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Un libro che merita di essere letto

La scienza, la mente e le esperienze paranormali

Poiché questo libro, Science, Mind & Paranormal Experience (2006) è reperibile in rete (io l'ho scaricato dal sito www.academia.edu), l'ho inserito anche nella Biblioteca. L'autore, Eric Lord, è un eclettico matematico inglese, nato nel 1940, che – dal 1984 al 2006 – ha vissuto a Bangalore come professore associato presso l'Indian Institute of Science. Le sue ricerche si sono indirizzate in particolare nel campo della relatività generale e nelle strutture algebriche della fisica delle particelle elementari. Inoltre ha scritto alcuni libri sulle strutture geometriche cristalline e semicristalline, e sulle superfici minime, nel campo della scienza dei materiali. Ma questo suo libro, di cui consiglio la lettura, presenta molte analogie con i temi trattati in questo sito, perfino nell'ordine in cui tali argomenti sono impostati (come si può notare seguendo l'indice). Questo significa che persone che non si conoscono, diverse per origine, per storia personale e per orientamento culturale, possono seguire un percorso conoscitivo molto simile, pervenendo a conclusioni analoghe. E, quasi certamente, si tratta di un iter conoscitivo che – in questo stesso momento – viene seguito autonomamente da molti altri esseri umani.

Nel suo libro Lord mette anzitutto in evidenza la differenza tra le conoscenze scientifiche attuali – sulle quali si fonda anche una ragionevole fiduciosa speranza di ulteriori progressi nel prossimo futuro – e la pretesa, da parte di alcuni esponenti e di molti divulgatori del mondo scientifico, di considerare come conoscenze scientifiche acquisite semplici ipotesi, che non sono state ancora convalidate da sufficienti test, oppure che non reggono di fronte a certe osservazioni ed esperienze. Si riscontra, anche in ambito scientifico, una tendenza ad un certo dogmatismo (e fortunatamente molti scienziati ne sono esenti), determinato probabilmente dalle sintonie psichiche che si attivano a difesa del potere conoscitivo della mente umana, che si traduce anche nella negazione delle osservazioni e dei fatti che non vengono spiegati dalle ipotesi che si vogliono difendere. Certamente i progressi della scienza e della tecnica hanno comportato, negli ultimi due secoli, enormi vantaggi nelle condizioni di vita dei membri delle società complesse più avanzate. Si è così formata e diffusa una sorta di fiducia illimitata nella capacità della mente umana (intesa come la mente di persone particolarmente intelligenti e dotate, identificate soprattutto con gli scienziati) di poter spiegare ogni aspetto del mondo e della vita, e di poter risolvere ogni problema umano, non tanto attraverso un lungo, impegnativo e faticoso processo, fatto di verifiche e di constatazione di errori, quanto basandosi sul «tutto e subito» delle informazioni e delle conoscenze già disponibili.

Si è diffusa, nella nostra epoca, una fede quasi religiosa nella scienza, ed alcuni scienziati non sanno resistere alla tentazione di voler spiegare – anche in buona fede – ogni aspetto del mondo e della vita, come se nel merito noi umani (o almeno i più sapienti tra noi) sapessimo già tutto quel che c'è da sapere. La conseguenza più importante di questo atteggiamento è che l'esistente viene spesso limitato a ciò che è possibile conoscere, anzi – restringendo ancora il campo – a ciò che è, o si ritiene, già conosciuto, mentre tutto ciò che ancora sfugge alla nostra conoscenza viene rimosso o trascurato, per paura che – di fronte al mistero – si possa ricadere nell'oscurantismo della metafisica, dell'occultismo, o del dogmatismo delle religioni tradizionali. Di fatto, si tratta di un timore ben fondato, dato che la psiche umana ha sempre dimostrato di voler riempire il vuoto causato dalla mancanza di conoscenza (e di potere umano) con qualche elaborazione più o meno fantasiosa ed ingegnosa, dotata tuttavia di un sufficiente potere di coinvolgimento e di persuasione nei confronti dell'io cosciente. Tuttavia, da parte di persone dotate di una coscienza intelligente sufficientemente sviluppata, ci si può aspettare di poter resistere a questa tentazione, ammettendo tranquillamente i limiti di ciò che conosciamo e riconoscendo tutti quegli aspetti della realtà e della vita per i quali non disponiamo ancora di spiegazioni soddisfacenti.

Come scrive Lord (pag. 1): «Da un lato, si osserva una crescente fiducia (forse sarebbe giusto dire una fiducia eccessiva) nel potere esplicativo della scienza. I rapidi e spettacolari sviluppi nella comprensione scientifica dei meccanismi che governano il mondo fisico hanno prodotto in molti ambienti la sensazione che il puzzle presentato dall'universo di cui facciamo parte sia ora, almeno a grandi linee, quasi risolto, e che abbiamo un un'idea abbastanza chiara di che genere di cose sia possibile o meno. D'altra parte, assistiamo a una crescita dell'interesse per l'occulto ed il soprannaturale. Quest'ultima tendenza è più che evidente nella pletora di libri che presentano assurdità pseudo-scientifiche – finzioni fantasiose mascherate da fatti – che propinano ai creduloni, scientificamente mal informati, credenze fuorvianti e demenziali sulla natura della realtà». L'autore mette poi in evidenza il valore della ricerca scientifica e del metodo scientifico, e gli importanti successi, non solo in termini di conoscenza, ma anche di qualità della vita, che la scienza ha offerto all'umanità. Tuttavia il metodo scientifico non è, né può essere, unitario, perché le varie branche in cui la scienza si suddivide – frammentandosi sempre di più a causa dell'incremento e della complessità delle conoscenze acquisite – presentano aspetti diversi che richiedono approcci sperimentali e teorici diversi.

Dallo studio della fisica di origine galileiana e newtoniana ebbe origine il meccanicismo, che è portato a spiegare tutto quanto accade nel mondo fisico in termini di energie (note) e degli effetti che le forze prodotte da tali energie hanno sulle particelle materiali (atomi e molecole). Così, per esempio, la chimica cerca di descrivere e di spiegare le interazioni tra le molecole sulla base delle leggi della fisica, la biologia fa affidamento sulle leggi della chimica, lo studio della morfogenesi si fonda sulla biologia, e così via. Dunque il meccanicismo è diventato una sorta di paradigma della scienza, che però mostra tutti i suoi limiti man mano che la complessità organizzativa ed informatica del materiale che viene osservato e studiato aumenta. Come Lord fa notare (pag. 15): «Le leggi della fisica classica sono deterministiche. Quindi, secondo la fisica nota a Newton e Kelvin, qualsiasi sistema fisico è governato da leggi deterministiche, il che implica che il futuro del mondo fisico è una conseguenza inevitabile del suo stato attuale. Ciò porta a una visione del mondo in cui l'universo è visto come un vasto meccanismo, nel quale inevitabilmente stanno accadendo eventi che erano già impliciti nel suo stato primordiale. L'universo determinista non lascia spazio al libero arbitrio di una creatura vivente. Le creature viventi sono semplicemente automi, senza più libertà di scelta di quella di un ciottolo trascinato dall'acqua di un torrente».

