OBE - Esperienze fuori dal corpo

 

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Modalità di attivazione delle esperienze di uscita dal corpo fisico

La condizione perché un’esperienza possa essere classificata come OBE (Out of the Body Experience) è che venga coscientemente sperimentata un’effettiva separazione (dal corpo fisico) di qualcosa che viene sentito come un secondo corpo, distinto dal fisico ma altrettanto ben percepibile. Come aveva già osservato van Eeden nel suo Studio sui sogni, talvolta è possibile avere la percezione contemporanea di entrambi i corpi, le cui membra sono in posizioni diverse e stanno compiendo azioni diverse. Un’OBE può anche iniziare dallo stato di sonno, attraverso un risveglio nel quale ci si rende conto che il secondo corpo (che chiamerò virtuale per distinguerlo da quello fisico) è uscito o sta per uscire dal corpo fisico. Non di rado si perviene all’OBE mediante una fase di rilassamento che non prevede il black-out della consapevolezza dello stato di veglia, ma porta alla percezione di un intenso stato vibratorio nell'area della corteccia temporale, durante il quale i due corpi riescono a separarsi (a volte lo fanno automaticamente, altre volte è necessario un atto intenzionale da parte del soggetto sperimentatore). In molti casi la percezione del corpo virtuale è l'unico elemento che distingue un'OBE da un sogno lucido cosciente, tuttavia non sempre le OBE si verificano quando il corpo fisico è in uno stato di sonno o di dormiveglia: talvolta hanno luogo, in modo pressoché istantaneo, anche durante lo stato di veglia. Vi sono infatti testimonianze di OBE accadute improvvisamente, mentre il corpo fisico era impegnato in attività ordinarie: l'io cosciente, impegnato a seguire l’attività del corpo fisico, si trova improvvisamente sbalzato sulla sintonia del corpo virtuale, ed attraverso quest’ultimo ha un’esperienza, in genere di breve durata, completamente svincolata dall’attività del corpo fisico. Infine si risintonizza su quest’ultimo. Cosa accade nel frattempo al corpo fisico? A quanto pare continua a portare avanti l’attività in cui era impegnato, anche senza l’assistenza e la direzione dell'io cosciente.

Una tipica OBE prevede una fase preparatoria, di profondo rilassamento, durante la quale l'io cosciente comincia ad avere la sensazione di essere collegato ad un secondo corpo, che però è imprigionato (forse sarebbe più esatto dire calamitato) all’interno del corpo fisico. Di norma un comando intenzionale dato ad un arto del corpo virtuale, per esempio ad un avambraccio, affinché compia un movimento, viene trasferito allo stesso arto del corpo fisico, ma al termine della fase preparatoria la sensazione di dualismo è fortemente accentuata: diversamente da quanto accade nello stato ordinario di veglia, quando avviene la separazione (di solito in coincidenza con una fase in cui vengono percepite vibrazioni cerebrali intense che, partendo dall'area delle tempie, si estendono a tutto il corpo) l'io cosciente si trova associato al corpo virtuale, ed il corpo fisico viene percepito come un oggetto esterno, inerte, in stato di sonno profondo. A quel punto il corpo virtuale è in grado di muoversi secondo l'intento dello sperimentatore. Può osservare l’ambiente, decidere di uscire, camminare, volare, passare attraverso porte e pareti, e così via. Quasi sempre però le OBE avvengono spontaneamente, e quando una persona ne fa esperienza per la prima volta ne resta non poco sorpresa.

