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Il destino dell'io cosciente dopo la morte dell'organismo La condizione di soggezione dell'io Nel corso della vita umana, l'io impara ben presto – sia per esperienza diretta, sia per effetto dei programmi culturali che gli vengono trasmessi – che non gli basta la sua volontà per avere la meglio sui poteri che dirigono gli eventi di questo mondo, e che, se vuole vivere, deve imparare a sopportare diverse cose (tra cui il dolore e la sofferenza), a subire i colpi del destino e le conseguenze delle proprie o delle altrui decisioni, e – in parole povere – ad essere paziente, pronto a lottare ed a soffrire. In realtà l'unica cosa a cui l'io è veramente soggetto sono le dinamiche della propria psiche, come dimostrano le diverse reazioni delle persone quando si trovano nelle stesse condizioni ambientali di rischio o di avversità. D'altra parte, anche la stessa volontà di vivere e tutte le varie forme di desiderio e di attaccamento che ci legano alla vita organica sono originate dalla nostra psiche. Proprio il vincolo che lega l'io al suo organismo, coinvolgendolo di conseguenza nelle dinamiche della psiche che ne derivano, fa sì che la morte dell'organismo possa essere interpretata e sentita come una disgrazia o come una liberazione, a seconda delle esperienze che il destino ha riservato all'io durante la vita. Ma in relazione a quello che può eventualmente sperimentare dopo la morte dell'organismo, l'io in genere continua ad affidarsi alle stesse sintonie della psiche alle quali si è abituato durante la vita organica, senza considerare che, con la morte dell'organismo, viene anche meno il legame che lo assoggettava ad esse, e dunque tutto può cambiare. Ovviamente, quanto più l'io è riuscito a prendere le distanze dalle dinamiche della propria psiche, e a non identificarsi con esse già nel corso della vita organica, tanto più si sentirà pronto ad intraprendere il viaggio nell'ignoto che lo attende dopo la morte. Indipendentemente dagli orientamenti, molto diversi tra un io e l'altro, su quali possano essere le esperienze che attendono l'io una volta che il suo organismo abbia cessato di funzionare, ci si può domandare se l'io disponga delle risorse necessarie per controllare il decorso di tali esperienze, oppure se si ritroverà – ancora una volta – alla mercé di poteri superiori che che potranno imporgli, come destino, ogni genere di esperienza (gradita o sgradita), analogamente a quanto non di rado ha dovuto sperimentare nel corso della sua vita organica. Certamente questo campo di indagine non può interessare coloro i quali sono convinti che la morte dell'organismo determini l'annientamento dell'io cosciente, il quale, proprio a causa del venir meno di qualsiasi forma di coscienza, non sarebbe nemmeno in condizione di accorgersi della propria condizione di non-esistenza. Uno degli aspetti più affascinanti dello studio della psiche umana è dato proprio dalla varietà e dalla diversità delle interpretazioni elaborate in merito a quello che può accadere all'io cosciente dopo la morte del suo organismo. Il fluire del tempo che condiziona la nostra vita organica fa sì che, giunto il momento, ogni io possa sperimentare direttamente ciò che accade in prossimità della morte, ed eventualmente in seguito. Dunque, si tratta solo di aver pazienza e di lasciare che il tempo segua il suo corso: quel momento arriverà per ciascuno di noi. Ma siccome noi umani siamo per natura curiosi, ed in una certa misura anche assetati di conoscenza, oltre ad esserci abituati a cercare di prevedere cosa ci riserva il futuro, in modo da poterlo gestire al meglio delle nostre capacità, ecco che sentiamo l'esigenza di ottenere informazioni (più o meno affidabili) su quello che attende l'io cosciente quando il suo organismo muore. Alla ricerca di queste informazioni, prenderemo in considerazione quelle esperienze soggettive dirette che fanno riferimento ad una condizione non ordinaria della coscienza, mediante la quale l'io può sperimentare uno stato di esistenza – spesso definito come incorporeo – completamente diverso da quello della vita organica, non solo nello stato di veglia ma anche in quello onirico normale. La maggior parte di queste esperienze vengono classificate come NDE (Near Death Experience), proprio perchè quando si verificano l'organismo si trova in una condizione critica – nella quale alcune funzioni vitali sono più o meno gravemente compromesse – che potrebbe avere come conseguenza la morte definitiva. Altre esperienze si verificano quando l'organismo si trova in una condizione di rischio, anche se le sue funzioni vitali sono inalterate: per esempio, durante una lunga caduta da un luogo elevato. In altri casi queste esperienze si verificano spontaneamente quando una persona è in una condizione perdurante di affaticamento psicofisico, di preoccupazione ansiosa o di angoscia. A volte, ma raramente, esperienze significative di questo genere si verificano in conseguenza dell'assunzione di sostanze psicoattive. Altrettanto raramente, e solo in soggetti particolari, possono presentarsi come risultato di pratiche meditative, di particolari esercizi fisici, di penitenze o di mortificazioni del proprio organismo. Penso che non ci si debba meravigliare delle differenze che si riscontrano tra le esperienze di un io e quelle dell'altro, dato che nella maggior parte dei casi tali esperienze sono contaminate dalle dinamiche ambivalenti della psiche umana. Sono invece particolarmente interessanti quelle esperienze in cui l'io cosciente sente di aver raggiunto una nuova dimensione, che si armonizza alla perfezione con tutte le sue più profonde esigenze. Ogni io cosciente ha in se stesso una specie di bussola che lo induce ad orientarsi verso ciò che