Il metodo scientifico e l'evoluzione della fisica

Lord, dopo aver sottolineato come lo scopo della ricerca scientifica sia l'acquisizione di una conoscenza oggettiva su cui si possa fare affidamento, afferma che il ruolo degli scienziati – che sono pur sempre esseri umani – nel progresso della scienza è fondamentale, in quanto le speculazioni scientifiche, le ipotesi e le teorie sono pur sempre un prodotto dell'intelligenza creatrice della mente umana. Quello che offre un vantaggio alla scienza è la messa a punto di un metodo che separa, per quanto possibile, gli elementi soggettivi della percezione e del pensiero dalle conoscenze oggettivamente acquisite e convalidate. I criteri del metodo scientifico, elecati a pag. 34 del libro, sono tuttavia applicabili con precisione solo ad un limitato nucleo di conoscenze scientifiche, che riguardano eventi assoggettabili a rigorose convalide sperimentali: per molti altri aspetti del mondo e della vita, la scienza consiste in un processo di continuo aggiornamento e revisione delle ipotesi e delle teorie precedentemente (e temporaneamente) – acquisite come utili strumenti esplicativi non contraddetti dalle osservazioni disponibili – alla luce di nuovi fatti e di nuove interpretazioni.

Poiché la matematica è lo strumento che offre alla mente umana le maggiori garanzie di esattezza oggettiva, il ruolo della matematica nella fisica è fondamentale, sebbene, citando Bertrand Russell, «La fisica è matematica non perché sappiamo tanto del mondo fisico, ma perché sappiamo così poco. I suoi aspetti matematici sono gli unici che riusciamo a scoprire». Partendo dalla fisica, si è poi sentita l'esigenza di applicare la matematica ad ogni branca della conoscenza, perfino alla biologia o alla psicologia (più che altro sulla base dell'applicazione di metodi statistici a serie di dati), proprio in virtù delle garanzie di oggettività che la matematica può offrire, non solo in termini numerici, ma anche nello studio di strutture e schemi ricorrenti. Lord mette poi in evidenza i limiti intrinseci dell'approccio scientifico, nonostante gli indiscutibili e sensazionali successi da esso conseguiti. Non tutti gli aspetti del mondo e della vita sono esprimibili in termini quantitativi, e molti sfuggono alla stessa esigenza di poter essere soggetti ad osservazioni ed esperimenti ripetibili: dunque, in molti casi, la scienza procede mediante forme di intuizione intelligente e la formulazione di ipotesi e teorie che devono poi essere confermate sperimentalmente.

Lord spiega con molta chiarezza questo processo (pag. 34): «Lo scienziato cerca gli schemi all'interno di un insieme di fatti consolidati, e formula tentativi di spiegazioni – modelli e ipotesi. In questa fase prevale l'immaginazione umana... Le ipotesi veramente importanti sono quelle che hanno conseguenze deduttive, e che portano, dunque, a predizioni. Esse uggeriscono ulteriori osservazioni ed esperimenti e ne prevedono i risultati. Queste ipotesi possono quindi essere verificate tramite la realtà. Se le loro previsioni si rivelano false, esse devono essere modificate o scartate. Nessuna ipotesi è mai del tutto provata dal successo delle sue previsioni. Solo la falsità di ipotesi errate può essere dimostrata. La fiducia in un'ipotesi verificabile cresce man mano che essa continua a resistere ai controlli ed ai test effettuati in un gran numero di diverse situazioni sperimentali ed osservative. Così la scienza progredisce per mezzo di circuiti di feedback: le osservazioni stimolano la formulazione di nuove ipotesi e le ipotesi a loro volta suggeriscono ulteriori osservazioni». Ovviamente, vari campi della conoscenza umana sfuggono del tutto alle esigenze della conoscenza scientifica intesa in senso stretto: si pensi all'evoluzione della vita, alle scienze umane, come ad esempio la storia, oppure agli eventi della vita interiore, per loro natura essenzialmente soggettivi. Questo significa forse che, in tali campi, noi dobbiamo rinunciare a qualsiasi tentativo di conoscenza?

In merito al criterio di ripetibilità (pag. 38): «Questo criterio richiede che la scienza chiuda un occhio su tutti gli aspetti della realtà che, per loro stessa natura, non si prestano né all'osservazione prolungata né alla sperimentazione ripetibile. Le osservazioni riportate di eventi sporadici ed effimeri non sono suscettibili di indagine scientifica. Ci sono moltissime segnalazioni di presunti eventi dei quali le modalità stabilite per la spiegazione scientifica non possono rendere conto». In ultima analisi, gran parte della conoscenza umana continua a fondarsi sul consenso collettivo e sul potere di convinzione che certi paradigmi culturali acquistano una volta che si siano ben consolidati (pag. 41): «I paradigmi che l'intelligenza umana formula per comprendere il mondo e le sue modalità di azione hanno una curiosa robustezza. Un paradigma, una volta consolidato, è particolarmente resistente al cambiamento. Le nuove idee vengono accettate con riluttanza, anche, a volte, dai loro stessi ideatori. Se sembrano in conflitto con i paradigmi attualmente consolidati, possono essere viste come una minaccia e denunciate come eretiche, e talvolta come superstiziose fantasie non degne di seria attenzione: la tendenza dei sistemi di pensiero consolidati a irrigidirsi ed a diventare tirannicamente autoritari è una manifestazione di un istinto di sicurezza profondamente radicato nella psiche umana». Sono del tutto d'accordo: vorrei solo correggere il primo periodo, sostituendo all'intelligenza la psiche, la quale – appunto – elabora e formula le sue teorie interpretative degli eventi del mondo e della vita quando l'intelligenza non riesce a pervenire ad una valida forma di conoscenza.

Proprio dalla fisica, il campo di indagine scientifica nel quale il determinismo aveva conseguito i suoi migliori risultati, vennero i cambiamenti teorici che nel ventesimo secolo determinarono il declino del meccanicismo newtoniano, mettendo in evidenza come – via via che l'indagine dei fenomeni fisici si approfondiva – la capacità della mente umana di interpretare la realtà rischiava di entrare in crisi. Anzitutto fu la natura dei componenti della luce, i fotoni, a richiedere una revisione degli schemi interpretativi precedenti, perché essi potevano comportarsi sia come particelle materiali, sia come onde elettromagnetiche (pag. 49): «(La luce) può rivelarsi come un'onda o come particelle a seconda del tipo di domanda che le poniamo – tramite il tipo di esperimento che abbiamo impostato per studiarla. Questo fatto divenne noto come dualità onda-particelle. La natura reale della luce è qualcosa che non può essere compresa in termini di modelli mentali, basati sulla nostra esperienza quotidiana alla scala delle percezioni umane». Alla fine del secolo decimonono i fisici avevano costruito un quadro della realtà fisica basato sulla materia, composta da particelle materiali, e sui campi di energia, che pervadevano lo spazio tra le particelle materiali. Il potere esplicativo dei modelli matematici basati su questo schema materia/campo si era dimostrato così efficace che sembrava contenere tutto ciò che si poteva dire sulla natura del mondo fisico. «Anche il rivoluzionario cambiamento nella fisica provocato dalle teorie della relatività di Einstein non contraddiceva l'assunto di base che ogni entità fisica fosse o campo energetico o materia».

La teoria dei quanti di Planck, applicata agli elementi della luce, colpiva alle fondamenta questo quadro così ben delineato (pag. 51): «La netta distinzione tra il concetto di campo e quello di particella venne minata, in un modo inquietante e paradossale. La piena portata del radicale cambiamento della fisica classica fu rivelata quando venne riconosciuto che la dualità onda-particelle non si applica alla sola radiazione elettromagnetica... le formule matematiche che collegano gli aspetti quantistici della radiazione con i suoi aspetti ondulatori si possono estendere in modo che, per esempio, gli elettroni possono venir considerati come i quanti di un campo di elettroni, allo stesso modo in cui le particelle di luce (fotoni) sono i quanti del campo elettromagnetico... Quindi la dicotomia tra gli aspetti di campo e gli aspetti particellari della natura si è rivelata un'illusione. La natura, semplicemente, non funziona in questo modo». Ma se gli elementi della realtà fisica possono manifestarsi in due forme così diverse, come particelle o come campi energetici, da cosa dipende il fatto che si manifestino all'osservatore umano – o agli strumenti creati dagli umani – nell'una o nell'altra forma?

