Gocce di rugiada (Dew Drops): part two

 

 


L'era ita che essendo con spezial maestria Brando e Testa riusciti ad entrare a porte chiuse in San Gimignano, truovata la porta della castella de' Becci, a più volte l'avean battuta dando forte, sì che quelli fecer guardare da de' lor fidi chi fossero quelli che con sì tanta fretta batteano, e saputone il perché furono fatti entrare, mentre delli armigeri li toglieano li stocchi. Poco tempo passato era che in una sala di lusso piena, e ove Brando e Testa erano in aspettanza, apparenza fecero i Becci ch'eran tre messeri e che appariano nelli occhi come persone a cui tolto è stato 'l sonno. Brando e Testa dettero saluto dicendo chi eran e il perché di simil visita non aspettata, e quando tutto ebbe dato in favella, i Becci presi pareano da certi tremori e poi da furie che d'ira son piene, e fattosi giurare che tutto quello ben era veritiero, urlarono cose alli suoi che di vendette avean sentori.
«Messere, molto vi tengo in affezione» disse Antonello a Brando. Ed era un uomo ben formato, e forse di quasi trentacinque tempi. Era biondo anelloso, e 'l naso non era brutto, e la bocca ben tagliata con li denti molto lucenti che mettea a bella mostra quando sorridea; 'l volto l'avea asciutto, ma non tanto, e li suoi occhi specchiaano 'l cielo, ed era di favellar ben sappiente e armonioso.
«Messere, di quello ch'i' dissi l'udii dal mi' vecchio» rispose Brando.
«E molto ve lo tengo in affezione – disse ancora Antonello. – Venite meco, messere, che omai 'n battagliare siamo». E dando apertura a una bandella che dea in avanti, disse ancora: «Udite messere». E ben si potea udire che al fuori v'eran genti che non avean sonno.
«Olà miei fidi» urlò Antonello sempre dall'apertura. E quelli di sotto urli e resie gettarono. «Gridate sotto alli Ardinghelli, ch'io son sapevole in tutto e che di sangue voglio vestirmi; e chi è Pollastro a me venga».
«Eccomi, messere mio» rispose un di quelli. E quando in pochi salti fu a lui, ebbe lo incarico di far sapevoli i Salvucci.
«E tu, Testa, – disse Brando – cerca di fare cosa che intender faccia i nostri. Va'!».
«Sempre 'l farò cosa che piacer vi faccia, messere» rispose Testa, e stea per uscire, ma Antonello chiamollo e dissegli:
«Ascolta, fido de' Branducci».
«Favellate, messere» rispose quello.
«Li miei 'l sanno che quando incontro c'è con li altri che la notte non fa discerner, mai son primieri nel dir per qual casata si battono, se pria quelli che dimandarono non dissero la loro. La notte piena è di borri, e chi mal cammina male acciampa».
Brando udendo e capendo, favellò: «Compreso quel che dìsseti?».
E in serio aspettò risposta. Ma Testa già avea compreso, e di subito rispose dando guardo ad Antonello: «Messere, molto vi comprendei, e restami». E saluto facendo, a passo lesto se n'uscì.

Li altri Becci che favella di contento ancor non aveano avuta verso Brando tant'eran d'ira neri, nell'udir simil novella, toccarono con le lor mani le spalle a Brando come usasi far con persone in affezion tenute, e disserogli cose da onorar lui e 'l su' padre.
«Orrevol messeri, – disse Brando – molto fa gioia allo core mio quel che vo' dite, e ancor ripeto che lo mio stocco e quello de' miei fidi è 'n vostra mano, felice di battermi e di morire pria di uccidere persona che nulla fecemi». Ed era questo suo favellar di forza pieno che li Becci fecer sì che li lor occhi essendo muti, ebber favella incontrandosi, e molto compresero nel dir di quello. Li altri due messeri, fratelli erano stati del padre di Antonello, che non da molto le era mancato, essendosene ito all’altro mondo per certo male, e molto amaano d'amor che più si possa 'l loro Antonello; e essendo 'l più ito nelli anni amicoso delli Ardinghelli, avea fatta cosa che madonna Grazia delli Ardinghelli, sì bellissima femmina, sposa divenisse di Antonello, e molto eravi riuscito e già si favellaa di sponsali quando 'l giunger di messer Brando 'l tutto avea cambiato. Ed eran questi due fratelli molto nello volto assimilianti, essendo quel di men tempi un po' più basso, e non tanto nello volto asciutto, e forse addimostraano settanta tempi avendone meno, e ancor che ebber data imprecazion d'odio verso li Ardinghelli, usciron da quella bella sala dando ordini alli suoi.