gli sembra possa essere sperimentato come una forma di felicità, nel senso più ampio del termine, anche mediante quelle emozioni umane che noi interpretiamo come piacere, gioia, soddisfazione, e comunque valutiamo in modo positivo. Allo stesso tempo questa bussola lo porta a cercare di evitare il dolore e la sofferenza, sia quando sono determinati da traumi e difetti di funzionamento dell'organismo, sia quando derivano da emozioni e sentimenti che scaturiscono dalla psiche umana. Nonostante il proprio impegno, spesso l'io non riusce a navigare con successo nelle acque agitate della vita organica, seguendo l'orientamento che gli indica la sua bussola: questo accade a causa delle condizioni ambientali con le quali l'organismo è obbligato a interagire in conseguenza delle proprie esigenze di sopravvivenza, a causa del coinvolgimento dell'io nelle dinamiche della psiche umana con le quali quasi sempre si identifica, a causa della frammentazione della coscienza in una pluralità di individui nei quali le dinamiche bipolari della psiche si manifestano in modo diverso e non di rado conflittuale, ed a causa dell'esiguità delle risorse di cui l'io dispone, soprattutto sul piano della conoscenza, carenza che non viene compensata dalla scadente qualità della maggior parte dei programmi culturali che gli vengono trasmessi (anch'essi originati, come si è visto, dalla psiche umana). Da tutte le possibili varianti di queste cause e dal modo in cui si amalgamano nel tempo dipendono (nel bene e nel male) le varie esperienze individuali di ogni io cosciente, il quale non di rado – a causa della confusione in cui è costretto a vivere – perde anche la capacità di orientarsi, soprattutto quando si lascia sedurre da quelli che sembrano vantaggi immediati, senza valutare le conseguenze future che ne derivano, o quando si rifugia in quello che gli sembra il male minore, allo stato attuale, sperando che qualche buona stella venga in seguito in suo soccorso. Si osserva comunque che in alcuni casi (molto pochi, in percentuale) l'io cosciente dimostra una straordinaria coerenza nel difendere quelli che possiamo definire i suoi ideali, incurante o quasi indifferente di fronte ai disagi ed anche ai tormenti che il suo organismo deve sopportare come conseguenza di questa sua coerenza: sembra allora che l'io si possa trovare sotto l'influenza di qualcosa che trascende le dinamiche ordinarie della psiche umana, così come si manifestano tramite il funzionamento dell'organismo. A questa particolare condizione si fa spesso riferimento chiamandola «forza d'animo», «tempra spirituale», «spirito di sacrificio», «virtù eroica», «santità», ed altre simili espressioni. Va precisato, per chiarezza e completezza di informazione, che in qualche caso questa particolare condizione si riscontra anche quando l'io cosciente è orientato verso la polarità negativa della psiche: in parole povere, quando si impegna al servizio di quello che viene considerato il male (quanto meno da coloro che ne subiscono le conseguenze negative), come accade non solo nel caso di conquistatori e tiranni, ma anche dei terroristi che credono di combattere per una giusta causa. Dunque, se i condizionamenti derivanti dalle dinamiche della psiche umana possono imprigionare l'io cosciente in una gabbia nella quale la bussola alla quale dovrebbe affidarsi non funziona più correttamente, tanto da poter causare gli orientamenti più assurdi ed aberranti, quali possibilità ha l'io di liberarsi da questa condizione di assoggettamento e di raggiungere la dimensione dello Spirito una volta che il suo organismo sia morto? Possiamo osservare, anzitutto, che la morte dell'organismo dovrebbe di per sé svincolare l'io dagli effetti del campo di forze della psiche umana, che esercita il suo potere soprattutto mediante le esigenze e le vulnerabilità dell'organismo. Tuttavia, esaminando i resoconti di alcune NDE, si ha l'impressione che a volte l'io possa restare imprigionato in un campo di forze fantasma, per così dire, perché si è a tal punto abituato ad essere assoggettato alle dinamiche della psiche durante la vita organica, da non essere più nemmeno in grado di concepire una condizione di esistenza diversa: come quei prigionieri i quali, dopo aver vissuto per molti anni nella cella di un carcere, non riescono più ad uscirne nemmeno quando la porta viene aperta. Anche nel caso delle NDE positive, il percorso di trasferimento dell'io fino al campo di azione dell'energia dello Spirito viene spesso sperimentato con una certa sorpresa, come se dipendesse dall'intervento di forze o di entità superiori, anche se benevole nei riguardi dell'io, di fronte alle quali l'io resta comunque in una condizione di passività. Questa condizione di assoggettamento ad una volontà superiore diventa particolarmente evidente quando l'io viene invitato – ed in certi casi addirittura obbligato, contro la propria volontà – ad abbandonare la dimensione dello Spirito per fare ritorno alla vita organica, nonostante senta un intenso desiderio di poter restare là per sempre. È anche vero che, in molti di questi casi, si deve tener conto della volontà di coloro che, nella nostra dimensione fisica, stanno compiendo sforzi notevoli per rianimare l'organismo dell'io coinvolto nella NDE, il quale a sua volta – tornato cosciente nel suo organismo – spesso non sente alcuna gratitudine nei confronti di chi si è impegnato con tanta energia per riportarlo indietro: una situazione veramente strana e, per certi aspetti, paradossale. D'altra parte non possiamo considerare la volontà dell'io come qualcosa di insignificante, una volta liberata dai condizionamenti deformanti che la psiche umana ci impone, solo a causa della sua debolezza nei confronti di altre energie cosmiche che possono senza dubbio