L'unica spiegazione che l'intelligenza umana è riuscita a trovare è l'interpretazione probabilistica avanzata nel 1926 da Max Born (1882-1970) (pag. 53): «Immaginate di impostare un esperimento per misurare alcune proprietà delle particelle di un elettrone, ad esempio il suo spin, la sua posizione o la sua velocità. In generale, ci sarà una gamma di possibili risultati – una gamma di possibili valori che la quantità misurata potrebe assumere – ciascuno con la propria probabilità associata a priori. Il campo-psi (campo di probabilità) è l'indicatore di questa gamma di possibilità e delle probabilità ad esse associate. Si può dire, per esempio, che prima che la posizione, di una particella sia effettivamente osservata, non si può propriamente affermare che abbia una posizione, ha solo varie probabilità di apparire in questo o quel luogo: in effetti è solo un campo-psi, non una particella. Solo quando si esegue l'esperimento, quando si verifica effettivamente la sua posizione mediante una misurazione, essa acquisisce una posizione. Ha quindi acquisito una proprietà caratteristica di una particella, cioè la proprietà di trovarsi in un luogo particolare in un momento particolare». In questo modo si comincia a comprendere l'importante ruolo che la mente intelligente dell'osservatore, il quale deve mettere a punto l'esperimento, può avere nella determinazione di ciò che consideriamo reale. Il campo-psi, infatti non è di per sé osservabile nella realtà: non può essere né misurato né constatato, e consiste solo in un'elaborazione matematica che consente di spiegare certi aspetti della realtà.

Lord sintetizza così gli effetti del nuovo quadro creato dalla fisica quantistica: «La natura probabilistica degli eventi nel mondo delle particelle elementari significa, naturalmente, che la causalità strettamente deterministica della vecchia teoria fisica non si applica. Il risultato dell'osservazione di un sistema fisico non è determinato con precisione dallo stato del sistema in un momento precedente: è coinvolto un elemento di casualità. Molti fisici erano insoddisfatti di questo aspetto della teoria quantistica, ed alcuni lo sono ancora. Einstein, in particolare, era profondamente turbato dal modo in cui l'elemento del puro caso era entrato nella fisica a un livello così fondamentale, e non si era mai riconciliato con questa nuova e inaspettata direzione presa dalla fisica. I suoi dubbi sono ben riassunti nel suo famoso detto "Dio non gioca a dadi"». Poiché, tuttavia, le misurazioni possono essere eseguite, si potrebbe credere che il problema sia risolto una volta che le misure siano state acquisite. Ma a questo punto interviene il principio di indeterminazione di Heisenberg, per il quale non è possibile misurare contemporaneamente i valori relativi a due elementi complementari di una particella, come ad esempio la posizione di un elettrone ed il suo momento (massa per velocità): infatti, un aumento dell'accuratezza nella misurazione di uno degli elementi osservabili di una coppia comporta necessariamente una diminuzione dell'accuratezza con cui l'altro elemento può essere conosciuto.

Dunque, in cosa consiste esattamente un'osservazione? (Pag. 56): «La teoria quantistica ci assicura che l'apparato di misura è esso stesso una configurazione di campi quantistici interagenti (anche se estremamente complicata)... Non c'è nulla nella teoria quantistica che ci dica come o perché solo una di queste possibilità sia casualmente selezionata per acquisire lo status di realtà, niente ci dice perché la funzione d'onda decida improvvisamente di collassare, niente che spieghi la brusca transizione non deterministica verso una nuova configurazione del campo». A causa di questi aspetti, la teoria quantistica – la cui validità è stata confermata da molti esperimenti che, fino ad oggi, non l'hanno mai smentita – sembra più una teoria fondata sui limiti della nostra conoscenza della realtà, piuttosto che una teoria della realtà fisica oggettiva. Sembra che essa implichi la presenza di un ingrediente che non fa parte della realtà fisica osservata, ma che fa riferimento proprio all'osservatore (pag. 59): «Wigner ha avanzato l'ipotesi che l'ingrediente mancante sia la coscienza. Gli osservatori coscienti, come i fisici... non si limitano a registrare le informazioni come fa una macchina fotografica o qualsiasi altro dispositivo di misurazione, ma acquisiscono conoscenza. Naturalmente, questo serve a poco nel risolvere le difficoltà concettuali, poiché nessuno sa dire cosa sia la coscienza, né come sia correlata al resto del mondo. L'opinione di Wigner, tuttavia, serve ad evidenziare come siano necessari modi di pensare radicalmente nuovi per risolvere, se mai sarà possibile, le attuali difficoltà concettuali sollevate dalla teoria quantistica».

Allo stato attuale, la conoscenza fondata sull'osservazione è per noi la realtà, ed un'interpretazione – essenzialmente metafisica – di ogni possibile implicazione speculativa della teoria quantistica, come quella dei vari Mondi alternativi, si risolve in un'inutile tentativo di andare oltre ciò che possiamo conoscere. Tuttavia, proprio a causa dell'esigenza della presenza di un osservatore per determinare la realtà, la teoria quantistica ci dice che la realtà oggettiva è un mito al quale dobbiamo rinunciare. Lord riassume così la questione (pag. 66): «Le previsioni sperimentali della teoria quantistica hanno continuato ad ottenere successi eclatanti per tutto il ventesimo secolo. Tuttavia, per quanto la ragione umana si agiti e si affatichi nella sua lotta per venire a patti con le implicazioni della teoria e per ottenere il quadro coerente di una realtà oggettiva al di là delle osservazioni, essa finisce in un vicolo cieco. La teoria quantistica sembra sempre implicare che l'effettiva esistenza di una realtà fisica, indipendente dalle osservazioni e che dà origine alle stesse, sia illusoria, che la nozione di una realtà dotata di consistenza propria si applichi, in ultima analisi, non alla materia, ma solo agli atti di osservazione...».

La mente e la coscienza

Tutte le teorie e le speculazioni sulla natura del mondo sono un prodotto della mente umana. Il mondo interiore, fatto di pensieri, immagini, sentimenti, ricordi, ecc., costituisce per ognuno di noi ciò che possiamo definire realtà primaria. Noi siamo istintivamente (cioè automaticamente) portati ad attribuire un valore di realtà oggettiva a ciò che percepiamo, ma il successo del metodo scientifico sta proprio nelle strategie da esso adottate per non incorrere negli errori a cui di norma andiamo soggetti nel processo di acquisizione della conoscenza. Alla luce di queste premesse, come sottolinea Lord (pag. 69): «...è piuttosto ironico ed alquanto paradossale che, nella ricerca della conoscenza, proprio quella relativa alla natura della mente si sia rivelata particolarmente sfuggente. I concetti derivanti dall'esperienza diretta di cosa significhi essere una creatura con una mente – consapevolezza, attenzione, volontà, stati d'animo e sentimenti vari – sono stranamente difficili da definire. È come se ci trovassimo di fronte a un diverso tipo di realtà, separato dalla realtà fisica oggettiva che la scienza ha sondato con tanto successo».