E fu allor che Antonello disse a Brando: «Messer Brando, mai avea avuta favella ver' voi come la vostra ver' me, ma sulle stese della giostra molto vi ho mirato giudicando 'n valentia 'l vostro braccio sempre di maestrìa pieno, e vittorioso uscito ne siete; e mentre li messeri avean cruccio, le madonne sorrideano».
«Messere Antonello, molto in vista mi mettete, ma 'l merto fu del padre mio» rispose Brando, ch'avea gioir sullo volto nell'udir lode da un orrevol famiglio.
«Ed io, certo, se 'l core vostro pietrito fosse nato, ne sarei stato ucciso», e faceasi 'l su' favellar come di buon fratello che favella al buon fratello, e ben toccandolo alle spalle, dissegli ancora: «Molto vi tengo in affezione, messer Brando».
Poi facendo serio 'l su' favellar domandogli: «Quanti armigeri ha Rocca d'Olivo?».
Brando pieghe fece in sulla fronte com'era di su' costume, e pensando come a far numero, dette risposta: «Quasi sono trenta, messere».
«Buoni, messere, vel' faceo meno. Li miei sono molti e pur quelli de' Salvucci ch'anno avute grandi liti con li Ardinghelli essendo d'idea ghibellinosa; e molto ribellaronsi alli Ardinghelli ch'avrebbero intesa di dar San Gimignano a Volterra per farsi forti aitando 'l vescovo, ma vel giuro che questo mai sarebbe 'n vero, e se quel si fosse dato, in veste com'ora esco uscito ne sarei allora».

Intanto al fuori si sentìano sempre quelle voci pien di resìe e di odio, e li Ardinghelli dissonnati che furon udiron da de' loro quel che succedea, e ben saputo che Brando avea favellato alle orecchie de' Becci, comandarono alli suoi che truovato che lo si fosse le si strappasse la lingua e le si cavassero li occhi; e temuto molto che i Salvucci si unissero a quelli, ordine dettero a de' lor fidi di portarsi a Volterra per ben sapevole fare 'l vescovo a ciò che aiuti mandasse. E mai i' credo che San Gimignano fosse in armi e in odio come quella notte. I fidi delli Ardinghelli buttaano al fuori da delle aperture cose che del mal facessero a quelli che in sotto stevano, urlando e battendo con mazze contro quella casata. E Testa uscito che si fu al fuora vidde poco, e cercando 'l tutto di puoter meglio verso la Taverna si facea, se non che a dopo poco picchio diede in altro che treciando li denti urlò resìa e stea per colpire, ma riconosciuto questi da Testa s'udì dire: «Zitto, Chiappo, 'l buio pieno è di spioni ch'anno buoni stocchi appunteriti», e di tutto miselo a buon punto.  «Tienmi dietro» dissegli.
«Agnamo, Zoppo» disse allora quello all'altro che con lui steva.
«E Grattagatti e Gaggione e li altri, ove saranno?» chiese Testa.
«Due son quelli che alla portaccia stanno, e li altri eran meco alla taverna, ma sentuto gran bociare si buttonno al fuora ed io dreto, ma l'è buio da ciette».
«Favella 'n piano, Chiappo, – dissegli Testa. – Li hanno appunteriti e ben te 'l dissi».
Ed uno che ben di appresso seguiti li avea urlò resìa ben vociando: «Ecco li spioni, son qui. Avvenite fidi delli Ardinghelli».