condizionare il destino dell'io, anche quando – come nel caso dello Spirito – l'io stesso non ha alcun dubbio nel sentire e nel riconoscere il valore superiore di una forma di energia dalla quale si sente irresistibilmente attratto. Proviamo dunque a prendere in esame un certo numero di resoconti di NDE, per vedere in che modo le intenzioni e la volontà dell'io possano eventualmente avere un ruolo attivo nel determinare gli sviluppi dell'esperienza. Quando il viaggio prende una brutta piega Ho già fatto riferimento alle NDE angoscianti, caratterizzate da esperienze a volte addirittura infernali, sia nella pagina ad esse dedicata nella sezione sulle NDE, sia nella pagina del Blog 2021 dedicata alle Ricerche sulle NDE. Proprio in quest'ultima pagina, riportavo questa mia considerazione: «Resta sempre l'impressione che il nostro destino sia determinato da qualcosa che sfugge al controllo dell'io cosciente, il quale non può fare altro che prendere coscienza – quanto meglio può, in relazione alle risorse di cui dispone – di ciò che gli accade di sperimentare, sia quando è collegato all'organismo umano, sia quando è eventualmente in grado di esplorare dimensioni diverse. Stando alle testimonianze di varie NDE, anche tra coloro che sono riusciti ad accedere alla dimensione dello Spirito, non pochi sono stati costretti a riconnettersi al loro organismo ed a ritornare a sperimentare la condizione umana, nonostante avessero sentito e manifestato il loro intenso desiderio di non voler tornare indietro». I casi di NDE angoscianti o infernali sono una minoranza – è stato calcolato che siano circa il 5% di tutte le NDE – ma può darsi che molti di coloro che le hanno sperimentate non ne parlino, non solo per il timore che le loro testimonianze non ricevano una buona accoglienza, ma proprio per non riattivare un ricordo estremamente penoso, che vorrebbero poter seppellire per sempre. Nel suo libro Territori oltre la vita (2003), dedicato alle NDE, l'autrice Fulvia Cariglia racconta di un medico fiorentino il quale, alla richiesta di raccontare la sua esperienza, rispose: «Non posso riparlarne... per non vanificare gli sforzi che faccio a dimenticare quelle visioni». In ogni caso queste esperienze decisamente negative ci confermano alcuni fatti importanti: anzitutto che l'io è costretto a sperimentare qualcosa che, senza alcun dubbio, non gli piace, al punto che preferirebbe annullarsi in una completa incoscienza piuttosto che continuare quel tipo di esperienza. In secondo luogo, si tratta di un'esperienza inattesa (come del resto accade anche per la maggior parte delle NDE positive), nei confronti della quale l'io non riesce a trovare le risorse necessarie per modificarla in modo più gradevole, o quanto meno più sopportabile. Inoltre, di solito disponiamo di pochissime informazioni sulla storia personale dello sperimentatore e sulle dinamiche della psiche nelle quali il suo io era coinvolto, per poter anche solo ipotizzare le connessioni tra un'esperienza che senza dubbio scaturisce dalla polarità negativa della psiche, e la condizione dell'io cosciente nello stato ordinario di coscienza. Tuttavia, come dimostrano alcune NDE citate anche in questo sito (per esempio, quella di Howard Storm, o quella di Josiane Antonette), non mancano i casi di esperienze che, dopo una fase iniziale negativa ed angosciante, spesso contrassegnata dalla presenza di spiriti maligni, si evolvono in modo sempre più positivo. Questa transizione, da una condizione decisamente caratterizzata da elementi appartenenti alla polarità negativa ed oscura della psiche, ad un ambiente completamente diverso, in cui predominano elementi positivi e luminosi, di solito si verifica quando il soggetto sperimentatore invoca l'aiuto di un'entità spirituale superiore che venga a salvarlo. Si può pensare che nelle NDE angoscianti o infernali l'io non abbia fatto in tempo ad attuare qualche espediente per modificare la sua condizione, dato che l'esperienza si interrompe in ogni caso quando l'organismo riprende a funzionare e l'io viene riportato alla vita organica. Non è raro che nelle NDE che poi hanno un'evoluzione positiva, l'io, dopo una fase iniziale nella quale sperimenta ancora – in qualche modo – l'ambiente terreno, si trovi in una condizione di vuoto o di tenebre. Per esempio, nella NDE di Anonima francese, questa condizione viene così rievocata: «In seguito mi trovai in un abisso di tenebre, di silenzio. Ero sola al mondo, in un nulla infinito e avrei dato qualunque cosa pur di sentire un rumore e vedere qualcosa. Non so quanto tempo sia durato quello stato. Forse una frazione di secondo? Il tempo non esisteva. Pensai: "Ecco qui, ragazza mia, sei morta". E tuttavia non ero morta perché esistevo. Mi tornò alla memoria una frase che mi era stata insegnata al catechismo quando ero bambina: si vive fino alla fine dei tempi, fino alla resurrezione finale. In quel contesto, l'idea di vivere in quel nulla e in quelle tenebre mi sembrava insopportabile. Qualcosa dentro di me invocò aiuto e da lontano vidi una luce. A partire da quel momento non fui più sola al mondo». Dunque non sempre l'io si perde d'animo, quando si ritrova in una situazione alla quale non era né preparato né abituato. Si può pensare, e forse è anche probabile, che il nucleo iniziale sul quale si sono sviluppati i vari programmi che vengono culturalmente diffusi ed assimilati come religione, sia stato costituito da esperienze di questo tipo, le quali, non essendo tutte uguali, sono state poi elaborate in modo diverso. È evidente, tuttavia, che siamo ancora in una dimensione pesantemente contaminata dall'energia della psiche umana, della quale le esperienze infernali, contrapposte a quelle paradisiache, mettono in evidenza in modo incontestabile il