuto. Non di rado il ribelle si associa a qualche forma di organizzazione che ripresenta, in forma più primitiva, il modello del rapporto tra dominatori e governati, oppure spinge all'esasperazione la sua ribellione fino a confrontarsi direttamente con la società o con la natura. Le organizzazioni criminali sono nuclei sociali secondari più o meno in conflitto con il nucleo primario (in genere l'organizzazione statale): si tratta pur sempre di strutture di gruppo con le loro regole ed i loro rapporti di forza, non dissimili da quelli di un'azienda, anche se gli obiettivi sono diversi e tendono a danneggiare con la violenza singoli individui o altre organizzazioni sociali. Deterioramento del principio di autorità Da qualche decennio, nelle società complesse del mondo occidentale si assiste ad un fenomeno di parziale e progressivo deterioramento del principio di autorità, per cui il potere della classe dirigente viene progressivamente ridotto. Nei sistemi democratici i governati, pur restando tali, sono sempre più consapevoli del fatto che il potere dei dominatori dipende in gran parte dal loro consenso. Non mancano certo individui che detengono un potere considerevole ed autonomo affidato al controllo del denaro, soprattutto in campo economico-finanziario, mentre nelle società democratiche il potere politico non ha più il carattere coercitivo e di dominio che ha avuto fino ad un passato anche recente. I politici devono gestire il consenso, cosa che va fatta in modo sempre più sottile ed attento, perché ogni avversario politico è pronto ad approfittare dei passi falsi dei concorrenti. Inoltre chi detiene un certo potere economico cerca di condizionare il potere politico, per poterlo controllare pur senza sostituirsi ad esso, in un gioco di più ampio respiro. Alla fine gli unici contratti sociali veramente importanti sono quello tra il cittadino ed il suo datore di lavoro e quello tra il produttore di beni e servizi ed i suoi clienti, entrambi fondati sulle leggi di mercato ma anche dominati dagli interessi economici delle parti in causa. Così il potere politico e di governo è sempre più asservito alle esigenze del potere economico, nel quale un'organizzazione (impresa, banca o compagnia finanziaria) esercita la sua influenza sui potenziali clienti, dal cui potere di acquisto peraltro dipende anche il suo successo, almeno in una visione dinamica collettiva. È difficile poter dire se questo esperimento avrà successo oppure declinerà in modo più o meno caotico, come conseguenza della sempre maggiore complessità dei sistemi sociali e del deterioramento del potere dello stato. Chi lavora deve sopportare il sacrificio necessario a sostenere lo sviluppo sociale, in cambio non solo di quanto è necessario alla propria sopravvivenza, ma anche di quella minima quota di potere che gli deriva dalla sua appartenenza alla massa dei consumatori e degli elettori. Il cittadino, pagando le tasse, finanzia e sostiene l'intero sistema che lo governa. E se è vero che il sistema gli impone di pagare le tasse in forza del proprio potere, è anche vero che i dominatori di oggi corrono il rischio di essere sostituiti da altri in qualsiasi momento, un evento sempre più probabile in caso di deterioramento del sistema economico. In ultima analisi, chi determina l'andamento delle cose è sempre la storia, cioè un insieme di forze più o meno conflittuali le quali, esprimendosi nell'ambito della psiche umana come reazione alle condizioni ambientali, continuano ad esercitare la loro influenza sul comportamento degli esseri umani, sottraendosi in parte al loro controllo. Carattere elitario della conoscenza scientifica L'attuale modello culturale delle società complesse, fondato sul metodo della conoscenza scientifica e sulla tecnologia, ha fatto enormi passi avanti nel controllo e nella trasformazione di energia e materia, raggiungendo in questo senso una capacità operativa di prim'ordine, assolutamente superiore a qualsiasi risultato conseguito delle culture precedenti o da altre culture contemporanee. La tecnologia attuale è veramente in grado di trasformare il volto del mondo, e questo significa che il sistema mentale su cui si fonda questa conoscenza può interpretare e di riflettere la leggi naturali con sufficiente precisione, in modo da darci un discreto potere di controllo delle risorse del pianeta. Tuttavia la mentalità scientifica, che esercita un certo condizionamento culturale anche su coloro che aspirano ad un ruolo sociale dirigente, é una forma di cultura elitaria perché richiede capacità intellettive molto superiori alla media. Essa non può far altro che proporsi come metodo di conoscenza e presentare i propri risultati come vantaggiosi, ma il metodo di conoscenza scientifico, per essere adottato come normale funzionamento mentale, richiede un'intelligenza non comune che attualmente è patrimonio di una minoranza di individui. In quanto ai vantaggi prodotti, essi vengono valutati secondo l'ottica mentale delle masse e dei manipolatori della cultura di massa, che di solito non sono dotati di mentalità scientifica. Può così