Percezione contemporanea del corpo fisico e del corpo virtuale

Certe volte la fase di sdoppiamento in uscita, o quella di rientro nel corpo fisico, non sono istantanee, e la coscienza resta focalizzata per qualche minuto tanto sul corpo fisico quanto su quello virtuale. È allora possibile avere una percezione contemporanea, dall’interno, di entrambi i corpi e delle cose che stanno facendo. Una volta, per esempio, mi trovai ad uscire dal corpo fisico svitandomi, come se fossi uno di quei molluschi che ad un certo punto abbandonano la loro conchiglia formata a chiocciola. Potevo sentire contemporaneamente le contorsioni del corpo virtuale, che si girava ripetutamente su se stesso, e l’immobilità di tutti gli arti del corpo fisico, che si comportava esattamente come un guscio pesante ed inanimato. In genere questa fase di transizione comporta una dissolvenza progressiva della coscienza del corpo fisico in favore del consolidamento della percezione del corpo virtuale.

Realtà percepita in stato di OBE e realtà ordinaria

Alla domanda se ciò che viene percepito mediante il corpo virtuale corrisponda alla realtà fisica oggettiva la mia risposta è negativa, e penso che sia così per la quasi totalità delle descrizioni di OBE di cui sono a conoscenza. È vero che quando io vedo il mio corpo fisico mediante il corpo virtuale sono sicuro che si tratti del mio corpo fisico, ed anche quando ne osservo i dettagli sono certo che quei dettagli mi corrispondono, così come, se osservo la stanza in cui mi trovo, la riconosco per la mia camera, e all’interno dell’OBE raramente ho dei dubbi sulla posizione delle finestre, dell’armadio, o sui dettagli della mia casa. Però, dato che ho un’ottima memoria (ben allenata nel ricordare i sogni e, a maggior ragione, esperienze come le OBE e i sogni lucidi), quando torno nello stato di coscienza di veglia e confronto la realtà ordinaria con quanto avevo percepito come reale durante l’esperienza, compreso il mio corpo, trovo sempre delle discordanze. Il percepire qualcosa come perfettamente reale nel corso di un’OBE, dunque, non implica una corrispondenza con la realtà ordinaria.

Sono stati tuttavia descritti alcuni casi in cui le facoltà percettive del corpo virtuale sembravano superare la barriera di separazione dalla dimensione fisica. In una delle molte esperienze di laboratorio compiute da Charles Tart negli anni '70, un'esperta onironauta riuscì, durante un’OBE, a leggere e memorizzare correttamente un numero di cinque cifre nascosto sopra una mensola, impossibile da raggiungere visivamente mediante il corpo fisico. Fu però l’unico successo tra molti fallimenti, e dunque potrebbe essere statisticamente dovuto ad una coincidenza casuale. Anche alcune testimonianze relative alle NDE (esperienze in prossimità della morte) riportano la descrizione, talvolta esatta nei dettagli, di particolari ed eventi del mondo fisico che non avrebbero potuto essere accessibili alla coscienza ordinaria del soggetto. Le NDE possono presentare certi elementi caratteristici delle OBE, tanto che alcuni studiosi considerano la morte come un’OBE definitiva, cioè senza ritorno nel corpo fisico.

Caratteristiche dell'esperienza

Durante un’OBE si possono fare le cose più diverse, ed in genere nulla di ciò che si fa è banale, perché anche le azioni più semplici sembrano avere implicazioni profonde. Se un'OBE avviene mentre il corpo fisico sta dormendo, non è praticamente distinguibile da un sogno lucido cosciente: forse l’OBE è qualcosa di più serio, direi quasi di più reale, non tanto per la qualità della coscienza, dato che i sogni coscienti possono essere altrettanto reali della realtà stessa, quanto nei particolari e nei dettagli del mondo esplorato e nell'intensa percezione del corpo virtuale. Durante un’OBE si percepisce con tutto il corpo qualcosa che viene vissuto come reale, analogamente a quanto accade nella realtà. Non sempre l'esperienza si adatta ai nostri desideri: se una volta si riesce a passare col corpo virtuale attraverso una porta chiusa, non è detto che lo si possa fare anche la volta successiva. A volte si riesce a volare con facilità, altre volte non c’è verso di riuscirci. Ci si può spostare a grandi distanze molto velocemente, ma in certi casi non si riesce nemmeno ad uscire dalla propria camera da letto, o ci si perde nell’osservazione di dettagli, cose e piccoli oggetti che ci attraggono. Un’OBE inizia con l’uscita dal corpo fisico e termina con il rientro, a volte precipitoso, nel corpo stesso. Io non sono comunque un esperto: nel corso della mia vita avrò avuto non più di una dozzina di OBE certe, mentre il numero di sogni lucidi e sogni controllati è nettamente superiore. Ricordo tutte le mie OBE come caratterizzate da precisi movimenti del corpo virtuale in relazione ad un ambiente esterno del quale esaminavo i dettagli.