bipolarismo. Una volta che l'io non si senta più vincolato al proprio organismo, la barriera di separazione tra quello che noi di solito percepiamo come reale e ciò che ci sembra immaginario può venir meno, e se l'io non dispone delle risorse per trasformare l'esperienza che sta vivendo – nel caso in cui essa gli risulti sgradita o penosa – resta intrappolato in quell'esperienza, finché qualcosa dall'esterno non viene a liberarlo. È come se l'io finisse per sintonizzarsi, quasi per caso, su un canale televisivo che sta trasmettendo un film dell'orrore – che viene vissuto come assolutamente reale, a causa dell'incremento di sensibilità dell'io dovuto al suo stato inorganico – senza poter disporre di un telecomando che gli consenta di cambiare canale. Del resto, una condizione analoga si può presentare anche durante la vita organica, quando l'io – a causa di un incidente o di un trauma – resta intrappolato in una situazione nella quale non è più in grado di controllare autonomamente il proprio organismo in modo da potersi liberare, e – pur soffrendo – è costretto ad attendere un aiuto che gli venga offerto da qualcun altro (sempre che la sua condizione venga conosciuta) per poter essere salvato. Si tratta pur sempre di dinamiche caratteristiche della psiche umana, che l'io può gestire in modo più efficace se, già nel corso della sua vita organica, riesce a dedicare un po' del tempo e delle energie di cui dispone ad esercitarsi per incrementare la propria autonomia, senza farsi incastrare dalle sintonie della propria psiche. È importante che l'io riesca in ogni circostanza a comprendere e, per così dire, a ricordare il suo ruolo di sperimentatore: le conseguenze che gli eventi sperimentati determinano per la sua sensibilità, con i loro effetti positivi o negativi, in varia misura, fanno parte delle dinamiche imposte all'io dalla psiche umana, sia che derivino dalle interazioni tra l'organismo dell'io e l'ambiente naturale (in tutte le sue variabili), sia che siano causate dalle interazioni tra ogni organismo e gli altri organismi umani. Inoltre, nel lasciarsi ingenuamente influenzare dalle dinamiche della propria psiche, l'io viene continuamente indotto a fare delle scelte ed a prendere delle decisioni, pur non sapendo se i risultati di tali scelte e decisioni saranno conformi alle sue previsioni o alle sue speranze. Questi complessi processi spesso avvengono in modo automatico – senza che l'io sia veramente consapevole di ciò che fa, del perché lo fa, e delle conseguenze che le sue decisioni possono avere – per effetto dei programmi culturali che sono stati trasmessi ad una persona, e che esercitano i loro effetti sul sistema mentale di quella persona. Ed anche quando l'io viene coinvolto, per un motivo o per l'altro, dalle reazioni negative generate dalla sua psiche per effetto di tutte queste complesse dinamiche, quasi sempre continua a rivolgersi alla stessa psiche affinché lo illuda e lo inganni ancora una volta, presentandosi mascherata sotto una diversa forma. Sono questi i normali effetti della vita organica, per interpretare i quali l'io viene indotto a credere che tutto dipenda da qualcos'altro, da una realtà che deve essere considerata come oggettiva e come assolutamente dominante, dato che da essa dipende la vita dell'organismo: mentre di fatto, ciò che predomina in questa dimensione è la psiche umana, alla quale l'io attribuisce spesso un valore divino. Si potrebbe obiettare che la funzione della psiche umana è quella di trarre una forma di ordine da quello che altrimenti sarebbe il caos della natura, e certamente questo aspetto è presente nell'ambito della psiche, la quale tuttavia manfesta, nel suo bipolarismo, anche dinamiche negative e distruttive nei confronti di quanto essa stessa ha reso possibile con la sua polarità positiva. In ogni caso queste mie valutazioni non significano che l'io possa liberarsi completamente dalle dinamiche della propria psiche fintanto che continua a vivere con il proprio organismo, a meno che non sia diventato del tutto indifferente al fatto che la sua vita organica possa terminare in qualsiasi momento (cosa che, fin dall'antichiità, è effettivamente riuscita ad alcune persone). Ma è più alla portata dell'io esercitarsi nel prendere le distanze dalle dinamiche della propria psiche, senza lasciarsene coinvolgere o influenzare più dello stretto necessario, in modo da poterle osservare come elementi e sintonie particolari e limitate di quel fenomeno molto più ampio e predominate che è la psiche umana nel suo complesso, tenendo tuttavia ben presente che l'io cosciente di moltissime persone si identifica ancora quasi del tutto con la limitata fascia di sintonie della psiche captata dalla loro mente. Se praticato nel tempo con sufficiente determinazione, quest'esercizio permette all'io di sentirsi più libero e meno condizionato soprattutto nei confronti delle dinamiche negative della psiche che tentano di coinvolgerlo, e lo rende molto più cosciente del carattere bipolare dell'energia della psiche, nell'ambito dell'unità intrinseca di tale fenomeno. Tra le strane dinamiche negative prodotte dalla psiche umana che l'io deve talvolta sperimentare ci sono gli incubi: anche se l'io ne viene coinvolto nel suo stato onirico, le emozioni che sperimenta possono essere particolarmente intense, e l'angoscia perdura fino al momento in cui non riesce a svegliarsi, ritornando nello stato di veglia ed interrompendo un'esperienza penosa, il cui ricordo può restare vivido nella sua mente per qualche tempo. Non è detto che vi siano relazioni di causa ed effetto tra gli eventi della vita nello stato di veglia e gli incubi notturni: non di rado i soggetti che sperimentano incubi particolarmente intensi sono bambini la cui vita diurna è, almeno