Testa, e Chiappo e lo Zoppo balzo fecero e ben capirono che uno si era appreso come li andavano li fatti.
«In difesa» urlò Testa, dando resìa ch'era offesa alli Ardinghelli.
E li tre di Brando, ben capendo d'esser messi male, fecer sì ponendosi a difesa.
«Cani di Ardinghelli – vociaa Chiappo – a me 'l core che vo' lavarmi 'l volto lordo di vision de' vostri».
E li altri a quel vociare che sapea d'animore stettenesero a buon misura; ma un di loro vociò offesa contro i tre e slanciossi a fondo con la tremenda; e la peggiore sarebbesi stata per lo Zoppo se Chiappo svelto com'era d'uso non fossesi con tal lestezza buttato di contro alle gambe di quello che resiando caddesene, mentre Chiappo al dietro lo colpia sino alla mano. Testa era 'n da fare con due che molto ammestieriti erano nello stocco ed avea già la man maestra molto feritosa, e lo Zoppo cavato uno occhio con buona stoccata ad un altro che dal dolor gemea di fianco prese un di quelli che attaccaa Testa che caddesene urlando, e Chiappo, dato che buio l'era, dopo 'l colpo a quello, stettesene ancora al basso, ben fintando d'esse un di quelli iti al mondo de' santi; e di quanti vicinanti si faceano ben li prendea al sopra li calzari e con forte tratta al basso li portaa; e poi li stoccava. E mentre si orrenda zuffa v'era fra quelli, altre ne nasceano ed altre ne finian tra Ardinghelli e Becci fatti forti da' Salvucci.
«A me!» urlò Testa, che vedutosi numeroso di nimici temea 'l peggio. E Grattagatti e li altri essendo lì appresso e udita la conosciuta favella, fecerosi ver' quelli prendendoli al dietro, sì che molti di tutti chenti credendo che 'l rinforzo numeroso fosse, se ne fuggiron resiando.
«Olà, Branducci – urlaa Grattagatti – dateci voce in vostro favellar a ciò che lo mi' stocco ben vi scansi». E, fattosi in avante stea per colpir lo Zoppo che presandogli lo braccio favellò:
«Ferma, Grattagatti, i' son lo Zoppo».
«Diavolo, a tempo Zoppo mio, e l'era tua» risposegli quello.
«Sono colpito, – favellò Testa – ma non tanto». E battuti altri colpi ver' quelli che di andarsene non voleano saperne, soli rimasero, mentre da altri lochi s'udia vociar di battagliare. «Portate al fuora li cavalli, – disse ancora – e là attendete senza far cosa che di nulla siane 'n sapevolezza messer Brando».

E tornato a Brando, dello accaduto fecelo sapevol.
«Sei di coraggio pieno» dissegli Antonello, mentre un altro lo aiutava a mettersi 'l corsetto. E veduto ch'era feritoso, chiamò altri che a curarlo si prestassero; e mentre quelli si prodigaano a farle cura, entrata fece una madonna non tanto ita nelli anni. Antonello le andò incontro ed essa abbracciatolo fecesi seggiuta su una scranna.
«Qual nuova, Antonello, si è fatta vera?» chiese con favellar pien di temore.
«Oh! madonna madre mia» risposeli Antonello mettendosi in china con una ginocchia a basso in segno di grande affezione. E presagli una delle sue mani andaa favellando: «Oh! madonna madre mia, li Ardinghelli sono di onta pieni vèr' noi, e se 'l cor di quello giovin non fosse stato core, ben mi sarei truovato a male, e voi molto avreste sofferto pena per l'accaduto».
Brando nello udir ciò fece rispettoso piego, e quella alzatasi andò vèr' lui favellandogli: «Vi amo, amico messere, perché amato avete 'l mi' Antonello; i Becci poc'anzi feceromi in tutto sapevol e volli che li miei occhi vedessero quelli occhi ch'avean favellato 'n sincero».
Brando a quella lode avea 'l cor molto in corsa ito e chinatosi sulla ginocchia prese nella sua mano poca veste di quella e baciolla come a dimostrare che 'n tutto era servo suo.
«Voi siete Brando, vero?» chiese quella.
«Sì, orrevol madonna» rispose quello facendosi su' piedi.
«'l vostro nome pien di maestria avealo già sentito nel favellare, ma mai avea veduto 'l vostro volto che fa da spera al core». Brando sino alle orecchie era 'n rossore, e non sapeasi dal su' pensier trar favella che a quella dicesse che molto delle su' parole era 'n contento.

