La coscienza, la scienza, il cervello e la mente

 

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L'attuale dibattito sulla coscienza

Nel suo libro del 1997 The Mystery of Consciousness (Il mistero della coscienza, Raffaello Cortina Editore), il filosofo americano John Rogers Searle, nato nel 1932, presentava in questi termini un quadro sintetico delle posizioni allora prevalenti nel mondo accademico in merito alla natura della coscienza ed alla sua relazione con il funzionamento del cervello: «Tradizionalmente in filosofia della mente si ritiene vi sia una distinzione basilare tra dualisti, i quali pensano che nel mondo vi sono due tipi fondamentalmente diversi di fenomeni, la mente e il corpo, e monisti, che ritengono invece che il mondo sia fatto di un solo tipo di sostanza. I dualisti si dividono in "dualisti di sostanza", i quali pensano che "mente" e "corpo" definiscano due diversi tipi di sostanze, e "dualisti di proprietà", che pensano che "mentale" e "fisico" definiscano diversi tipi di proprietà o caratteristiche che permettono ad una stessa sostanza – ad esempio un essere umano – di possedere allo stesso tempo entrambi i tipi di proprietà. I monisti si dividono a loro volta in idealisti, per i quali tutto è alla fine riconducibile alla mente, e materialisti, per i quali tutto è alla fine riconducibile alla sostanza fisica o materiale».

«Credo che la maggior parte delle persone della società civile accetti una qualche forma di dualismo. La gente pensa di possedere sia una mente che un corpo, o sia un'anima che un corpo. Eppure attualmente questa non è la posizione che gli studiosi di filosofia, psicologia, intelligenza artificiale, neurobiologia e scienze cognitive sostengono con energia. La maggior parte delle persone che lavora in questi ambiti, accetta una qualche versione del materialismo perché crede che questa sia l'unica filosofia coerente con l'attuale visione scientifica del mondo. Vi sono pochi dualisti di proprietà, come Thomas Nagel e Colin McGinn, ma gli unici dualisti di sostanza che io conosca sono legati ad una visione religiosa dell'esistenza dell'anima, come il defunto Sir John Eccles. Tuttavia i materialisti hanno un problema: una volta descritti tutti i fatti materiali del mondo, rimangono ancora molti fenomeni mentali da spiegare. Una volta descritti i fatti che riguardano il mio corpo e il mio cervello, ad esempio, rimangono ancora da spiegare i molti fatti che riguardano le mie credenze, desideri, dolori, ecc. I materialisti ovviamente pensano di doversi sbarazzare di tali fatti mentali, riducendoli a fenomeni materiali o dimostrando che non esistono affatto. La storia della filosofia della mente degli ultimi cent'anni è in gran parte costituita dal tentativo di sbarazzarsi del mentale dimostrando che non esiste alcun fenomeno mentale oltre ai fenomeni fisici».      

Le implicazioni fideistiche della concezione materialista

«Il tentativo di descrivere questi sforzi costituisce uno studio affascinante, perché le ragioni che li sottendono sono caratteristicamente nascoste. Il filosofo materialista ha la pretesa di offrire un'analisi dei fenomeni mentali, ma il suo proposito segreto è quello di sbarazzarsi di tali fenomeni. Lo scopo è quello di descrivere il mondo in termini materialistici senza dire nulla riguardo alla mente che non risulti evidentemente falso. Ma questa non è un'impresa facile. È decisamente poco plausibile sostenere che i dolori, le credenze e i desideri non esistono, anche se alcuni filosofi l'hanno affermato. La mossa più frequente del filosofo materialista è dire che sì, gli stati mentali effettivamente esistono, ma essi non sono qualcosa che si aggiunge ai fenomeni fisici; piuttosto possono essere ridotti essi stessi a stati fisici, in quanto forme di stati fisici».    

Più oltre, nel capitolo conclusivo del libro, Searle evidenziava che: «L'enorme quantità di lettere (pervenute) rivela che i problemi della mente e della coscienza sono affrontati con una passione assai diversa da quella solitamente dimostrata per altre questioni scientifiche e filosofìche. L'intensità del coinvolgimento sfiora quello religioso e politico. Per la gente sembra di importanza fondamentale sapere quale soluzione sia possibile fornire ai problemi che ho discusso in questo libro. Stranamente, ho trovato maggiore passione in coloro che sostengono le teorie computazionali della mente, che non nei sostenìtori delle tradizionali dottrine religiose dell'anima. Alcuni computazionalisti attribuiscono un'intensità quasi religiosa alla loro fede nell'idea che i nostri problemi più profondi riguardanti la mente possano avere una soluzione di tipo computazionale. Molte persone sembrano credere che, in un modo o nell'altro, se non venisse dimostrato che siamo dei computer, perderemmo qualcosa di terribilmente importante... Anche Roger Penrose sottolinea che, quando ha tentato di confutare l'ipotesi computazionale della mente, le sue argomentazioni hanno incontrato accesi risentimenti. Penso che queste sensazioni estreme provengano dalla convinzione, presente in molti individui, che i computer forniscano le basi per un nuovo tipo di civiltà – un nuovo modo per dare senso alle nostre esistenze, un nuovo modo per comprendere noi stessi. Il computer sembra fornire, infine, un tentativo per descrivere noi stessi che è in accordo con una visione scientifica del mondo, e, forse ancor più importante, la teoria computazionale della mente esprime una certa volontà di potenza tecnologica».    