Non si trova, nel libro di Lord, un sufficiente approfondimento di quelli che lui definisce genericamente stati mentali (e che io preferisco chiamare esperienze psichiche) in relazione al coinvolgimento da parte degli stessi di un soggetto, l'io cosciente, che può anche identificarsi completamente con essi. L'autore ripercorre l'iter storico tramite il quale è stato affrontato, tanto dalla filosofia quanto dalla scienza, il problema del rapporto tra mente e cervello, spiegando al lettore il significato, la coerenza (o l'incoerenza) e le implicazioni delle principali teorie avanzate al riguardo (behaviorismo, dualismo, riduzionismo, ecc.). Afferma poi, com'è ovvio, che una (eventuale) scienza dei veri aspetti psichici della realtà deve adottare metodi sostanzialmente differenti da quelli utilizzati dalla fisica. Su questo non c'è dubbio, ma resta il problema di come si possa passare, dalla descrizione di eventi intrinsecamente soggettivi, ad un'interpretazione conoscitiva che non sia comunque l'espressione dell'orientamento psichico di chi la propone. I contributi dati da Freud, Jung, ed altri – citati da Lord – allo studio della psicologia, e la frammentazione della stessa in una varietà di scuole e di sottoscuole, sono proprio una testimonianza di questo problema: ognuno può interpretare le esperienze psichiche soggettive comunicate da altri alla luce del proprio orientamento psichico. Con queste premesse, una vera scienza della psicologia non sembra dunque possibile.

Come (giustamente, a mio parere) osserva Lord, le nostre capacità conoscitive – per quanto riguarda la psiche – sono limitate dalla stessa condizione umana, in particolare per quanto riguarda i processi mentali inconsci (pag. 94): «La mente inconscia, come ogni altra cosa, può essere conosciuta solo attraverso i suoi effetti sui contenuti della coscienza». Seguendo l'esposizione di Lord, ci si rende conto che con l'espressione mente inconscia lui intende fare riferimento alla psiche inconscia nell'accezione junghiana, ed infatti alcune pagine del suo libro presentano una disamina di vari aspetti della psicologia junghiana e delle sue influenze culturali. Il lettore del libro di Lord sente tuttavia la mancanza di un approfondimento sulla correlazione tra il funzionamento del cervello, l'attività cerebrale inconscia e le dinamiche psichiche coscienti: sebbene le attuali conoscenze in questo campo siano ancora molto limitate, e le ipotesi interpretative avanzate siano controverse, sarebbe stato, a mio parere, necessario definire le dinamiche psichiche con maggior precisione, mettendo in evidenza il ruolo del cervello come strumento sintonizzatore, o creatore (per chi ritiene che sia più corretto considerarlo in questi termini), dell'esperienza psichica.

Il tema del funzionamento del cervello viene però ripreso in seguito, in relazione alla coscienza, contrapponendo il riduzionismo più estremo (espresso nella citazione di Julian Huxley (1887-1975) riportata a pag. 104: «Noi siamo automi coscienti; e la nostra coscienza è solo una spuma accidentale, un'aura, un epifenomeno: le nostre sensazioni e sentimenti non sono che il prodotto collaterale del meccanismo del sistema nervoso, come le melodie prodotte dalle ruote di una pianola, che non hanno alcun effetto sul macchinario») all'ipotesi dualistica che ritiene che la coscienza possa in certi casi influenzare i processi cerebrali. Ovviamente viene ricordato John Searle, il cui punto di vista è stato riportato e valutato in questa pagina. Evidenziando i recenti enormi progressi nel campo dell'intelligenza artificiale, Lord esamina il problema di come possa emergere la coscienza dall'assemblamento – per quanto complesso – di parti alle quali non viene normalmente attribuita alcuna forma di coscienza: In fondo, il nostro cervello è fatto di molecole, e se attribuiamo una quantità zero di coscienza ad una molecola, non si vede come un sistema di molecole, per quanto grande, possa dare origine alla coscienza, a meno di non riconoscere a quest'ultima una propria esistenza autonoma, nei confronti della quale il sistema si comporta da rivelatore e sintonizzatore. Ma, in questo caso, non possiamo escludere che anche una macchina robotica progettata e costruita da noi umani possa manifestare una forma di coscienza.

Se invece attribuiamo forme di coscienza, anche rudimentali, alla materia vivente, ci resta da spiegare il fenomeno per cui gli atomi e le molecole della materia inanimata, sprovvisti di coscienza, si trasformino nelle più complesse molecole della materia organica vivente, dotate di barlumi di coscienza. Ma, ovviamente, bisognerebbe prima risolvere il mistero della trasformazione della materia inanimata in materia vivente, ed alla fine dobbiamo sempre riconoscere che le ipotesi fino ad oggi avanzate per spiegare questi complessi fenomeni non possono essere convalidate e, in parole povere, si basano solo sui fatti noti senza spiegare niente. Anche Lord concorda sul fatto che il riduzionismo, concentrandosi sullo studio del funzionamento del cervello, non risolve il problema della coscienza, ma – semplicemente – lo ignora (pag. 139): «La coscienza è ciò che sta avendo le esperienze; è l'io nell'espressione di Descartes "Penso, dunque sono". Come si è visto, i sistemi filosofici materialistici non suggeriscono alcuna ragione per cui la coscienza dovrebbe esistere; per questi sistemi essa è semplicemente un osservatore passivo irrilevante, che non prende parte al flusso causale degli eventi. Che noi sentiamo di avere il libero arbitrio è un fatto incontrovertibile – ci sembra di dirigere consapevolmente i nostri pensieri e le nostre azioni, che non sono interamente determinati da eventi esterni. I sistemi filosofici materialistici non possono fare a meno di insistere sul fatto si tratta davvero solo una "apparenza" – un'illusione – e che esiste una sorta di cospirazione per cui la coscienza, essa stessa un epifenomeno dell'attività cerebrale, viene continuamente ingannata dalla sensazione di avere una parte attiva». A me sembra tuttavia abbastanza importante anche la distinzione, che in Lord manca, tra l'io cosciente (il soggetto) e la coscienza (la funzione).

È importante sottolineare, come fa giustamente Lord a proposito del ruolo della coscienza, come alcune importanti attività che il nostro cervello svolge in modo inconscio, siano precedute da una fase di apprendimento, più o meno lunga, che richiede un'attenzione cosciente (pag. 140): «Quando siamo chiamati ad affrontare qualcosa di sconosciuto, dobbiamo concentrarci. Per apprendere in modo efficace, l'attenzione deve essere rivolta all'attività in questione. L'attività cerebrale che ha a che fare con una nuova abilità non familiare è prevalentemente un'attività cosciente. Solo quando, attraverso la ripetizione e la pratica, viene raggiunto un maggior livello di perizia, la funzione acquisita può essere esercitata con minor attenzione... Guidare un veicolo, ad esempio, può diventare un'attività mentale quasi del tutto inconscia. Solo quando accade di colpo qualcosa di inatteso, la coscienza viene nuovamente coinvolta: il guidatore è obbligato a "prestare maggiore attenzione". È come se le funzioni automatiche del cervello chiedessero aiuto alla coscienza quando si verifica una situazione che non riescono a gestire senza l'aiuto dell'attenzione cosciente». Dunque la coscienza ha un ruolo fondamentale, e non può essere ridotta ad un semplice epifenomeno del funzionamento più o meno computerizzato del cervello. Mi sembra anche importante evidenziare il ruolo svolto dalla concentrazione cosciente nel coordinamento di tutte le attività ideative e conoscitive svolte dalla nostra mente.