Ed era questa orrevol madonna di eguale altura di Antonello, col crine dello egual colore, e li occhi non scuri, ma non chiari e molto espressivi e da tutta la su' persona avea muovenze che soltanto orrevol madonna puote avere. E già questa stea per dir altro quando una robusta favella nomò: «Messere Antonello, messere Antonello!».
«Fatti sui passi» rispose a quella 'l nomato. Ed apparenza fece quel che Antonello chiamò Pollastro. Era di statura alta e ben forte, e li occhi non grandi e tagliati al giù; 'l naso forse grosso che giusto, 'l crine spesso e quasi nero e la bocca le stea 'n giusto a tutto 'l su' resto. Questo fece saluto.
«Favella, Pollastro» dissegli Antonello.
«Messere mio, avvisevol feci li Salvucci che al fuora saltarono urlando: "A morte li Ardinghelli guelfi". E fuvvi battagliare in ogni loco; e ben tre ebbeli pur lo mi' stocco»; e trattolo dall'anna mostrollo ch'era ancor rossato. E a quella veduta, quella orrevol madonna fece piccol grido e 'l su' corpo s'ebbe brividore.
«Ancora sangue, – disse – ma pregherò lo Dio che pace metta alla giustizia. Salute, Brando, laonde 'l vostro braccio sia di forza pieno. Abbracciami, Antonello, e vadomi a pregar lo Dio per tu e per tutti chenti che man ci danno». E seguita dalle su' monne fecesi in altro loco, mentre quelli facean saluto.
«Favellami» chiese Antonello a Pollastro.
«Messere, quelli delli Ardinghelli fecero volta al pianeta e non vi rimase che li morti e quelli che gemeano, ma ne uscì al fuora non so chenti montati su cavalli, e dato 'l buio, non sarei veritiero se vi dicessi per qual direzione si menarono».
«Forse, – favellò Antonello stringendosi le mani – fanno avvisevol Volterra che si scaglierà verso San Gimignano, e 'l vescovo tenterà tutto che più possa, pur d'aver sua San Gimignano, ma questo, mai si farà veritiero, anche se occorresse la mia vita».
«Anche la mia messere» favellò Brando con li occhi fatti grandi.
«Anche la nostra» dissero 'n favellar quelli 'n presente.
«Amerei più Fiorenza d'ogni altro» riprese Antonello. Poi voltossi verso Pollastro e dissegli: «Va', corri con dei cavalli a loro dietro e dalli battaglia, facendo tutto che ancor Volterra nulla sappiasi dell'accaduto».
«Messere, – risposegli Pollastro – facciovi sapevol che correremo a loro dreto, ma quelli già da non poco iti, sarannosi prese diverse miglia».
«Messere Antonello, è veritiero questo» favellò Brando.
«Omai Volterra si saprà la nuova novella, ma che importa? Noi battaglieremo e vinceremo».
«Sì, vinceremo» vociarono li altri. «A morte li Ardinghelli, nemici di San Gimignano!».
«A morte Volterra e 'l su' vescovo!» vociò Pollastro.
«Io, messer Brando, tenendovi più che si possa dire, in affezione, conto su voi e sulla vostra castella; andate dal vostro orrevol padre». E fu nello udir da quello dar tal titolo onoroso al su' vecchio che Brando presele una mano e la baciò.
«Andate, messere Brando, amico dei Becci, e fatelo sapevole che li Becci mai si potranno fugare della su' sincera dottrina; mettete al forte la castella vostra perché l'ira è contro di noi».
«Messere, – disse Brando – non ho favella ver' voi, ma tanto la anima mia sentesi onorosa delle vostre dette».
Antonello fece quasi sorriso e favellò ancora: «Voi, Brando, al nuovo giorno vi porterete alle castella delli Alberti non lungi dalla vostra, e darete annuncio che i Becci chieggono delle lor bracce contro Volterra»; e andato che fu a un mettiroba trasse dei rotoli di scritture, e fattone ricerca tra quelle presene uno e dandolo a Brando disse ancora: «Questo lo lascerete alli Alberti che molto faralli ricordevoli delli aiuti che li Becci un giorno li dettero».
«Lo fare 'n vero di quel che voi dite onorami assai, messere, – risposegli Brando mentre si mettea quello al giustacuore. – Ci rivedremo sino alla vittoria».
«La salute vi sia a voi e alli vostri piena, messere» favellò Antonello.
«Dio ne renda, messere» risposegli Brando. E dopo che uscito se ne fu con Testa, misero a nudo lo stocco e pieni di spezione truovarono li altri fuori la porta che s'aveano avuta altra zuffa, sì che 'l Bello assa' su li piedi male si reggea.
«Via a tutta corsa» ordinò Brando da cavallo. E lo Zoppo presa cura per 'l Bello preselo sullo suo cavallo, dato che 'l suo fu dalli assalitor rubato. E quando quelli cavalli con gran trametìo furno a Rocca d'Olivo, la luce faceasi a dietro colli avanti, dando vita e color sì belli a tutto che assa' difficile è lo descrivere, ma che ammirar puote 'l mattiniero.

Messer Niccolò fecesi avanti a tutti favellando, e da Brando ebbesi li onori che li Becci gli faceano, e di tutto resosi conto, favellò: «Per Rocca d'Olivo saran bastante le bracce mie e poche altre; mi vestirò come alli tempi giovani, dando fuoco per fuoco». E veggendo che de' suoi mancava Testa, lo Zoppo e 'l Bello, chiese a Brando se eran forse caduti.
«No, padre mio, soltanto 'l Bello è ferito, e avuto 'l su' cavallo da' rubatori preso, montò su quello dello Zoppo; e Testa, dopo buon camminare volle attender quelli, e saran qui fra breve».
«Bene così» disse Niccolò. E ancora favellò: «Dunque te n' vòi ire senza riposo?». Ma fattosi serio 'n volto disse ancora: «Riposo! e cosa è questo riposo? Quando 'n battagliare siamo il dormire è cosa 'n più, e chi ben dormesi poco vede, e chi poco, vede 'n più degli altri. Il riposo, io mai 'l conobbi nel battagliare di mia vita».
«Sono dello vostro pensier, padre mio» risposegli Brando. E fattosi portare 'l barbero, essendo 'l suo già stanco, montovvi 'n sopra dicendo al su' vecchio: «Dite a Testa che può seguir li miei passi»; e buttossi verso li Alberti.