all'apparenza, del tutto normale. Le NDE angoscianti danno l'impressione di essere incubi percepiti dall'io cosciente come una realtà nella quale si sente intrappolato, senza riuscire, per così dire, a svegliarsi. Anche quelle esperienze, tuttavia, terminano quando l'io ritorna alla vita organica, pur se la loro durata gli può essere sembrata lunghissima: non possiamo sapere cosa sarebbe accaduto in seguito, se l'esperienza non si fosse interrotta. Quello che possiamo considerare come certo è che in tutti quei casi in cui l'io si sente oppresso e soggiogato da poteri che lo obbligano a sperimentare emozioni negative, penose ed avvilenti, ci troviamo ancora nel campo d'azione della psiche umana, sia che si tratti di esperienze organiche, sia che l'io si senta dissociato e separato dal proprio organismo: la transizione alla dimensione dello Spirito non è riuscita, o non è avvenuta. E siccome vi sono casi in cui invece questa transizione avviene, come vedremo meglio tra poco, è comprensibile che l'io si chieda se le sue aspirazioni e le sue intenzioni contino qualcosa nell'ambito di queste dinamiche energetiche. Nel corso della vita organica l'io deve fare i conti con le dinamiche della propria psiche, che sono pur sempre determinate dal funzionamento dell'organismo al quale è vincolato, ed in particolare dal sistema nervoso e dal cervello: per quanto strano possa sembrare, soprattutto alla luce della maggior parte dei programmi di condizionamento culturale che riceviamo, proprio quello a cui l'io si sente più legato, cioè il suo organismo, presenta delle bizzarrie di funzionamento, per giustificare le quali – nei confronti degli altri, ma spesso anche verso se stesso – l'io deve fare ricorso ai più assurdi stratagemmi che la psiche gli suggerisce. Nel considerare con attenzione la propria condizione, o anche – per quanto possibile – quella dell'io degli altri, l'io deve spesso constatare l'inefficienza delle risorse di cui dispone per gestire le difficoltà che si presentano anche soltanto in relazione alla pura e semplice gestione del proprio organismo, all'interno di un ambiente che può presentarsi come ostile, in una forma o nell'altra. Da qui ha origine il senso di frustrazione e di assoggettamento al proprio destino che non di rado accompagna l'io per tutta la durata della vita umana, e magari anche oltre. Eppure l'io dovrebbe ricordare che, con la morte, quel vincolo così intenso che lo lega al proprio organismo si scioglie, in modo definitivo. A volte l'io riesce a sperimentare la dimensione dello Spirito Un numero considerevole di NDE ci offre la testimonianza della possibilità di sperimentare la dimensione dello Spirito, che è stata concessa all'io cosciente di alcuni esseri umani. Trattandosi di esperienze reali – per negare le quali è necessario accusare di malafede chi ce le racconta – non si può mettere in dubbio il valore che esse hanno per l'io cosciente di coloro che ne sono stati coinvolti. Ognuno è libero di studiarle sotto il profilo che ritiene più interessante o più proficuo per il progresso della conoscenza umana, anche nel tentativo di individuarne le cause (organiche o di altra origine che siano), ma per l'io cosciente l'unico fatto significativo è rappresentato dalle esperienze in sé, dato che l'intensità emotiva e spesso anche cognitiva delle stesse supera ogni altra possibile esperienza umana. In relazione a tali esperienze, il nostro io cosciente, vincolato al suo organismo, può trovarsi in una di queste tre condizioni: 1) avere sperimentato direttamente la dimensione dello Spirito, conservandone un ricordo sufficientemente nitido e permanente; 2) non avere sperimentato la dimensione dello Spirito, ma essere informato dei racconti fatti da altri in merito alle loro esperienze in quella dimensione; 3) essere del tutto all'oscuro della possibilità offerta all'io di sperimentare la dimensione dello Spirito. Coloro che fanno parte della prima categoria sono in numero nettamente inferiore rispetto a quelli della seconda categoria, e probabilmente in tutto il mondo è ancora più alto il numero di coloro che fanno parte della terza categoria, anche se la diffusione delle informazioni consentita dalle attuali tecnologie dovrebbe determinare, col tempo, un incremento della seconda categoria. Tra quelli che si trovano nella seconda condizione, alcuni continuano a mantenersi indifferenti nei confronti di ciò che può accadere al loro io dopo la morte dell'organismo, ed una parte di questi continua a dare per scontato che il loro io verrà annientato, mentre molti altri sentono un intenso desiderio di poter vivere esperienze analoghe a quelle raccontate da chi è riuscito ad accedere alla dimensione dello Spirito. Queste esperienze sono caratterizzate da alcuni elementi ben precisi, ai quali ho fatto riferimento nella pagine del Report sulle NDE (Blog 2022), e che qui riassumo: 1) la presenza di un'energia che prende la forma, a volte personificata, di una luce da cui emana un amore assoluto, incondizionato ed onnicomprensivo; 2) l'assenza di qualsiasi forma di bipolarismo, a differenza di quanto accade per l'energia della psiche umana; 3) una percezione del tempo, che può essere interpretata come un eterno presente che comprende anche il passato ed il futuro, completamente diversa da quella umana; 4) la netta sensazione dell'io di essere finalmente a casa, cioè nella dimensione più in armonia con la propria autentica essenza; 5) l'intenso ed irrinunciabile desiderio dell'io di voler restare per sempre in quella dimensione, il suo netto rifiuto a ritornare alla vita organica, e la sofferenza o lo spirito di sacrificio con cui viena accolta l'esigenza o la decisione, più o meno motivata, di dover subire questo ritorno. Queste caratteristiche della dimensione dello