accadere, come di fatto accade, che un capo di governo o un dirigente di impresa trovino vantaggioso utilizzare gli scienziati ed i ricercatori sui quali riescono ad esercitare qualche forma di controllo, per produrre armi o altri strumenti in grado di consentire loro di mantenere o accrescere il potere. Limiti della comprensione scientifica del funzionamento della mente umana La nostra civiltà attuale è dunque un ibrido tra la cultura determinata dalla mentalità scientifica e vari sedimenti ereditati dalle culture precedenti ed ancora attivi, legati ad elaborazioni mentali e visioni del mondo non particolarmente evolute. Il motivo di questa situazione è che la cultura scientifica, pur essendo un prodotto dell'intelligenza umana, non è riuscita fino ad oggi a produrre alcuna forma di conoscenza in grado di comprendere, interpretare e controllare la mente stessa e le sue attività. Sebbene negli ultimi decenni le neuroscienze abbiano fatto notevoli progressi per quanto concerne la conoscenza del cervello, si è ancora ben lontani dal poter tradurre tali conoscenze in una forma di comprensione e di controllo del funzionamento della mente e del fenomeno della psiche. Rischi delle società multiculturali Il funzionamento dei singoli individui nell'ambito del contesto sociale con cui interagiscono e da cui sono condizionati porta ai risultati più strani e contraddittori. Chiunque abbia potuto osservare e studiare culture diverse, anche contemporanee, è consapevole delle profonde differenze di sintonia mentale che caratterizzano individui allevati in altri contesti culturali. Oggi, nell'ambito del nostro sistema occidentale, stiamo sperimentando uno sfaldamento del modello di identificazione culturale, che permette a sintonie della psiche anche radicalmente diverse di coesistere, confrontarsi e, non di rado, scontrarsi. A questo si aggiunga il rimescolamento provocato dalle migrazioni di persone provenienti da culture diverse, e si potrà comprendere perché il prossimo futuro sarà caratterizzato dalla mancanza di modelli culturali radicati e condivisi da una larga maggioranza di individui: fatto che, se da una parte potrebbe favorire la tolleranza verso la diversità con l'obiettivo di creare le condizioni per una coesistenza pacifica nel rispetto reciproco, d'altra parte alimenterà la prevaricazione, l'intransigenza e l'intolleranza, determinate tanto da quelle forme culturali che privilegiano la coercizione e la violenza, quanto dalla paura e dalla reazione delle vittime attuali e potenziali di quelle aggressioni. Questo fenomeno non è una novità nella storia dell'umanità, dato che l'incontro tra culture diverse si è spesso trasformato in scontro, in guerra, con tutto quello che la guerra comporta in termini di distruzione, sopraffazione e violenza. Solo che in futuro i conflitti, oltre ad essere quelle forme di aggressione più o meno organizzata tra nazioni diverse che conosciamo dalle testimonianze del passato e del presente, potrebbero trasformarsi in dissidi interni, forse meno cruenti e distruttivi, ma sufficienti a creare un disagio diffuso per lunghi periodi di tempo, fino a quando non emergerà un modello culturale diverso, in grado di armonizzare a livello planetario una massa umana di dimensioni molto ampie. Un bilancio con luci e (molte) ombre Questo è il retaggio che ci viene trasmesso dalla nostra civiltà in relazione al problema della felicità umana durante questa vita. Esso porta con sé l'ambiguità che ha caratterizzato fino ad oggi lo sviluppo di tutte le società progredite: dopo aver dichiarato che il modello socioculturale di una civiltà deve averre come obiettivo primario quello di permettere al maggior numero possibile di persone di essere umanamente felici, lo scopo raggiunto è quello di aver creato una società sempre più complessa, dotata di tecnologie avanzate in grado di trasformare il volto del mondo, ma non progredita. Attualmente ci si atteggia e si interagisce come se i due obiettivi fossero coincidenti, ma di fatto ogni modello sociale avanzato deve essere incline a sacrificare la felicità individuale in funzione dell'efficiente funzionamento di una società complessa. Può allora sorgere il sospetto che anche l'ostilità delle forze naturali nei confronti della felicità umana possa essere utilizzata come alibi per negare la possibilità di vivere felici in questo mondo, in modo che la mente si possa conformare con più docilità al modello sociale in vigore. Va tenuto presente che le resistenze che possiamo provare nei confronti delle critiche al sistema culturale di cui facciamo parte dipendono dal fatto che le sintonie della psiche in base alle quali funzioniamo sono in accordo con tale sistema: metterlo in discussione costituisce una minaccia per la nostra stessa sopravvivenza e per i nostri schemi mentali, e questo può provocare reazioni di insicurezza ed angoscia. Ancora una volta ci troviamo di fronte all'ostacolo formidabile rappresentato dal funzionamento della psiche, il cui controllo ci sfugge. Come si è detto, il nostro sistema culturale non è in grado di darci degli strumenti efficaci