E fu dal passar da una castella messa vicinante a quella delli Alberti che videsi una madonna che lo su' pensier mai s'avea sognato, e essendo 'l su' barbero messo a tutta corsa, ben presto sarebbesi tolto vision sì bella, ma Brando trattolo 'n circondo fece sì che questi si fermasse in sotto a quella bella femmina che a una ben messa apertura steva. Brando da che vidde, mai tolse li occhi, e sembrogli forse strano che lo su' cor avesse fretta, ed essendo quella rimasta ferma a tal mirare, ben mostrò come lo su' volto fosse di beltà pieno, e come li suoi occhi neri fossero occhi fatti per rimirar lo cielo puro e senza nuve, e come 'l su' crine ben tenuto fosse e di color nero mosso e ben lucente, 'l naso ben fatto, e la bocca pareasi nata per baciar li fiori pregni di rugiada, e 'l seno faceasi vanteria mostrando al sotto quelle vesti quelle rotondità che bellezza intiera danno alla femmina. E Brando tutto questo videsi in uno batter delli occhi, ma se al dentro fossesi truovato, li suoi occhi ben avrebbero veduto ch'era di statura giusta e 'l resto della su' persona ben modellato dalla stessa beltade.
«Che li dì di vostra vita pieni vi siano di gioia, o gentil madonna» favellò con favellar di core Brando, dando chino al volto.
Quella fecesi 'n volto color del sadro, e la su' bocca muovendosi al favellar, rispose con tremore 'n piano che quasi Brando non udì: «Grazie a voi, messere».
«Gentil madonna… molto mi dicean quand'io piccolo ero che li angeli in paradiso stevan, ma or riconosco che molto sbagliavan perché li angeli anche sulla terra stanno».
«Messere, voi mi arrossite».
«Madonna, quel ch'io dico è veritade. Potrei dire alla stella che luce non manda? Potrei dir io ai fiori che bellezza manca? No, madonna, s'io lo dicessi, resìa sarebbe».

Ella si facea attenta a quella su' favella e su ali di sogno portava l'anima sua. Chi era quel messere che pria d'allora mai avea veduto? E perché al primo vederlo lo su' core balzo avea dato? E quelli su' occhi di che s'eran nudriti per esser sì belli? Forse di stelle o forse di rugiada che allo mattin scintilla? Presa era da fugaci pensieri… e dal su' dentro trasse sospiro.
«Oh! madonna, com'io sarei felice se 'l tempo cessasse d'esser tempo e fermar si potesse per tutto l'eterno, ond'io a mirar restasse, l'angelo delli angeli». E dandole sguardo ch'era amoroso voltossi addietro e continuò: «Madonna, molta fretta ho, ma voglia lo Dio che dimenticar non possiate ch'io esisto»; e, volgendo di nuovo 'l volto, vide che Testa erasi fatto sulli suoi passi. Lo su' destriero parea avesse ali d'augello; la testa tenea dritta come a dimostrare che niun sforzo avea ancora sentito. La polvere cessò d'un tratto, e s'udì distinto 'l batter degli zocchi sul pietrato, ma tanto eran in corsa, che quel cavaliere nemmeno s'accorse che messer Brando era in presenza, così che questi a sua gran voce chiamollo; l'altro udì perché di subito strappo diede alle briglie togliendo nitrito al destriero, ma l'impeto della corsa tant'era, che fece ancora qualche lunghezza pria del ritornare sulli suoi passi. D'un balzo scese, e levatosi 'l ciapetto, con buon inchino favellò: «Messere, perdonate se l'occhio mio mal vide, ma molto vi faceo più innanzi».
Messer Brando sorrise pizzandolo alla guancia: «Testa, molto sei veloce».
Poi voltossi ancora ver' quella femmina e bene 'l disse: «Madonna, come ver la stella ritornerò su questi passi; 'l core mio, se 'l vostro accetta, è vostro».
Essa 'l miraa e favella trar non sapea, ma faceasi sempre più color del sadro, sì che cognoscer facea bene cosa pensierasse 'l suo. Testa, con gli occhi fissi a quella, facea ben capire quant'ella valesse 'n beltade, e già erasi pensierato cosa 'l su' labbro dovessesi favellare. Ma Brando, alto su' mettipiedi, con inchino ancor favellò: «Possa lo Dio vegliarvi da mattino a sera»; e dato tocco al su' destriero miselo al buon correre.
Testa favellò: «Che li dì sien rose per voi, o gentil madonna»; e misesi sullo correr di Brando. Lo riprese 'n breve, e stando dalla parte dello su' core, favellò: «Mai aveo avuta 'n visione quella madonna, e bene pensomi che niuna altra le può star davante»; e miraa Brando che a serio erasi messo 'l volto. Li cavalli furno messi al passo, e dando veduta alli occhi veder si potea che la castella delli Alberti, in Certaldum, vicinante era.
Brando trassesi sospiro, e dando peso allo volto favellò: «Testa, amor mi vince». E quello faceasi attento.
«Aveo, sì, veduto tante femmine di bellezze intiere, ma quello volto, quelle mani, e, più che conta, quelli occhi che fremer fanno lo core, io mai 'l viddi su quelle bellezze». Alzò lo volto allo cielo come a ricever risposta, e dimanda fecesi: «Chi siasi?». Poi, riprendendo l'agir di pria, favellò: «Testa, dimandar bisogna chi essa sia e come vive; siamo 'n battagliare, è vero, ma se essa mi amasse e libera fosse, oh com'io battaglierei 'n forte!»; e sì dicendo traeva a metà lo stocco.
«Messere, – risposegli Testa – sapremo 'l tutto, ma ora li occhi siano aperti e la mano pronta».
Su per la via che faceasi al di qua e al di là del colle non truovarono anima di genti; solo su qualcheduna delle poche torri eravi qualche armigero con la piccarda a mo' di mostra, ma non di guardia. La porta levantina aperta era, sì che entrando con li cavalli puortaronsi alla porta delli Alberti, vicinante la mia, ch'era allora appartenente alla casata dei Gianfigliazzi, in speziale affezione alli Alberti.