Nel capitolo del libro di Lord dedicato agli stati mentali vengono trattati, in modo non dissimile dalla sezione sugli stati di coscienza non ordinari di questo sito, i temi relativi ai sogni, ai sogni lucidi, alle OBE, alle NDE ed alle esperienze indotte da sostanze psicotrope. Inoltre, Lord accenna anche alle esperienze allucinatorie ed agli stati mistici. Tuttavia, nell'esposizione dei diversi approcci culturali mediante i quali è stato fino ad oggi affrontato il tema della coscienza, l'autore non mette sufficientemente in evidenza il problema del funzionamento della psiche umana, ed al lettore resta l'impressione che la coscienza coincida con le esperienze psichiche che coinvolgono l'io cosciente. Un breve ed insufficiente accenno alla psiche viene fatto a proposito del cognitivismo (pag. 156): «La psicologia cognitiva riconosce la possibilità, e la necessità, di indagare i processi mentali che trasformano l'input in output e si occupa degli aspetti dell'apprendimento, della motivazione e della volontà che la psicologia comportamentale aveva deliberatamente ignorato. La psicologia è tornata così ad interessarsi dei processi che – nei soggetti umani ed animali – sono alla base del comportamento osservato». Nell'esposizione di Lord, la coscienza viene presentata come un sistema operativo autonomo, ma pur sempre funzionale ad un processo le cui dinamiche non vengono approfondite (pag. 157): «La "cognizione" diventa un concetto un po' meno vago se si può fare una vera distinzione tra quei processi cerebrali che avvengono automaticamente (come l'elaborazione delle informazioni coinvolte nella percezione) e quelli che non lo sono. Gli argomenti che ho presentato suggeriscono che una tale distinzione ha senso e si adatta a molti dei fatti che altrimenti rimangono estremamente sconcertanti, e di cui qualsiasi teoria del funzionamento mentale dovrebbe tener conto. L'esistenza stessa della coscienza è, di per sé, una prova abbastanza forte di tale distinzione».

L'evoluzione della vita

Il capitolo 9 del libro, dedicato all'evoluzione della vita ed alle teorie avanzate per spiegarla, è uno dei più interessanti, soprattutto perché mette in evidenza i punti critici e la mancanza di sufficienti convalide del cosiddetto neo-Darwinismo, che tuttavia gode di ancora molto favore nell'ambiente scientifico. Lord pone anzitutto la questione se il riduzionismo possa essere considerato un metodo adeguato a studiare tutti i diversi aspetti dei sistemi complessi, quali sono senza dubbio gli organismi viventi (pag. 163): «La fenomenologia dei sistemi altamente complessi viene ora considerata con maggiore attenzione. Il significato di complessità sembra intuitivamente ovvio, ma risulta essere un concetto piuttosto sfuggente quando si cerca di darne una definizione rigorosa. Nel corso del ventesimo secolo si sono aperte aree di ricerca che riguardano la genesi di fenomeni organizzati in modo molto complicato. Una comprensione soddisfacente dei sistemi biologici richiede lo sviluppo di nuove modalità di pensiero e di nuove strutture teoriche. I sistemi complessi richiedono principi esplicativi olistici abbastanza diversi dai principi fisici e chimici che si applicano ai loro componenti materiali. La conoscenza dell'interazione dei loro costituenti – le molecole biochimiche – è contributiva e di supporto, ma la miope affermazione riduzionista secondo cui la costituzione molecolare spiegherebbe pienamente la complessità biologica lascia insoddisfatto il desiderio di comprendere. Inoltre, tale affermazione potrebbe non essere valida».

Rispetto alle nostre domande più profonde in merito all'evoluzione delle componenti materiali ed energetiche dell'universo, ed alle ragioni per cui dal disordine può nascere un ordine di tipo informatico, il neo-darwinismo può offrire solo una spiegazione sconcertante nella sua ingenua semplicità: che cioè sono sufficienti alcuni casuali errori di trascrizione del codice genetico degli organismi, ed i vantaggi in termini di successo riproduttivo che una minima parte di tali errori comporta, per dare conto dell'evoluzione dalle più rudimentali forme viventi primordiali all'intelligenza creatrice (e distruttrice) dell'umanità del nostro tempo. L'unico elemento che questa discutibile ipotesi può addurre a proprio sostegno è la lunga durata delle ere geologiche nelle quali tali meccanismi dovrebbero operare, confrontata con la relativamente breve durata della vita di ogni singolo organismo che prende parte al processo evolutivo. Ma bisogna fare i conti con l'estrema improbabilità che certe concatenazioni di mutazioni possano accadere per puro caso, anche in tempi così lunghi. Inoltre abbiamo sotto gli occhi esempi di cambiamenti sconvolgenti avvenuti in tempi brevissimi, come dimostrano i fenomeni di antropizzazione tecnologica che hanno mutato il volto del nostro pianeta negli ultimi due secoli. Il limite del neo-darwinismo è quello di voler considerare i mutamenti del codice genetico, che indubbiamente hanno luogo, come esclusivamente casuali, escludendo qualsiasi influenza nel determinare gli stessi da parte di forme di intento più o meno cosciente.

Ecco quanto Lord scrive nel merito (pag. 165): «È interessante notare come l'aumento della complessità del cervello negli esseri umani, ed il corrispondente incremento della complessità psicologica, sia stato, in termini evolutivi, estremamente rapido, superando di molto il tipo di sviluppo che può essere ragionevolmente presunto da modalità di spiegazione puramente meccanicistiche... La ricchezza della cultura umana, comprese le più alte conquiste nelle arti e nelle scienze – cioè tutto il sorprendente fenomeno del mondo dell'attività umana – deriva dall'attività cognitiva creativa della psiche umana. Sicuramente, qui abbiamo a che fare con qualcosa di più di una serie di incidenti nel messaggio genetico che codifica la morfologia del cervello dei mammiferi». Dopo aver messo in evidenza come nelle società umane i programmi culturali trasmessi tramite la rete dei cervelli abbiano un'influenza enorme sul comportamento degli organismi che ne fanno parte, Lord prende in esame alcune teorie interpretative delle dinamiche evolutive, come l'entelechia ed il lamarckismo, che sono state accantonate – forse con troppa fretta – dalla scienza ufficiale.

Il concetto di entelechia fu sviluppato da Hans Driesch (1867-1941), uno dei pionieri dell'embriologia sperimentale, per spiegare – alla fine dell'Ottocento – lo sviluppo degli embrioni, e la rigenerazione da parte di alcuni organismi, come le stelle di mare, di intere parti del loro corpo. Insoddisfatto delle spiegazioni puramente meccanicistiche, che gli sembravano insoddisfacenti, Driesch pervenne ad ammettere l'esistenza di un principio vitale organizzativo, immateriale e non meccanicistico, che stava alla base della creatività naturale. Oggi potremmo riconoscere in Driesch il precursore del riconoscimento dei poteri che regolano e dirigono la complessità informatica degli organismi viventi. «Le teorie metafisiche di Driesch furono, ovviamente, osteggiate da biologi con una visione materialista, i quali pensavano che i meccanismi fisici e chimici sarebbero stati considerati, con l'accrescersi delle conoscenze, del tutto sufficienti a spiegare il comportamento della materia vivente, senza il bisogno di postulare astratti concetti semi-teologici. I sorprendenti progressi compiuti nelle scienze biologiche durante il ventesimo secolo, in particolare la scoperta delle basi molecolari della genetica e dell'intricata biochimica alla base della struttura e del comportamento delle cellule viventi, sembrano aver ampiamente ripagato la loro fiducia, e l'entelechia di Driesch è stata relegata allo status di curiosità storica» (pag. 167).