Le OBE di Robert Monroe e di altri sperimentatori

Un vasto assortimento di queste esperienze si trova in due libri di Robert Monroe (1915-1995) tradotti anche in italiano, I miei viaggi fuori dal corpo (Editrice MEB, 1974) e Viaggi lontani (Far Journeys). Un altro libro interessante del 1983 è Esperienze fuori del corpo di Giorgio di Simone (Edizioni Mediterranee). Vi sono riportate le OBE sperimentate durante un periodo di circa tre anni da Renato Patelli, un signore torinese che le descrive all’autore del libro in una serie di lettere. Si tratta di OBE classiche, che si manifestano in modo spontaneo (e dunque non a volontà dello sperimentatore), ma con una frequenza di tutto rispetto. Colpisce anche l’insolita durata (fino ad oltre 90 minuti) di alcune di queste esperienze. La manifestazione del fenomeno è molto regolare: quando il soggetto si corica per dormire, dopo qualche minuto entra nello stato di torpore tra la veglia ed il sonno, ed in questa condizione o si addormenta oppure percepisce l’insorgere dello stato vibratorio, più o meno intenso, cui fa seguito la sua separazione dal corpo fisico. Sulla veridicità delle esperienze del Patelli non ho alcun dubbio, perché il modo in cui si manifestano è in linea con le mie esperienze personali e con le descrizioni di altri autori. Durante queste escursioni fuori dal corpo, la consapevolezza del Patelli, sempre vigile e molto lucida, esplora vari ambienti ed entra in contatto con personaggi o entità appartenenti a quella che possiamo definire come una dimensione virtuale. Alcuni di questi ambienti e di questi personaggi sono in relazione con la realtà ordinaria del soggetto (case e piazze di Torino, i vicini di casa, ecc.), mentre altre entità si dichiarano, o vengono interpretate, come trapassate, e l’ambiente in cui si trovano viene percepito come ultraterreno.

È stato poi predisposto dall'autore del libro (di Simone), anche dietro sollecitazione del Patelli, un esperimento abbastanza complesso e dall’andamento incerto, in cui un sacerdote recentemente trapassato di nome Zola, entità guida di una sensitiva di Salerno, contattato dal Patelli in OBE, doveva riferirgli una parola d’ordine. Tale parola o frase veniva poi comunicata alla sensitiva dalla stessa entità Zola. Entrambi, il Patelli e la sensitiva, avevano come unico referente il professor di Simone, al quale dovevano comunicare la parola d’ordine ottenuta. Il lettore interpreterà gli esiti dell’esperimento, riportati nel libro, secondo il proprio giudizio: si può notare il grande sforzo compiuto da Patelli per riuscire a pervenire a risultati da lui definiti oggettivi in relazione alla sopravvivenza dopo la morte. A me sembra che le OBE siano poco adatte ad esperimenti di questo tipo, per il motivo che lo stesso Patelli fa rilevare. Egli, rivolgendosi a di Simone, dice (pag. 106): «perché, mi creda, quando ci si trova fuori dal corpo fisico, il sollievo è tale e tanto che nuovi desideri, nuove impellenze, nascono tout-court, sì da far passare in secondo piano quanto ci si era proposti di fare prima: lo stupore e la meraviglia sono troppo forti... al nostro io più vero, più profondo, non appena gli riesce di liberarsi del veicolo più pesante, rappresentato dal corpo fisico, non importa nulla, niente di niente, di prove, obiettivi, dimostrazioni o altro». Non posso che concordare con queste parole: esse mettono in evidenza il fatto che l’OBE è determinata da una variazione di quelle che io chiamo sintonie della psiche. Nell’ambito della consapevolezza dello stato ordinario di veglia noi ci possiamo porre domande, assillanti (e talvolta anche angosciate) in merito alla morte, alla sopravvivenza, all’aldilà, al destino dei trapassati: domande determinate dalle particolari sintonie della psiche in base alle quali la mente funziona nella realtà ordinaria. Una volta che si riesca  a spostare la mente su altre sintonie (e persone come Patelli sembrano essere dotate al riguardo di facoltà non comuni), ecco che si entra in nuove dimensioni, nelle quali tutte queste domande perdono di importanza.