*    *    *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   * 

E mentre messer Brando, faciendo aperte le carte di messer Antonello, chiosava all'orrevol messer Lorenzo delli Alberti la disgrazia di San Gimignano, quella femmina ch'avea dato tocco allo cor di Brando rimasta era per lungo tempo a quella apertura che mostrolla a quello che veritiero amor le avea fatto cognoscer. Riudiva 'l su' favellare non uguale alli tanti, e spesso si chiudea li occhi a mo' di aver presente vision di pria, mentre la anima sua di purità nudrita andaa facente dimanda: «Chi sia? e perché io mai 'l viddi?»; e sarebbesi forse rimasta per ancora così, ma dallo dentro uno favellar di femmina scossela alquanto da quello pensierare.
«Madonna Grazia, perdonate se la poca licenza dimandata fu lunga».
Ed era questo nuovo favellare da una monna fatto ch'addimostraa quasi trenta tempi, e non era messa a statura altezzosa, ma non per questo meno apprezzabile, avriendo lo su' corpo forme ben mostranti la su' femminilità; era di crine non tanto scuro, 'l volto grassoccio ch'aveasi le labbra alquanto eguali, 'l naso giusto e li occhi, d'egual colore come 'l su' crine, avean movenze di furberie. E raccostato ch'ebbe lo spanno spesso della porta che entratura le avea dato, fecesi con sorrisore ver' quella che voltata si era a lei con piccol cruccio per la perduta vision di pria, e già stea per favellare eguale, ma madonna Grazia 'l rispose: «Vieni, vieni o Lisa; nulla ho da perdonare per la tua, se dir si puote, lunga licenza». E fattasi innanzi con li passi, favellò: «Molto, o Lisa, questo mattino di bellezze è pieno, e assa' li miei occhi 'l tutto hanno mirato; e quanto era bello lo cielo! e quanto eran belle le selve con gli augelli cantori tra le fronde!»; e sì dicendo faceasi con la anima assa' lungi da quello loco ch'era la camera sua per lo riposo, di lussore piena. Essa correvasi  al dietro quel cavaliere, e già le appartenea. Poi ancora favellò: «Oh, Lisa, sai ancor tu quanto racchiuse saremo 'n questo loco di silenzio pieno?»; e guardolla fissa.
«Madonna, 'n fe' di Dio mai fui sapevol per accontentar risposta; 'l vostro orrevol padre disse che così convenia per incentir li sponsali».
E fu a udir simil detto che li occhi di madonna Grazia pregni fecerosi di lagrimore; a che avriendo ben cognosciuto, monna Lisa 'l disse: «Madonna, i' veggo che la gioia piacquesi per li occhi vostri».
Quella guardolla col mover lento delli occhi e le rispose: «Mai, o Lisa, conobbi gioia nelli dì remoti; aborro quelli che tolseromi la diletta madre mia e vidderomi veniente 'n chiusi lochi onde 'l favellar altrui l'era proibito dal padre mio». E sì finendo ver' l'apertura fecesi, e per la direzion di Brando mirò, mentre monna Lisa andaa pensierando: «È veritade».
Poi 'n favellare le disse: «Madonna, è veritade questo, ma li tempi passo si son fatti, e se quelli tristezza fecerosi sulla vostra anima, li dì venienti saran di gioia».
Madonna Grazia voltossi e 'n sommesso 'l rispose: «Favelli per li sponsali?».
«Madonna, sì; – rispose quella – messer Antonello molto vi adorerà, e sì diventando la su' diletta sposa faravvi cognoscer gioie e non tristezze». Ma quello favellar non dea tocco allo su' pensiero; voltossi ancora… e ebbesi per sé questo pensiero: «Eppure è di beltade pieno, e mai sino ad ora aveo sentito favellar come 'l suo». Poi in favella disse: «Sentimi, Lisa, ch'io ti apro li miei segreti».
«Favellate, madonna Grazia, ond'io lenir vi possa certi dolori e gioir di vostra gioia».