La coscienza come problema scientifico

Quando il dibattito su un certo fenomeno assume connotati filosofici caratterizzati dalla prevalenza di argomentazioni teoriche di tipo speculativo, che producono posizioni contrastanti o conflittuali, evidentemente manca una conoscenza scientifica del fenomeno stesso: così era per la coscienza all'epoca in cui Searle pubblicava il suo libro. Comunque l'interesse nei confronti della coscienza era sempre più vivo. Nel 1997, Searle constatava che: «Vent'anni fa circa, quando per la prima volta cominciai ad interessarmi a questi problemi, la maggior parte dei neuroscienziati non considerava affatto la coscienza una questione di carattere autenticamente scientifico. Molti di loro ignoravano semplicemente il problema, ma se costretti, credo avrebbero affermato che la scienza, con la sua oggettività, non poteva occuparsi di stati soggettivi. Un atteggiamento abbastanza tipico era quello ironicamente espresso dal neuroscienziato dell'Università di California di San Francisco, Benjamin Libet, quando mi diceva che nelle neuroscienze "va bene interessarsi della coscienza, ma prima è meglio diventare professore ordinario". Naturalmente, non tutti i neuroscienziati sono stati riluttanti nell'affrontare il problema. Vi è una tradizione che risale almeno alla prima metà del secolo, se non prima, che si rifà all'opera del fisiologo britannico Charles Sherrington, e al suo tentativo di fornire una descrizione neurobiologica della coscienza, che è stata successivamente continuata da eminenti scienziati contemporanei come Sir John Eccles e Roger Sperry. Ma, nell'ambito delle neuroscienze, costoro sono stati considerati come autentiche eccezioni. Gli attuali libri di testo di neurofisiologia e neuroscienza non presentano alcun capitolo sulla coscienza e dicono molto poco anche solo per suggerire che la coscienza sia un fondamentale problema scientifico».

L'intelligenza intuitiva

Ma cosa rende possibile la conoscenza scientifica? Ovviamente, la scienza non è data dalla sola evidenza dei dati sensoriali, ma da un procedimento molto più complesso che ha come protagonista il ragionamento intuitivo e creativo elaborato da alcuni esseri umani. Per esempio, i dati sensoriali portano a credere che il sole si muova nel cielo, sorgendo nel quadrante orientale e tramontando in quello occidentale, ma l'osservazione degli spostamenti del sole nel corso dell'anno e della posizione del sole alle diverse latitudini, unita alle misurazioni sperimentali del moto degli astri, fanno sì che l'intelligenza umana elabori una forma di ragionamento interpretativo che dia conto di questi fatti in modo più conforme alla realtà. Tutte le conoscenze scientifiche derivano dall'applicazione dell'intelligenza intuitiva a dati sperimentali sempre più complessi e copiosi: non è certo sulla base dell'evidenza sensoriale, per esempio, che gli scienziati hanno potuto determinare il codice genetico.

Per produrre risultati efficaci, il ragionamento intuitivo richiede, oltre a particolari doti intellettive, l'attenzione e la dedizione di una persona al problema che intende risolvere, e l'acquisizione di dati incontrovertibili ed oggettivamente sicuri. Il processo mentale porta, quando ha successo, all'elaborazione di una teoria interpretativa che possa essere verificata sperimentalmente: che sia in grado, cioè, di elaborare in anticipo quei risultati che verranno poi confermati nella realtà dagli esperimenti eseguiti. Ma mentre il mondo fisico, ed in gran parte anche quello biologico, consentono di raccogliere e di elaborare i dati sperimentali richiesti, ai quali può essere attribuita una validità oggettiva, per quanto riguarda l'attività mentale ed i fenomeni della psiche viene meno il fondamento dell'oggettività. L'unico aspetto al quale si può attribuire un valore oggettivo è dato eventualmente dal fatto di essere o non essere coscienti. Ma anche lo stato di coscienza è soggetto ad una gamma di variazioni (dalla coscienza crepuscolare a quella obnubilata, dallo stato onirico agli stati di coscienza alterata) che, per quanto classificabili sulla base di criteri oggettivamente stabiliti, presentano poi risultati diversi da individuo a individuo, oltre che variazioni nel tempo anche nel medesimo soggetto.