Non sempre, però, le OBE sono piacevoli o meravigliose. Alcuni resoconti di Robert Monroe e di altri sperimentatori parlano di situazioni e circostanze decisamente angoscianti. Nelle OBE da me sperimentate, esperienze stupende si sono alternate con altre poco piacevoli, anche se pur sempre interessanti. Credo che questo sia dovuto al fatto che lo sperimentatore non è in grado di controllare lo spostamento di sintonia. È come se qualcuno premesse a caso un tasto di un telecomando della TV, e dovesse poi assistere al programma selezionato, che gli piaccia o meno.

Le esperienze di Buhlman

Un altro libro interessante in tema di OBE è quello dell'americano William Buhlman, Adventures beyond the body, tradotto in italiano nel 1997 col titolo Avventure fuori dal corpo (Ed. Sonzogno). I 25 anni che separano il libro di Buhlman da quello di Monroe (I miei viaggi fuori dal corpo) si sentono: la testimonianza di Monroe era cauta, prudente, quasi preoccupata per le possibili interpretazioni negative che la cultura dell’epoca avrebbe potuto dare alle sue esperienze, mentre lo scritto di Buhlman è sicuro, incisivo, audace nel presentare senza timori i resoconti delle esplorazioni che, a suo avviso, si producono su frequenze energetiche più elevate di quella fisica. Sicuramente Buhlman (come del resto Monroe) ha un talento straordinario come viaggiatore nelle dimensioni eteriche, ma mentre Monroe aveva già superato la quarantina quando iniziarono in modo improvviso (nel 1958) le sue straordinarie esperienze, Buhlman nel 1972 era poco più che ventenne, e nei resoconti delle sue esplorazioni si sente l’entusiasmo e l’energia di chi scopre dinanzi a sé nuove sconfinate dimensioni.

Va osservato che né Monroe né Buhlman credevano nell'autenticità di questo genere di fenomeni prima di farne esperienza diretta. Buhlman dice testualmente che per lui non c’erano prove che dimostrassero l’esistenza di dimensioni diverse da quella del mondo fisico o la continuazione della vita dopo la morte: a suo parere, simili concetti erano deboli tentativi umani di creare la speranza là dove non esisteva. Nel 1972 un vicino di casa gli raccontò di una strana esperienza accadutagli qualche tempo prima, in cui si era trovato a fluttuare al di sopra del suo corpo fisico. Buhlman, incuriosito, cercò alcune letture che trattassero dell’argomento e, sebbene considerasse questi resoconti come il frutto di una fantasia troppo fertile, per pura curiosità decise di provare una delle tecniche consigliate, prima di addormentarsi, ma senza successo. Dopo alcune settimane di tentativi (segno evidente che il suo interesse di fondo era rimasto agganciato, nonostante lo scetticismo di superficie), quando ormai cominciava a sentirsi ridicolo, si trovò improvvisamente fuori dal corpo: se ne rese conto perché, dopo aver udito uno strano ronzio, allungando un braccio per toccare la parete vide la sua mano che vi penetrava. Fu l’inizio di una serie continua di esperienze di cui la prima parte del libro riporta diversi resoconti distribuiti nell’arco di un ventennio.