Madonna Grazia seggé sul posale e, dato 'l capo alla spaliera, con li occhi fermi e quasi verso l'alto come a regger certa vision d'avante, il disse: «Perché non mi si favella ancora di messer Antonello Becci? Eppure tanto 'n core steva al padre mio, e diceasi che simile unione braccio avrebbe dato alla nostra casata». Monna Lisa ch'erasi seggiuta al fianco suo, accennò strinta in nelle spalle addimostrando di nulla sapere.
«Lisa mia, molto tu se' buona, e piacemi ripeterti che molto ben ti voglio pur'io»; e in sospiro continuò: «Lisa, io soffro». Quella fecesi d'attenzione piena. «E perché, Lisa mia, alla veduta di messere Antonello 'l core mio nulla rispose? E sì è buon cavaliere e di premure pieno; 'l tutto ha che piacer possa».
«Sì, madonna, – il rispose Lisa – e dicesi che tutte l'altre invidia puosero verso di voi che la prediletta foste».
«Oh! com'io metto invidia verso loro che nulla sanno dell'anima mia».
Allora Lisa di premura piena il favellò: «Madonna, io pregovi in tempo onde a ire non abbiate 'n certo soffrire».
«Non aver timore ch'io soffra; anzi qua dentro io sento goder come sente godere 'l fiorello nella pioggia dopo tempo di seccare». E volgendo 'l volto di biancore verso essa, continuò: «Oh, Lisa, sappiti che 'l mi' core balzo ha dato poco fa, e faceami creder che romper si dovesse qua nel mi' dentro».
«E per qual cosa, madonna?».
«Credo che fossi cosa che amor si chiama». Lisa in sul su' volto fecesi capire ch'era 'n attento e che ancor nulla capiva.
«Sì, Lisa, sappiti che mentre tu eri in assenza per certe cose tue, io dettimi 'n mostranza all'apertura per mirare 'l tutto che li occhi puotessero vedere, quando a ben lungi da qui viddi un cavallo col su' cavaliere buttato a gran correre e, da che li miei occhi il videro, non puoterono più lasciarlo; ed io presa come da sogno il fissava mentre più vistoso faceasi, e poi che a vicino è pervenuto, vedutami, mi ha mirato, e fu allor, o Lisa, che 'l core mio balzo ha dato, e assa' bene 'l credo che nessun messere mirar può così». E sì dicendo 'l su' bel volto faceasi di rossore pieno. «Ha tratto 'n giro 'l su' cavallo, laonde senza allontanarsi si fermasse, e venutomi in sotto, mi ha favellato; e com'era sognoso 'l su' favellare! e com'era bello 'l volto suo!».
«Ben sarà veritiero quel che vo' dite, madonna, e molto godo di vostra gioia, ma chi era quel messere? L'avei voi veduto pria?».
«No, Lisa, l'anima mia mai ebbesi sì tanta gioia. Oh, Dio mio, – disse con li occhi all'alto – perché non le chiesi io di qual casata 'l fosse e dove con sì tanta fretta iva?».
«Madonna Grazia, perché simil pensieri per quel messere che non erasi da ora dato 'n presenza?» dissegli l'altra mirando per lo torno…
Madonna Grazia guardolla e 'l disse con favellar della anima: «No Lisa, lo mio core mai spera fece nelli altri cori, ma a quello sì tanto che niuna speranza v'è per li altri». E lo volto mise basso mentre le su' belle mani aveansi mostra di candore sulla su' fine veste. Poi ancora: «Chi siasi, Lisa, non so; ma giurommi di ritornar sulli suoi passi, e allor te 'l mostrerò, laonde 'l creder veritade 'n sicuro ti sia».