Lord difende il concetto di entelechia dagli attacchi che gli sono stati mossi a causa della sua presunta incompatibilità scientifica: in effetti, se la scienza dell'epoca si basava sulla misurazione delle quantità, e considerava come reali le molecole e gli atomi, concetti energetici come elettromagnetismo e gravità – i cui effetti potevano essere misurati – già presentavano caratteristiche abbastanza misteriose, mentre il concetto di complessità informatica non era ancora venuto alla ribalta. In pratica la scienza si comportava – e spesso si comporta ancora in questo modo anche oggi – come se la spiegazione di tutto ciò che esiste fosse già implicita nella sua stessa esistenza, senza riuscira a dare alcuna valida dimostrazione sulle cause primarie che determinano gli effetti che osserviamo. Questo fatto è tanto più evidente nei confronti della complessità degli organismi viventi, di fronte alla quale il meccanicismo si è dimostrato del tutto incamace di fornire spiegazioni soddisfacenti dei fenomeni osservati. Si è arrivati così al curioso paradosso per cui (pag. 169): «nel corso del ventesimo secolo... le scienze biologiche sono diventate sempre più meccanicistiche nel tempo stesso in cui la fisica, costretta ad abbandonare il determinismo di fronte alla sconcertante complessità del mondo fisico, si è gradualmente resa conto che la materia stessa non è altro che un epifenomeno di probabilità fluttuanti portate da entità non materiali sfuggenti».

Lord prende poi in esame il lamarckismo, cioè l'ipotesi, avanzata da Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829), che determinate caratteristiche acquisite da un organismo per adattarsi alle condizioni ambientali nel corso della sua vita potessero essere trasmesse ereditariamente ai suoi discendenti (pag. 170): «Agli albori della teoria evolutiva quest'idea ebbe molti sostenitori. Lo stesso Darwin era uno di loro. Via via che la conoscenza del modo in cui vengono ereditate le caratteristiche morfologiche progrediva, l'ipotesi di Lamarck cominciò a sembrare estremamente improbabile, dato che le caratteristiche ereditate vengono trasmesse di generazione in generazione dai geni. Come Weismann mise in evidenza per primo, è inconcepibile che i geni di un individuo possano in qualche modo essere influenzati da cambiamenti morfologici e comportamentali che sono conseguenze accidentali di eventi della vita di quell'individuo. Si è dunque stabilito che la traduzione dell'informazione genetica che produce un organismo è un processo strettamente unidirezionale (dal genotipo al fenotipo)». Lord cita comunque alcuni esperimenti, ed in particolare quelli compiuti dal biologo austriaco Paul Kammerer (1880-1926), che sembrano confermare come – almeno in alcune specie – le caratteristiche acquisite tramite un adattamento ambientale vengano poi effettivamente trasmesse alla progenie. Potrebbe dunque essere possibile che certe mutazioni del codice genetico, anziché essere del tutto casuali – come sostengono i neo-darwinisti – siano influenzate da forme di intento che opera nell'organismo, in modo più o meno cosciente.

Come Lord giustamente osserva (pag. 172): «Da quando Darwin ha introdotto la frase "sopravvivenza del più adatto (survival of the fittest)", i darwiniani sono stati tormentati dalla necessità di definire cosa intendono per fitness (adattamento). La risposta ovvia, che le forme di vita più adatte sono quelle che sopravvivono, si risolve in una tautologia, e chiaramente non può funzionare. I neo-darwiniani hanno sostenuto l'idea che, nel contesto della teoria di Darwin, la fitness di un organismo sia essenzialmente l'efficacia della sua capacità di produrre prole; si afferma che gli organismi più adatti sono quelli che hanno maggiori probabilità di lasciare discendenti: "Per fitness si intende semplicemente la probabilità di sopravvivenza e di riproduzione. Le caratteristiche stesse non contano affatto. Tutto ciò che importa è chi lascia più discendenti nel corso delle generazioni"». Com'è evidente, idee di questo genere non fanno progredire di un solo passo le nostre effettive conoscenze. Ancora Lord (pag. 173): «Il fatto più evidente dell'evoluzione è che si tratta di un processo dinamico di adattamento a fattori ambientali che cambiano continuamente, in cui ogni specie è un fattore nel proprio ambiente. L'evoluzione è l'auto-interazione adattativa della biosfera. Le miriadi di strategie e di strutture adattive sono meravigliosamente precise ed efficienti, e non possono essere considerate del tutto casuali».

Dopo aver ricordato sia le esperienze del biologo britannico Rupert Shaldrake (nato nel 1942) che lo indussero a formulare la sua discussa e non dimostrata teoria della risonanza morfica, sia gli strani comportamenti determinati da quella che sembra essere una forma di cognizione collettiva presente nelle colonie di organismi, Lord si sofferma sulla complessità della morfogenesi (pag. 182): «Ogni organismo multicellulare inizia la sua vita come una singola cellula, che si sviluppa in un gruppo di cellule apparentemente identiche mediante la crescita e la suddivisione ripetuta. Ad un certo punto questo ammasso di cellule comincia ad organizzarsi. Passa attraverso sequenze di trasformazione sorprendenti, strutturandosi in modo sempre più complesso man mano che le singole cellule diventano più differenziate e specializzate, adottando nella struttura complessiva il comportamento e la morfologia appropriati al loro scopo. Questa è la morfogenesi, il processo maestoso e inconcepibilmente intricato mediante il quale una singola cellula si sviluppa in un organismo maturo – una giraffa, un albero, un essere umano o una zanzara – secondo il particolare messaggio genetico che la cellula originale conteneva codificato nel suo DNA... Nel corso degli anni si è accumulata un'enorme quantità di dettagliate conoscenze su queste intricate attività molecolari. Tuttavia, le incredibili complessità dell'organizzazione multicellulare sono ben lungi dall'essere ben comprese. Esistono enormi divari gerarchici che separano il livello più basso (la biochimica cellulare), i livelli intermedi (la formazione di tessuti e di organi strutturati in modo complesso) e i livelli più alti (l'integrazione delle attività di molti milioni di cellule per produrre un sistema funzionante – una creatura vivente)».

Lord passa in rassegna gli elementi conoscitivi a tutt'oggi acquisiti sulle modalità con le quali, mediante la produzione di enzimi, di ormoni e di altre proteine – attivata in una particolare fase del processo morfogenetico – ogni cellula sembra avere una conoscenza spaziale e temporale della propria funzione e delle proprie interazioni con le altre cellule dell'organismo di cui fa parte. Il processo informativo manifesta quindi tutte le sue potenzialità (pag. 183): «A un livello gerarchico superiore, la rete di comunicazione può essere vista come un'entità dinamica, una rete di informazioni trasportate da gradienti chimici e potenziali elettrostatici, che creano e governano regioni cellulari specializzate, e da esse create e governate. Considerato che l'informazione è astratta e non materiale, questa visione convenzionale, generalmente accettata, non è molto diversa dal concetto di entelechia di Driesch!». Questi argomenti sono stati esposti anche in questo sito nella pagina sull'origine della vita.

Dopo aver ricordato che la visione riduzionistica dei sistemi biologici considera la morfogenesi come risultante unicamente dai meccanismi delle interazioni molecolari, Lord obietta che la spiegazione proposta dai riduzionisti, che ritengono che il mistero della vita sia stato così risolto, non spieghi alcunché, ma consista solo in una comprensione rudimentale e parziale del fenomeno, sotto la falsa apparenza di una comprensione completa (pag. 184): «La conoscenza biochimica è la base per l'inizio della comprensione degli esseri viventi. I misteri fondamentali rimangono e sono immensi. Perché quelli che consideriamo (forse erroneamente) come i costituenti fondamentali della realtà fisica – molecole, atomi, quark, campi quantistici o qualunque cosa – hanno la miracolosa proprietà di essere in grado di evolversi, costruendo, apparentemente da soli, sistemi gerarchici sempre più complessi: cellule, piante, animali, società, ecosistemi (per non parlare di altre cose come lingue, idee, religioni e teorie scientifiche)?». Nella parte finale del paragrafo sulla morfogenesi l'autore si sofferma su alcuni esperimenti ed ipotesi alternative avanzate per dar conto, almeno in parte, degli aspetti enigmatici di questo complesso processo.