che ci consentano di controllare la nostra mente. Per quanto attaccamento noi possiamo provare per la cultura in cui siamo stati allevati, e per quanto grandi possano essere la nostra ammirazione ed il nostro orgoglio per le conquiste e per le realizzazioni tecnologiche dovute a tale cultura, sul piano della gestione consapevole ed armoniosa delle sintonie della nostra psiche siamo ancora ad un livello rudimentale, e dunque ben lontani dal poter vivere una vita pienamente felice. L'autocontrollo della mente Vi sono persone che, allevate in una cultura come la nostra, spinte da un impulso profondo, per spirito di avventura o per sete di conoscenza si sono impegnate per entrare in contatto con culture diverse. Anche se il movente di queste esplorazioni culturali non è stato la ricerca cosciente della felicità, alcuni di questi esploratori delle sintonie della psiche, nel contatto con altre culture, hanno raggiunto una buona condizione di controllo mentale. Una delle discipline che ha come scopo la conquista del controllo mentale è lo yoga: alcuni adepti possono raggiungere uno stato mentale di beatitudine, anche se non tutti i praticanti vi pervengono. Le culture che in passato hanno influenzato la mente di coloro che praticavano lo yoga e ne mettevano a punto le tecniche, avevano caratteristiche tendenti a favorire la ricerca di tale controllo come strumento di ascesi spirituale, mentre, soprattutto nei secoli più recenti, la nostra civiltà ha privilegiato la conoscenza e la trasformazione del mondo tramite l'azione. In effetti la nostra cultura, quando ci sottopone a forme di disciplina intese ad ottenere il controllo di alcune facoltà mentali, lo fa per fini sociali, cioè per metterci in grado di adempiere al meglio ai nostri compiti collettivi. Noi, in sostanza, riusciamo ad essere abbastanza disciplinati da lavorare otto o dieci ore al giorno, ma non siamo in grado di praticare la meditazione per un paio d'ore senza provare una sorta di insofferenza, un forte impulso ad agire e la voglia di lasciarci trasportare qua e là dalla nostra psiche. Noi occidentali siamo inoltre abituati ad investire risorse ed energie per acquisire risultati garantiti: vogliamo la certezza, per esempio, che l'automobile che paghiamo col nostro denaro funzioni, ed anche bene. Inoltre la nostra mente manifesta uno stato d'animo negativo di fronte alla prospettiva di assoggettarsi ad anni di pratiche decisamente noiose, i cui risultati sono incerti e non di rado poco comprensibili. Non possiamo non tener conto di questi fatti, perché l'entusiasmo acritico può giocare dei brutti tiri e lo sperimentare discipline messe a punto da culture diverse senza tener conto dei nostri condizionamenti culturali può non rivelarsi salutare, o comunque farci perdere tempo, denaro ed energia, senza farci conseguire i risultati sperati. D'altra parte lo squilibrio che si è creato nella nostra civiltà genera disordine e violenza nelle dinamiche emotive, un disordine che si ripercuote inevitabilmente sulle attività della mente, la quale finisce col perdere quel controllo della situazione che tanto impegno le è costato. Così lo sforzo di adattamento si trasforma in disadattamento, l’ordine sociale si deteriora, ed il benessere consumistico può trasformarsi in malessere esistenziale. Apparentemente vi è un impegno per difendere le conquiste del progresso sociale, ma la fuga in avanti verso un mondo sempre più complesso si traduce in un insostenibile consumo di energie, anche sul piano umano. Non vi sono più scelte ma percorsi obbligati, pena l’eliminazione dalla competizione, e si invoca sempre di più lo stato di emergenza generato dalle nuove necessità, cioè dagli effetti deteriori provocati dalle scelte dello stesso sistema che aveva promesso il progresso. Conciliazione tra psiche e natura Questo costante stato di tensione determina una reazione, ed altre sintonie della psiche cominciano a prendere il sopravvento, riversando nell’ambiente culturale gli elementi più deteriori del livello di degrado in cui ci troviamo: superstizione, violenza, volgarità, erotismo distorto, prevaricazione, inganno, disprezzo per la verità, ignoranza. Ma proprio l'affermazione e la presenza tangibile di questi antivalori induce poi nella coscienza un intenso bisogno di evoluzione: non in ogni mente, si intende, e non nello stesso tempo e con la stessa intensità, ma l’esigenza di evoluzione si farà sentire sempre di più. In effetti ciò di cui oggi sentiamo più intensamente il bisogno è la completezza, cioè l’integrazione, l’armonia, una fusione che ci consenta sia di vivere in sintonia con questo mondo e con gli altri esseri umani, sia di uscirne in accordo col nostro destino. Noi desideriamo dunque una riconciliazione della natura e dello spirito, di cui ci sentiamo figli in egual misura, i cui effetti si riflettano nelle dinamiche della nostra psiche, e solo questa riconciliazione potrà essere l’elemento decisivo per la nostra evoluzione mentale. Temo però che questo processo non possa avvenire in tempi brevi.
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