L'enigma del cervello

Come si può vedere nella pagina sull'inconscio di questa sezione, gran parte dei processi fisiologici che si svolgono nel nostro corpo sono inconsci. Lo stesso accade per i processi che hanno luogo nel nostro cervello: quelli che determinano il nostro stato di coscienza e le relative esperienze della psiche, compresi i pensieri ed i ragionamenti che riusciamo a fare intenzionalmente e sotto il controllo dell'io, non superano il 20% del totale. Questo, almeno, è il quadro conoscitivo attualmente convalidato dalla maggior parte del mondo scientifico. Le ragioni a sostegno di questa impostazione sono senza dubbio valide: dalla constatazione che un trauma o il venir meno del flusso sanguigno al cervello annullano la coscienza, fino alle ricerche sugli effetti che determinate sostanze immesse nel cervello hanno sugli stati di coscienza e sui contenuti psichici. Eventi che sembrano confermare quanto scriveva Francis Crick (1916-2004) nel suo libro del 1994 La scienza e l'anima - Un'ipotesi sulla coscienza: «...proprio tu, con le tue gioie, i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, il tuo senso di identità personale e il tuo libero arbitrio, non sei altro che la risultante del comportamento di una miriade di cellule nervose e delle molecole in esse contenute». Con queste parole l'autore intendeva affermare, in modo inquivocabile, che l'unica cosa che ha una reale esistenza temporanea è il cervello, e che la coscienza, l'io e la psiche sono determinati dal funzionamento del cervello: l'io potrebbe essere infatti una forma di autorappresentazione di circuiti neurali della corteccia aventi una funzione organizzativa e decisionale.

Quanto alle cause per le quali il cervello umano si è evoluto, funziona così come funziona, e determina tutti quei processi che culminano nell'autocoscienza, nell'intento dell'io, nel pensiero e nel ragionamento, non ci sono per ora spiegazioni soddisfacenti, tanto che non pochi scienziati tendono a rimuovere completamente la questione, o col negare che esistano cause e finalità, o col riconoscere che queste non possono rientrare nell'ambito della conoscenza scientifica. Dunque l'esistenza stessa del cervello, con tutte le attività mentali che il funzionamento di quest'organo determina, resta un enigma privo di soluzione che si riflette inevitabilmente sul senso della vita umana. Questa condizione di assenza di conoscenze in merito al significato della vita, che subentra alle precedenti concezioni etiche o religiose presenti nel nostro sistema socioculturale, contribuisce in modo sorprendente all'irruzione caotica di ogni genere di nuclei prodotti dalla psiche nelle nostre esperienze coscienti.

Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, non si può tuttavia dubitare del fatto che la complessità organizzativa ed informatica del cervello umano sia determinante per la coscienza, la memoria, il senso di identità dell'io e tutto il repertorio di esperienze della psiche che costituisce la vita interiore di ogni individuo. Questa concezione deve essere la base ed il punto di partenza per ogni ulteriore considerazione sul significato della vita. Va però evidenziato che, mentre il funzionamento del cervello è osservabile, l'attività mentale è sperimentabile solo interiormente e soggettivamente, e può essere comunicata da individuo ad individuo nei limiti imposti dal linguaggio e dal comportamento. Anche per questa ragione, è importante usare il verbo determinare, anziché produrre o creare, per indicare la relazione che esiste tra il funzionamento del cervello ed i corrispondenti stati mentali di cui l'io cosciente fa esperienza. Si potrebbe anche accettare il verbo causare, pur riconoscendo che allo stato attuale delle nostre conoscenze non sempre si può stabilire una precisa relazione tra causa ed effetto, e che gli stati mentali possono a loro volta provocare mutamenti negli stati fisici del cervello.

Può il cervello conoscere il proprio funzionamento?

Resta il fatto che, se la nostra attività mentale è determinata dal funzionamento del cervello, anche la ricerca della conoscenza – che si attua tramite la raccolta e la quantificazione dei dati, e l'applicazione del ragionamento intuitivo – deve essere ricondotta al funzionamento del cervello (pur se non di qualsiasi cervello), e dunque in fondo avrebbe come movente quel fattore che sta alla base del fenomeno evolutivo che ha determinato lo sviluppo del cervello umano e poi della cultura. Ma mentre l'acquisizione dei dati relativi al mondo fisico è sempre teoricamente possibile con successo (nonostante le difficoltà da superare caso per caso, e con il sussidio degli strumenti creati dall'uomo), l'intento del cervello di conoscere il proprio funzionamento si trova di fronte ad una barriera che separa due dimensioni: da una parte può raccogliere i dati oggettivi relativi all'attività fisica dei neuroni o delle cellule gliali che lo compongono, e dall'altra può classificare i dati riferiti da singoli individui in merito all'attività mentale ed ai nuclei della psiche che vengono sperimentati. La difficoltà di stabilire un rapporto di causa ed effetto tra queste due dimensioni potrebbe rivelarsi un serio ostacolo, dato che il carattere soggettivo delle esperienze (gli effetti) potrebbe essere inconciliabile col carattere oggettivo richiesto alle funzioni cerebrali attive (le cause). D'altra parte, è noto come un sistema organizzato possa conoscere solo sistemi di complessità inferiore alla propria: resta da vedere se un pool di cervelli possa costituire o no un sistema di complessità superiore rispetto all'oggetto della ricerca.