E fu allora che al fuora udironsi zocchi di più di uno di cavalli che giungeano a quella castella. Monna Lisa alzossi, e fattasi all'apertura al basso guardò; poi ver' madonna Grazia favellò: «Madonna, sono della vostra orrevol casata, ma non viddi li volti». E quella rimaneasi seduta pensierando: «Qual novità dalla San Gimignano?».
Poco passò tempo. Si udiron passi di calzari ch'avean fretta nell'altra stanza; alfine lo spanno si mosse e, fattosi aperto, fece mostranza di uno messere in appiglio da battaglia. Era costui alto e 'l su' corpo magro; nello volto mettea bene 'n vista 'l naso, ch'era sottile e alquanto adunco, come 'l becco di certi augelli messi 'n valentia dallo falconiere. La bocca tagliata era al grande, avriendo 'l labbro di sotto assa' volto ver' 'l mento; e li occhi eran fossati e piccoli e messi al chiuso, sì che da quelli cognoscer 'l core l'era cosa cotanto 'n difficil. Madonna Grazia e monna Lisa, fattesi ver' 'l venuto, inchino fecero, avriendo conosciuto 'n costui l'orrevole messere Attavante delli Ardinghelli.
«Che 'l dì di bene siavi pieno, o orrevol messere Attavante» favellò 'n saluto monna Lisa, mentre madonna Grazia andaa ridicendo: «Orrevol padre mio».

Quello tolsesi dallo capo l'elmo e feceselo al giustacuore, e con favellar lento e grave e senza dare piego allo volto, a segno di affezione ver' quelle femmine, disse: «'l dì l'è pieno di cose ite 'n peggio; ascoltate 'l favellare che l'è per voi». Fecesi raschio alla su' gola, e con la mano maestra sullo impugno di oro fino dello su' stocco, favellò 'n duro livore: «Messere Antonello de' Becci lega fece co' fiorentini, alla malora mettendo San Gimignano colle su' genti, sì che 'l vescovo potente di Volterra, che affezion ci mena, venuto 'n sapevolezza di tal fatta, mise scomunica su Antonello e sulla sua sciagurata casata».
Quelle madonne a udir quello, puortaronsi le mani al volto, e messi li occhi al grande eran di lividore piene.
«Sì madonna, per lo volere fellone di Antonello San Gimignano è 'n sangue».
«Madre mia!» dissesi madonna Grazia, e appoggiossi a monna Lisa che presa faceale con le su' bracce.
L'orrevol messer Attavante delli Ardinghelli fecesi su' passi innanzi, e ben mirando madonna Grazia 'l disse: «Madonna, essendo per la qual cosa l'aborrito Antonello nostro nimicoso, 'l legame che unir dovealo 'n questi dì alla nostra orrevol casata, è omai spezzato. Ma un altro orrevol messere s'apparecchia a farsi vostro, laonde 'l nostro braccio lacco non diventi 'n battagliare per la salvezza della nostra San Gimignano. 'l potente e santo vescovo di Volterra da ben su' tempo misemi 'n chiaro l'affezion sua, ed io, giusto momento, vo' far ripago, consentendo allo orrevol nepote suo, messer Grinta de' Certosi, homo di valentia appriesso 'l papa, di addivenire 'l vostro diletto sposo, laonde 'l nostro braccio, reso forte da simula unione, piacciasi far giustizia ver' li felloni come ver' tutti chenti li fiorentini».

E mentre esso sì favellaa 'n tanto livore a quella, li suoi belli occhi avean lagrimore. Omai 'l fiorello di beltade pieno erasi nelle mani di costui che nulla capìa delle cose dello core e della anima, ma molto intendeasi di crudezza bruta e di soprusi; e sì tanto che finito avea di volta far allo pianeta dello bene per volto farsi ver' lo altro di malanni pieno, che molto giovaagli per lo diletto intiero delle su' ambizie cupe, nudrendosi così la anima sua. E mentre dessa l'andaaa cercando, per la su' istessa natura, 'l Padre di tutte le cose, lo su' corpo, ammestierito al male e pregno di dottrine da neri che molto fan resiar le genti…

*    *    *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   *   * 


 

Part one
Part two
Part three
Part four
Part five
Part six
Part seven
Part eight
Part nine
Part ten
Other events
The novel
The novel: part 1
The novel: part 2
The novel: part 3
The novel: part 4
Second-last séance
The last séance
Importance of facts