La realtà oggettiva e le sintonie della coscienza

Nella seconda parte Buhlman sintetizza le conoscenze di fisica e di astronomia divulgate all'inizio degli anni '90, sulle quali dimostra di avere un’informazione non superficiale, ripercorrendo le tappe che a suo parere hanno portato nel secolo scorso ad una visione dell’universo che non corrisponde a ciò che possiamo credere sulla base della nostra esperienza sensoriale. Non esita poi, con fantasiosa audacia, ad estrapolare le conoscenze acquisite nel corso delle sue numerosissime OBE per presentarci una sua teoria dell’universo (o sarebbe meglio dire: degli universi) che secondo lui avrebbe segnato l’ulteriore evoluzione della ricerca scientifica nel prossimo futuro. Se l’immagine che noi abbiamo della vita, del mondo e dell’universo è il risultato di una determinata sintonia della coscienza – sostiene Buhlman – il fatto che la realtà ci sembri assoluta ed oggettiva deriva dal consenso di un gran numero di coscienze individuali fissate sulla stessa sintonia: la forza di questa massa critica fa sì che tale sintonia venga trasferita anche alla coscienza dei nuovi membri del gruppo sociale. Di norma l’io è passivo di fronte a questo fatto, e non sospetta nemmeno di poter eventualmente spostare la coscienza su una sintonia diversa da quella in cui si trova nello stato di veglia. Prova anzi una paura profonda, quasi viscerale, nei confronti di questa eventualità, sia perché spostare la frequenza della coscienza significa sfidare le regole e le convenzioni della normalità, mettendo anche a rischio la propria sopravvivenza fisica, sia perché navigare nell’ignoto, da soli, richiede sempre un certo coraggio. Una concezione molto simile era già stata manifestata da Carlos Castaneda (1925-1998) nel suo ciclo di libri sullo sciamano indio chiamato Don Juan.

Va però considerato che nella seconda metà del Novecento la situazione si è alquanto modificata: la forza collettiva che fissa la frequenza della coscienza ha in parte allentato la sua presa, e le testimonianze di viaggi su sintonie diverse sono diventate sempre più numerose e diffuse (basta pensare alle esperienze con droghe psichedeliche). Inoltre ogni notte, quando sognamo, la nostra coscienza si sposta, seppur di poco, dalle frequenze su cui è sintonizzata nello stato di veglia. Ma anche se, come sostiene Buhlman, per sintonizzarsi su un corpo virtuale diverso da quello fisico fosse necessario spostarsi su una sintonia diversa da quella ordinaria, va ricordato che nella maggior parte dei casi le OBE si producono spontaneamente. Il passaggio da una sintonia all'altra viene percepito dalla nostra coscienza come una vibrazione energetica che con ogni probabilità corrisponde all'attività di particolari aree della corteccia temporale. Solo quando la vibrazione raggiunge una certa frequenza ed intensità può avvenire l'uscita dal corpo fisico.

A me è accaduto una volta di ottenere un’esperienza nella quale potevo regolare intenzionalmente la frequenza della vibrazione proprio come si farebbe col motore di un’auto: quando la mantenevo al minimo la vibrazione era regolare ed appena percettibile, ma potevo aumentare progressivamente la frequenza fino a raggiungere il regime che mi permetteva di uscire dal corpo, anche se in modo molto pesante. Infatti il corpo virtuale finiva sul pavimento e solo con un certo sforzo intenzionale riuscivo a farlo mettere in ginocchio, ma non ce la facevo ad alzarmi in piedi. Rientrato nel corpo fisico, riportavo la vibrazione al minimo, e poi l'aumentavo di nuovo, fino ad una frequenza più elevata rispetto a quella dell’uscita precedente: stavolta mi sollevavo rapidamente e fluttuavo, eseguendo dei volteggi, ad un’altezza dai tre ai sette metri circa rispetto al corpo fisico.