Spirito sono di per sé tali, che l'io cosciente dovrebbe in ogni caso desiderare ed aspirare a poterle sperimentare alla morte del proprio organismo: se questo non avviene, è perché l'io non è ancora sufficientemente maturo ed evoluto per comprenderne l'importanza ed il valore, o perché è ancora imprigionato in schemi mentali determinati dalle sintonie della sua psiche che gli impediscono di ammettere e di riconoscere l'esistenza stessa dell'energia dello Spirito. Tuttavia, se esaminiamo le storie personali precedenti le NDE di coloro che hanno sperimentato la dimensione dello Spirito, nella maggior parte dei casi, per quanto ne sappiamo, non si riscontra nessuna correlazione tra le aspettative dell'io, o tra gli orientamenti e lo stile di vita dell'io, prima della NDE, e quanto l'io sperimenta nel corso della medesima, restandone spesso sorpreso e meravigliato. D'altra parte, la completa assenza dell'esperienza della dimensione dello Spirito nella maggior parte dei casi di persone il cui organismo si è trovato in condizioni critiche analoghe a quella di coloro che l'hanno sperimentata, oppure i resoconti di NDE dal contenuto angosciante o infernale, non ci consentono di ipotizzare l'esistenza di una forma di automatismo per la quale ogni io possa dare per scontato che alla morte del suo organismo riuscirà a sperimentare la dimensione dello Spirito. Sembra dunque che il fatto che tale esperienza si verifichi o meno dipenda da una volontà indipendente da quella dell'io sperimentatore: la stessa volontà che in alcuni casi può imporre all'io di fare ritorno alla vita organica, nonostante l'io vi si opponga con tutte le sue energie. In alcuni casi, ma non sempre, il passaggio alla dimensione dello Spirito viene descritto come un vero e proprio viaggio a velocità vertiginosa all'interno di un tunnel in fondo al quale brilla una luce che diventa più intensa man mano che l'io procede verso di essa. Talvolta il tunnel viene percorso in senso contrario, ed ancor più velocemente, quando l'io deve far ritorno alla dimensione della vita organica, ma più spesso la ri-sintonizzazione della coscienza sulla normale gamma delle esperienze umane avviene in modo quasi istantaneo. Durante queste esperienze di viaggio l'io ha un ruolo quasi del tutto passivo, indipendentemente dal fatto che possa sentirle come gradevoli, o sconcertanti e disorientanti, o anche fastidiose, per una specie di senso di vertigine che gli provocano. Tuttavia, all'inizio dell'esperienza, l'io si è già sentito liberato da tutti i dolori fisici che prima lo affliggevano a causa delle condizioni critiche del suo organismo (che ora viene considerato come qualcosa di estraneo), e dunque si incontrano notevoli difficoltà nel voler stabilire correlazioni tra gli eventi che accadono sul piano fisico, e che coinvolgono l'organismo, e quello che l'io cosciente sta sperimentando durante quello che noi umani possiamo considerare come il nostro normale fluire del tempo, ma che l'io dello sperimentatore percepisce ed interpreta in modo del tutto diverso. Quando l'io, al termine del suo viaggio di trasferimento, o comunque al termine del processo di separazione dalle trame della psiche determinate dalla vita organica, perviene a sperimentare la dimensione dello Spirito, ne sente intensamente la realtà – che viene spesso descritta come ancora più reale di quella del mondo fisico – ma nello stesso tempo è ben consapevole che ciò che sta sperimentando non appartiene alla dimensione organica. A questo punto ci sentiamo attratti dall'idea di aver delineato un quadro sufficientemente chiaro, che potremmo così sintetizzare: l'io cosciente si forma, si sviluppa e si trasforma durante la vita organica, mediante il confronto con le dinamiche della psiche umana, per poi trasferirsi, al termine di essa, nella dimensione dello Spirito, dove continua ad esistere (e ad evolversi ulteriormente) in armonia con la sua più autentica e profonda essenza. Il fatto di non sapere in che modo l'io si trasferisce dal veicolo (se così può essere definito) dell'organismo umano ad un altro eventuale veicolo che gli consenta di continuare ad esistere in forma diversa, ed in una diversa dimensione, pur essendo importante, non è poi così grave, se consideriamo che anche la nostra esperienza della vita organica si fonda sull'abitudine, non sulla conoscenza: dal punto di vista dell'io cosciente, infatti, noi riscontriamo di essere associati e vincolati ad un organismo, e di dipendere dal funzionamento del cervello per l'attivazione delle dinamiche della psiche di cui facciamo esperienza in questa dimensione, ma non sappiamo da cosa sia determinata questa forma di esistenza, la quale inoltre ha una durata temporanea. Dunque, una volta terminata questa vita, l'io potrebbe semplicemente riscontrare che la sua coscienza, la sua sensibilità, il suo senso di identità ed una parte dei suoi ricordi di questa vita organica sono stati sintonizzati su un'altra gamma di frequenze mediante uno strumento che non conosce (il che è proprio quanto accade nella maggior parte delle NDE). Inoltre, in base alle testimonianze di alcuni di coloro che hanno sperimentato una NDE, quando l'io si trova nella dimensione dello Spirito si accorge di essere cambiato rispetto a quello che era durante la vita organica: anche se mantiene il senso della propria identità, sperimenta ed interpreta la realtà in modo diverso. Questo non ci sorprende, dato che nella vita organica c'è una stretta correlazione tra le condizioni ambientali (nel senso più ampio del termine, includendo anche le interazioni umane) in cui il nostro organismo si trova, e le dinamiche della psiche in cui l'io viene coinvolto. Di conseguenza, in un ambiente così diverso come indubbiamente è la dimensione dello Spirito, l'io