Interessanti anche le considerazioni di Lord al termine del capitolo sull'evoluzione della vita (pag. 188): «La conoscenza del mondo acquisita dalla scienza ha dato origine a un'ipotesi sconcertante: che la vita e la coscienza siano sorte dall'azione cieca, meccanica e senza scopo della materia; che l'unica realtà sia quella degli atomi e delle interazioni locali determinate dai loro incontri casuali. L'esplorazione scientifica si basa su alcuni principi ben fondati, principi il cui scopo è proteggere la conoscenza scientifica dall'intrusione dell'irrazionalità umana. Un importante principio della scienza riguarda il ruolo delle ipotesi. Un'ipotesi non è una credenza dogmatica a cui aggrapparsi strenuamente, da difendere e proteggere contro le dichiarazioni eretiche di coloro che cercano di contraddirla. Al contrario, un'ipotesi è uno strumento mentale, un quadro provvisorio di idee che consente di organizzare la conoscenza e di cercare nuove conoscenze... In molte menti, l'ipotesi è diventata qualcosa di inconfutabile: coloro che tentano di costruire ipotesi alternative sono considerati come stupidi che non capiscono cosa sia la scienza – vittime di superstizioni animistiche obsolete – e i risultati sperimentali e le osservazioni che non rientrano nello schema meccanicistico implicito nell'ipotesi vengono ignorati. Questo non è un atteggiamento razionale. È irrazionale e anti-scientifico. Abbiamo esaminato alcune delle idee di coloro che hanno tentato di cercare ipotesi alternative che potrebbero portare a una comprensione più ricca e profonda. Queste idee non sono fantasie, sono state elaborate sulla base di osservazioni del mondo reale: queste osservazioni lasciano intendere, in modo persistente e cumulativo, che il sorprendente comportamento organizzativo, costruttivo ed esplorativo che caratterizza i sistemi biologici non è solo un prodotto arbitrario ed accidentale del caso, ma piuttosto la manifestazione di qualcosa di incorporato nel tessuto stesso della realtà. Ciò equivale a un'ipotesi praticabile, né più né meno sbalorditiva dell'ipotesi materialista, e altrettanto degna di seria attenzione. In effetti, il fatto stesso che la vita e la coscienza siano sorte in un universo altrimenti caotico, depone fortemente a suo favore».

Esperienze paranormali e congetture conclusive

I due capitoli del libro dedicati alla parapsicologia ed alle varie esperienze paranormali, pur essendo interessanti, sono il risultato dello studio dell'ampia letteratura esistente su tali argomenti, e non aggiungono molto, sotto il profilo conoscitivo, a quanto riportato anche nelle pagine di questo sito. L'autore è senza dubbio convinto della realtà dei fenomeni paranormali, sulla base della straordinaria quantità di resoconti e di testimonianze – anche da parte di scienziati qualificati – che si sono accumulati nel tempo, e riflette sui motivi per i quali alcune persone sentono la necessità di negare a priori la possibilità che tali eventi possano verificarsi. Lord mette in evidenza come molte delle confutazioni avanzate in merito alla correttezza nell'esecuzione di certi esperimenti ed alla valutazione dei relativi risultati non reggano ad una critica imparziale, e tuttavia vengono prontamente accettate perché offrono una facile via di uscita a coloro che si sentono turbati dal riconoscimento che certi fenomeni hanno un'esistenza reale e non sono allucinazioni soggettive.

Ovviamente, per la loro stessa natura, gli esperimenti ideati per verificare i fenomeni oggetto di studio da parte della parapsicologia non presentano quelle caratteristiche di identità e di affidabilità dei risultati indipendentemente  dalle condizioni psichiche dei soggetti coinvolti (sperimentatori e partecipanti), che sono il presupposto della convalida scientifica dei risultati ottenuti, e dunque può accadere che uno sperimentatore, pur eseguendo correttamente un esperimento, ottenga risultati diversi da quelli ottenuti da un altro sperimentatore. Lo studio dei fenomeni paranormali presenta dunque molta più affinità con le scienze umane (come la storia, o la sociologia) che non con le scienze fisiche, ed i tentativi fatti – anche con un certo successo – per fare accettare la parapsicologia come scienza, hanno avuto come effetto quello di limitare il campo di studio ai fenomeni che possono essere oggetto di esperimenti da laboratorio, senza poter offrire alcuna garanzia in merito alla convalida indipendente dei risultati ottenuti.

Lord mette in evidenza il ruolo dell'esperienza umana nel determinare gli orientamenti culturali prevalenti, compreso il meccanicismo (pag. 216): «Come abbiamo visto, l'attitudine estremamente scettica che dà per scontata l'impossibilità dei fenomeni paranormali nasce dalla convinzione intuitiva, spesso non esplicitamente riconosciuta, che la realtà sia un meccanismo. Da cosa nasce questa convinzione? È generata e rafforzata dalla nostra esperienza quotidiana ordinaria degli oggetti inanimati... Come abbiamo visto, la validità universale di questo quadro meccanicistico è aperta a dubbi, che non vengono sollevati solo dai parapsicologi. La conoscenza scientifica è, ovviamente, il risultato del modo in cui gli esseri umani sperimentano consapevolmente il mondo. La ragione dell'esistenza di questa cosa, di questa esperienza cosciente, è misteriosa, e potrebbe essere un esempio del tipo di domanda a cui la scienza non può rispondere... L'esperienza cosciente abbraccia una gamma di fenomeni più ampia rispetto a quelli a cui la scienza ha tradizionalmente prestato attenzione. La parapsicologia sperimentale non è nata spontaneamente da un desiderio perverso di opporsi a principi scientifici razionali. Al contrario, è stata la risposta ad una vasta gamma di esperienze cosiddette paranormali che sembravano eludere la comprensione razionale, ed è stata motivata dall'esigenza di dare rispettabilità scientifica a questo tipo di esperienza umana al fine di ottenere una migliore comprensione dello stesso».

Anche Lord riconosce che le modalità con cui possono essere condotte le ricerche sperimentali nel campo della parapsicologia non sono conformi agli standard richiesti dal metodo scientifico (pag. 220): «Nella tentativo di effettuare verifiche di laboratorio, i parapsicologi sono ostacolati dal non conoscere le condizioni per cui gli effetti che stanno cercando di testare possono o meno aver luogo. Essi riconoscono che queste condizioni sono psicologiche, ma non sono note le particolari caratteristiche psicologiche dei rari individui che risultano essere buoni soggetti, e sono sconosciuti anche gli stati mentali in cui l'ESP è possibile (se risulta possibile!). Questi esperimenti quindi differiscono radicalmente da quelli delle scienze fisiche, in quanto le condizioni giuste sono costituite da fattori psicologici sconosciuti, così che un requisito che è ritenuto la condizione sine qua non di un autentico impegno scientifico, vale a dire l'affidabile ripetibilità degli esperimenti, non può essere soddisfatto». Tra le varie esperienze parnormali delle quali Lord presenta alcuni esempi, oltre alla telepatia, alla chiaroveggenza, alla psicometria, alle OBE, alle NDE, alle apparizioni ed ai fenomeni medianici, vengono presi anche in considerazione la rabdomanzia, la reincarnazione, le facoltà ESP degli animali, e gli eventi relativi agli avvistamenti ed alle testimonianze di abduzioni riportati nei dossiers sugli UFO.