Buhlman sostiene che vi sono – come nella musica – tante ottave successive, cioè tante sintonie energetiche della coscienza separate l’una dall’altra da barriere attraverso le quali bisogna riuscire a passare: ad ognuna di queste ottave di frequenza corrisponde un corpo virtuale sempre più sottile, di energia vibratoria superiore, mediante il quale abbiamo accesso a dimensioni via via più distanti da quella fisica. È molto difficile tuttavia riuscire ad andare oltre i primi due livelli (un'osservazione condivisa anche da altri viaggiatori nelle dimensioni eteriche). Non penso che le intuizioni di Buhlman, così come sono formulate nel suo libro, potranno trovare conferme: lui sembra esserne certo. Io mi limito ad osservare che gli stati non ordinari della coscienza umana stanno assumendo un ruolo di primo piano come veicoli di esperienze alternative della psiche, diffuse ma pur sempre soggettive. Se anche solo una persona su cento, cioè l’uno per cento della popolazione mondiale, fosse coinvolta nell’esplorazione degli stati non ordinari di coscienza, questa massa, con i mezzi di informazione di cui disponiamo adesso, potrebbe scambiarsi esperienze ed informazioni sui metodi e le tecniche per accedere a determinate sintonie, mettendo in comune le testimonianze ed i resoconti di quanto sperimentato: si potrebbe allora verificare la possibilità di condividere determinate esperienze per vedere se, come afferma Buhlman, l'oggettività dipende dalla condivisione della medesima sintonia sperimentata.

Un piano infinito di esperienze soggettive percepite come reali

Per concludere questa pagina, vorrei spiegare i motivi per i quali ritengo inutile e fuorviante definire le OBE (così come i sogni lucidi) viaggi astrali o proiezioni astrali, come se esistesse un piano astrale oggettivo esplorabile al pari della dimensione fisica. La proiezione astrale si riferisce infatti all’esplorazione di un particolare ambiente, il cosiddetto piano astrale (al quale si potrebbe accedere mediante il corpo virtuale), che viene considerato come reale. Da questo punto di vista la proiezione astrale non sarebbe altro che un’OBE durante la quale si accede al piano astrale. Ma, lasciando da parte le classificazioni proposte dalla teosofia, da cui ritengo che l’espressione piano astrale abbia origine, penso che nel momento in cui l'io cosciente riesce a percepire come reali tutte le sintonie che comunemente vengono ascritte all’immaginario, si dà corso ad un inesauribile flusso di esperienze soggettive, di cui possiamo certamente lasciare traccia e testimonianza, anche perché è utile ed interessante poter esaminare i resoconti delle esperienze altrui.

A questo punto, però, i tentativi di classificazione diventano non solo arbitrari, ma anche controproducenti. Come è possibile infatti classificare l’infinito? Le classificazioni hanno senso in un ambito prevalentemente oggettivo, come il mondo fisico, dove le premesse interpretative della mente umana e le influenze storiche e socioculturali della nostra educazione creano i presupposti per la cooperazione delle nostre menti e dei nostri corpi fisici in funzione di determinati scopi collettivi. Da qui l’esigenza di forme di conoscenza condivisibili, fondate su classificazioni alle quali può essere attribuito un valore oggettivo. Ma nel momento in cui la coscienza abbandona questa dimensione per avventurarsi nelle infinite sintonie della psiche, la testimonianza mantiene il suo valore, ma perde ogni diritto all’oggettività. Se questo fatto ci dà una sensazione di insicurezza, è perché siamo ancora troppo legati al conforto che il consenso collettivo dà ai nostri schemi mentali, ma quando ci accingiamo a varcare i confini dell'oggettività dobbiamo anche dimostrare il coraggio di rinunciare a quel conforto.


 

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