sperimenta non solo la realtà, ma anche la propria stessa essenza, sotto una luce del tutto diversa da quella (piena di ombre e di lati oscuri) a cui si era abituato sotto l'influenza della psiche umana. Possiamo dunque comprendere come sia l'io spirituale che l'io cosciente vincolato alla vita organica siano sostanzialmente la stessa entità, che però sperimenta se stessa, e la realtà in cui esiste, in modo notevolmente diverso. Nel corso della sua esistenza organica l'io si forma, si sviluppa, si trasforma, e sperimenta nel tempo tutte le dinamiche della psiche conseguenti alle vicende ed agli eventi in cui viene coinvolto il suo organismo, compresa l'esperienza finale della morte. Nella dimensione dello Spirito l'io sperimenta invece la propria essenza eterna, o comunque non condizionata dal fluire del tempo, e si sente finalmente liberato dalle dinamiche bipolari della psiche umana, delle quali ha potuto fare un'esperienza, sul valore della quale può essere utile fare qualche riflessione. In non poche NDE ricorre la constatazione, da parte dell'io spirituale (o comunque da parte dell'io che sta sperimentando la dimensione dello Spirito), che l'esperienza della vita umana sia stata accettata, ed in un certo senso anche voluta e programmata, dall'io stesso, ovviamente nella sua condizione spirituale. Vengono poi addotte motivazioni di vario genere, più o meno convincenti, per spiegare e giustificare questa scelta, delle difficoltà e dei rischi della quale l'io spirituale è ben consapevole (o almeno così sembra). Esperienze di questo genere, interpretate alla luce della psiche umana, hanno dato origine alla teoria della reincarnazione (nelle sue varie forme), in base alla quale l'io spirituale si sottoporrebbe (o sarebbe obbligato a sottoporsi) ad una serie di esperienze di vita organica, ognuna delle quali darebbe origine ad un io cosciente il quale, di norma, non ricorderebbe né la propria esistenza come io spirituale, né le esistenze precedenti in forma organica: solo una volta ritornato nella dimensione dello Spirito, l'io ricorderebbe, più o meno vagamente, tutte le proprie esistenze organiche. Questa teoria, spesso ingenuamente usata anche per giustificare le forti diversità che caratterizzano il destino di ogni essere umano e che determinano le esperienze a cui va incontro il suo io cosciente, presenta diversi punti oscuri che ne minano la credibilità: essa infatti riconosce un'individualità anche ad ogni io spirituale – il quale sarebbe uno nell'ambito di una moltitudine – senza approfondire le cause e le motivazioni delle differenze che caratterizzano tale individualità. Inoltre, basandosi sul modo in cui l'io cosciente vincolato al suo organismo umano percepisce lo scorrere del tempo, estende arbitrariamente questa temporalità alla dimensione dello Spirito, attribuendo alle varie incarnazioni una successione nel tempo, che presenta aspetti anche comici quando viene presa sul serio da coloro che si ricordano delle loro vite precedenti (il che non esclude che i ricordi di vite realmente vissute da un altro organismo non possano essere, anche se di rado, sintonizzati dalla mente umana). Per comprendere la condizione dell'io cosciente durante la vita umana, e per intuire ed interpretare la condizione dell'io spirituale alla luce delle informazioni ricevute mediante le NDE, è necessario stabilire un principio fondamentale, senza il quale tutto diventa privo di senso: ogni fase di evoluzione dell'io, intesa anche in senso temporale, deve rappresentare un progresso rispetto ad una condizione precedentemente sperimentata da quello stesso io, e la dimensione dello Spirito rappresenta la meta finale di questo processo, come viene riconosciuto dall'io di tutti coloro che l'hanno sperimentata. Se l'io spirituale, una volta raggiunta la dimensione dello Spirito, accetta con la propria volontà di confrontarsi, come io cosciente, con le esperienze di una forma di vita organica, è necessario che questo confronto abbia per esso un interesse ed un significato, e cioè che costituisca, in qualche misura, un ulteriore progresso. Se invece l'io spirituale venisse obbligato, contro la propria volontà, a sperimentare come io cosciente una condizione di vita temporanea che potrebbe causargli molte sofferenze, dovrebbe essere messo nella condizione di comprendere bene in che modo tali sofferenze possono rappresentare per esso un progresso, e dunque un vantaggio, in funzione del raggiungimento della sua meta finale. Comunque la si voglia vedere, per l'io cosciente resta sempre di fondamentale importanza la questione delle relazioni tra la dimensione dello Spirito e quella della psiche umana, così come viene sperimentata durante questa nostra vita organica. Se consideriamo l'organismo umano come un uovo, per usare una metafora, nel quale l'io cosciente si forma, cresce e si sviluppa, per poi trasferirsi nella dimensione dello Spirito una volta liberato dal guscio organico, allora possiamo ben comprendere il senso di questa progressione evolutiva. Molto più difficile – almeno per le mie risorse intellettive, con tutti i loro limiti – è comprendere il significato e lo scopo di un percorso inverso, per il quale l'io spirituale dovrebbe voler sperimentare la dimensione della psiche umana, così contraria alla sua essenza, col rischio di restare invischiato in una condizione di sofferenza alla quale solo la morte del suo organismo può porre termine. Si potrebbe riconoscere che l'io spirituale accetta questa missione (magari con spirito di sacrificio) per informare gli esseri umani dell'esistenza della dimensione dello Spirito, oppure per dare loro una mano nell'affrontare le tensioni e le tribolazioni della vita organica (determinate dalla psiche umana) con le risorse offerte dall'energia