Lord conclude il capitolo sulle esperienze paranormali con un'esortazione nei confronti della scienza – intesa come esigenza umana di ampliare le nostre conoscenze – affinché dimostri un maggior interesse nello studio di questi fenomeni, superando l'impostazione meccanicistica (pag. 282): «L'indagine scientifica è la ricerca di una piena comprensione intellettuale della realtà che sta dietro ciò che la mente umana sperimenta nel suo incontro con il mondo. La scienza è guidata dalla curiosità e dall'immaginazione. Innalzare barriere per proteggere la purezza della scienza da tutto ciò che testimonia la natura anomala di certi tipi di esperienza, e percepire queste aree come una minaccia per la scienza, è un impulso del tutto anti-scientifico. È un tentativo di rifugiarsi nell'ignoranza, un impulso – fondato sulla paura dell'ignoto – di allontanarsi da tutto ciò che sembra sfidare i preconcetti a cui ci siamo affezionati. Uno studio della letteratura sulle esperienze paranormali condotto con mentalità aperta ma anche con un sano scetticismo, al fine di cercare di vedere dove si trova la verità, rivela rapidamente che le convinzioni meccanicistiche richiedono un'enorme sforzo esplicativo, tanto che l'esercizio di far rientrare ogni spiegazione in questo quadro alla fine diventa estremamente faticoso e non plausibile». Resta da vedere quali paradigmi del metodo scientifico possano essere mantenuti, e quali vadano modificati, per affrontare con successo questo genere di studi, che – fino ad oggi – hanno eluso le oggettive certezze interpretative sulle quali la scienza può fare affidamento, almeno in certi campi.

L'ultimo capitolo del libro, intitolato Speculazioni e congetture, è interessante e stimolante, in quanto l'autore – abbandonata ogni pretesa di scientificità – si lascia andare ad alcune considerazioni a carattere speculativo, comunque coerenti con quanto esposto nel suo libro, in merito alle possibili teorie interpretative di tutti quei fenomeni che possono entrare a far parte dell'esperienza della vita umana, ma la conoscenza dei quali ancora sfugge alla capacità intellettiva della nostra coscienza. Ad alcune di queste congetture speculative – come quelle relative all'Universo informatico, o alla Mente cosmica – abbiamo accennato anche nelle pagine di questo sito. Particolarmente interessante è il paragrafo sulla genesi del significato e dello scopo nell'ambito dell'evoluzione degli organismi viventi, ed in particolare degli esseri umani, un processo nel quale va ricondotta anche la capacità della mente umana di ragionare e di comprendere (pag. 322): «In effetti, le scoperte nella scienza si ottengono con modalità di pensiero più flessibili, che coinvolgono l'immaginazione, la speculazione e l'intuizione. Il rigore logico viene imposto dopo l'evento, quando le idee scientifiche vengono esposte. L'argomento ragionato è un artefatto, un prodotto finale distillato da processi mentali più fluidi e più olistici. L'attività cognitiva sottostante opera in termini di contesto e significato. Nell'attività cognitiva, l'informazione non viene semplicemente elaborata, essa è anche compresa. La comprensione nasce dall'organizzazione dell'esperienza soggettiva cosciente, un'attività psichica che, vorrei dire, trascende i principi meccanicistici, computazionali e algoritmici».

Verso la fine del libro (pag. 327) Lord sintetizza in questi termini l'intento delle congetture e delle proposte da lui avanzate: «Nel suggerire provvisoriamente un modello psicofisico della realtà, in cui una coscienza generalizzata produce il mondo osservato (che emerge) da una realtà sottostante, non sto sostenendo un ritorno a forme obsolete di pensiero non scientifico, ma sto cercando una visione più equilibrata che riconosca i fatti anomali che la filosofia meccanicistica prevalente non può comprendere, e che pertanto ignora o sminuisce. Le mie speculazioni sono nate da un confronto con questi fatti e resteranno valide, o cadranno, a seconda dei risultati di ulteriori indagini e delucidazioni dei fatti verificabili. Nel tentativo di guardare dietro il velo della realtà osservabile, la scienza si trova in una posizione simile a quella dello psicologo che tenta di dedurre la natura delle profondità nascoste della psiche dai loro effetti nell'esperienza e nel comportamento soggettivi coscienti. L'esistenza e la natura di livelli di realtà più profondi, al di là del mondo osservabile, si rivelerebbero, analogamente, attraverso i loro effetti nel mondo osservabile. Questi effetti si manifestano nelle proprietà auto-organizzative non meccanicistiche della materia vivente, nell'esistenza dell'aspetto soggettivo della realtà osservabile – in particolare nell'esistenza della coscienza e della volontà – ed in quelle anomalie dell'esperienza soggettiva cosciente che vengono chiamate eventi paranormali».

Come ho detto, la lettura del libro di Lord è raccomandata a tutti coloro che sentono interesse per il problema della conoscenza, anche in relazione al significato ed allo scopo della vita umana. Va sottolineata inoltre la chiarezza espositiva dell'autore in relazione ai vari argomenti affrontati nel libro. C'è tuttavia un aspetto, a mio parere molto importante, che non viene approfondito in questo libro: quello della relazione tra l'io cosciente e la psiche umana, e l'occasione offerta dalla vita come opportunità per la trasformazione e per l'evoluzione dell'io cosciente. Nelle sue considerazioni finali, Lord fa pur sempre riferimento ad una posizione nell'ambito della psiche, quasi come se si dovesse semplicemente cambiare il punto di vista per avere una comprensione più ampia e più soddisfacente della realtà (ed anche, probabilmente, una più efficace capacità di controllo su di essa). Ritengo dunque che vi sia un aspetto della soggettività – rappresentato, appunto, dall'io cosciente – che non può essere dissolto nell'oggettività richiesta dal metodo scientifico (che, ricordiamolo, rappresenta solo un aspetto della psiche umana), a meno di non voler ridurre l'essere umano allo stato di automa umano.

Come ho più volte evidenziato, nell'ambito della psiche umana si manifestano dinamiche conflittuali e problematiche di enorme portata, con le quali l'io cosciente deve confrontarsi nel caso in cui voglia sottrarsi alla completa identificazione con le dinamiche psichiche nelle quali viene coinvolto: una condizione, questa, che rappresenta la normalità esistenziale, soprattutto nell'ambito della nostra cultura. Se l'io cosciente non comincia a porsi qualche domanda sull'origine stessa della psiche, sulla funzione della coscienza come strumento di sperimentazione delle dinamiche psichiche, e sul significato e l'importanza che questo confronto con la psiche può avere per la sua evoluzione, si corre il rischio di perdere di vista il valore stesso della soggettività, che verrebbe trasformato e travisato in una nuova forma di (pretesa) oggettività. In fondo, i fenomeni medianici e paranormali sono sempre collegati con un soggetto (il medium, il sensitivo, il percettore occasionale), e proprio questo fatto ne rende di per sé impossibile una valutazione oggettiva, quasi a sottolineare l'importanza di un elemento imponderabile che si sottrae alla standardizzazione imposta dall'oggettività. Questo è il motivo per cui – a mio parere – è possibile investigare e studiare tali fenomeni, ma non siamo nelle condizioni di poterne spiegare le cause.


 

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