dello Spirito, che si manifesta come amore. Questo, almeno, sembra essere il compito assegnato all'io di coloro che vengono riportati (controvoglia, in qualche caso) alla vita organica, dopo aver sperimentato la dimensione dello Spirito nel corso di una NDE. Ma se osserviamo le cose nell'ottica della vita organica, il senso di questa missione non appare molto chiaro. Infatti, nella nostra dimensione non solo le esigenze dell'organismo umano sono di gran lunga predominanti nel determinare le dinamiche della psiche alle quali l'io è soggetto, ma la frammentazione della coscienza in una moltitudine di individui caoticamente coinvolti in destini così diversi tra loro alimenta continuamente le tensioni determinate dal bipolarismo dell'energia della psiche, creando condizioni di esistenza completamente diverse da quelle che si riscontrano nella dimensione dello Spirito. Indulgendo al sarcasmo, si potrebbe osservare come, a grande maggioranza, le creature umane siano molto più interessate alle partite di calcio o alle vicende sentimentali dei divi del momento, che non a ciò che può accadere all'io cosciente dopo la morte del suo organismo. Ma c'è un altro problema: se la dimensione dello Spirito viene interpretata, come spesso accade, nell'ottica della polarità positiva della psiche umana – quasi fosse l'arma definitiva che potrà consentire al bene di prevalere una volta per tutte sul male – il bipolarismo stesso dell'energia della psiche alimenterà molto probabilmente una reazione nella polarità negativa, perché, per dirla in modo banale, il male non se ne resta lì a guardare con le mani in mano. Come ho ripetuto più volte, nella dimensione dello Spirito non si riscontra alcuna forma di bipolarismo: lo Spirito non è il bene, contrapposto al male, e nemmeno il paradiso contrapposto all'inferno, ma è la perfezione assoluta di un'energia che non riflette e non irradia altro che se stessa. Non ho la pretesa (né certamente le risorse mentali che mi consentano di farlo) di interpretare – e meno che mai di giudicare – quelle che potrebbero essere definite come le intenzioni dello Spirito nel caso in cui l'io spirituale fosse effettivamente convinto o obbligato a sperimentare più volte la condizione umana della vita organica e gli effetti dell'energia bipolare della psiche. Certo, è possibile che allo Spirito non si possa dire di no, perché l'affinità stessa dell'io nei confronti dello Spirito lo obbliga, in un certo senso, ad assecondarne i misteriosi disegni. Uno di coloro che hanno sperimentato la dimensione dello Spirito nel corso della sua NDE racconta di aver appreso che tutti gli io coscienti non sono altro che agenti dello Spirito, inviati nei diversi mondi e nelle diverse dimensioni per sperimentare tutti gli aspetti del cosmo e trasferire le loro esperienze nella dimensione dello Spirito, dove vengono registrate e conservate. Non si può nemmeno escludere che, nel lungo periodo, l'influenza esercitata dallo Spirito mediante l'impegno dei vari io inviati in missione nel nostro mondo non sia in grado di modificare, in qualche misura, l'energia stessa della psiche umana: non mi sembra tuttavia, per i motivi che ho già esposto, che questo possa accadere nei prossimi secoli. Vorrei terminare con una visualizzazione mentale del modo in cui le interazioni tra l'energia dello Spirito e quella della psiche umana esercitano i loro effetti sulla moltitudine di io coscienti che sperimentano i vari aspetti della vita umana: si tratta solo, com'è evidente, di un esercizio della mia immaginazione, privo di un reale valore sotto il profilo della conoscenza. Il campo energetico della psiche umana può essere rappresentato come generato da due poli di segno opposto (come per esempio quelli di un magnete a ferro di cavallo) all'interno del quale si formano continuamente ed interagiscono tra loro tante particelle energetiche, ognuna delle quali corrisponde all'esperienza di un io cosciente. Alcune di queste particelle, dotate di maggior energia, sono in grado di influenzare l'orientamento e le traiettorie di molte altre particelle meno energetiche, determinando i flussi e le turbolenze che si verificano di continuo all'interno di questo campo, la cui coesione complessiva viene comunque assicurata dall'energia dominante prodotta dai due poli della psiche. Le particelle all'interno del campo si formano e si estinguono in continuazione, e la loro energia viene recuperata e riciclata per mantenere attivo il campo energetico nel suo complesso, incrementandone la potenza. Ad una certa distanza da questo campo energetico si trova un altro campo completamente diverso (quello dello Spirito), non bipolare, che esercita una forza di attrazione simile a quella generata – nella nostra dimensione fisica – da un campo gravitazionale. Alcune delle particelle generate dal campo bipolare della psiche sono dotate di un'energia particolare che permette loro di essere lanciate, per così dire, ai limiti di quel campo di forze, laddove la sua influenza è sempre più rarefatta: in questo caso, quando queste particelle si estinguono, la loro energia viene attratta dal campo energetico dello Spirito. Nel caso delle NDE in cui viene sperimentata la dimensione dello Spirito, è come se le particelle percorressero una traiettoria che, dopo aver attraversato la periferia del campo di azione dello Spirito, le riportasse nel campo di attrazione dell'energia della psiche. Mi piacerebbe poter concludere affermando che tutte le particelle energetiche prodotte dal campo bipolare della psiche, estinguendosi, vengono attratte dal campo energetico dello Spirito: spero che possa essere così, ma non dispongo di risorse conoscitive sufficienti per poterlo sostenere con convinzione.
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