Inoltre, nel suo modo di funzionare, il cervello non è uno strumento autonomo, anzitutto perché è soggetto ad un flusso continuo di stimoli sensoriali provenienti dall'ambiente esterno che deve elaborare ed interpretare, e poi perché è in comunicazione più o meno frequente con altri cervelli, e dunque con altri sistemi mentali, dai quali riceve informazioni, istruzioni e programmi interpretativi sui vari aspetti del mondo, compresa la vita interiore. Dato che riscontriamo profonde differenze individuali e caratteriali tra gli esseri umani, è evidente che se facciamo riferimento al cervello come strumento determinante dell'esistenza dell'io cosciente, dobbiamo riconoscere che tra un cervello e l'altro possono esservi notevoli diversità, che si riflettono sul modo di funzionare di ogni persona: pertanto, se si studiano alcuni aspetti del funzionamento di un singolo cervello, non è detto che i risultati possano essere automaticamente estesi ad un altro cervello. Oltre ad essere una struttura vivente, e come tale soggetta a mutamenti nel tempo, il cervello ha un funzionamento suscettibile di essere plasmato e modificato. Inoltre, esso stesso può essere in grado di elaborare in modo nuovo e creativo gran parte delle informazioni e dei programmi ricevuti, dimostrando così la propria individualità vitale.

Dunque, l'identificazione dell'essere umano col suo cervello non rappresenta nessuna scoperta sensazionale (come vorrebbe lasciar intendere il titolo originale del citato libro di Francis Crick: Astonishing Hypothesis - Scientific Search for the Soul), ma comporta soltanto un diverso inquadramento dell'oggetto della ricerca. Già Ippocrate, il grande medico e scienziato vissuto nel quarto secolo a.C., così si esprimeva: «Occorre sapere che il piacere, la gioia, il riso e il divertimento, così come la pena, il dolore, la paura ed il pianto, non hanno altra fonte che il cervello. È soprattutto questo organo che ci consente di pensare, vedere e sentire, e di distinguere il bello dal brutto, il bene dal male, il piacevole dallo spiacevole. È nel cervello che hanno dimora la follia e il delirio, le paure e gli orrori che ci tormentano spesso di notte e a volte anche di giorno; lì è la causa dell’insonnia e del sonnambulismo, dei pensieri che non affiorano alla mente, della dimenticanza dei doveri e di sintomi bizzarri». Le ricerche attuali non fanno che confermare ed approfondire sempre più le modalità con cui il nostro cervello determina quasi tutto ciò che siamo, ed in questo secolo la letteratura sull'argomento si è notevolmente arricchita. Resta però da considerare un fatto fondamentale: alla morte del suo organismo il cervello umano è destinato a dissolversi.

L'attività cerebrale inconscia e il funzionamento del cervello

Una volta preso atto del fatto che la coscienza è determinata dall'attività coordinata di particolari aree della corteccia cerebrale, e che l'esistenza stessa dell'io dipende dalla coscienza, resta il problema di sapere se c'è un centro di controllo dell'attività cerebrale inconscia. Evidentemente questo centro di controllo non è l'io cosciente, la cui stessa esistenza viene considerata da alcuni scienziati come una specie di illusione (si veda l'intervista a Gerhard Roth), tuttavia, come si è già osservato, l'io cosciente rappresenta il nucleo essenziale della nostra esistenza individuale. Se è vero, come si ritiene, che i nuclei della psiche acquisiti dalla coscienza sono determinati in buona parte da attività cerebrali inconsce che sfuggono al controllo dell'io (nonostante l'illusione trasmessa all'io di poter esercitare qualche forma di controllo sulla psiche), ci si può quanto meno domandare da che cosa dipenda e da cosa sia determinato questo strano gioco di specchi e di illusioni. Il carattere ingannevole della psiche umana viene evidenziato nelle pagine successive di questa sezione, ma c'è un aspetto dell'attività mentale che non andrebbe mai dimenticato: ogni cervello in grado di funzionare in modo normalmente standardizzato è immerso, nel corso della sua vita, in un flusso di comunicazioni informative e programmatiche – dipendenti dall'epoca e dal luogo in cui l'organismo vive, cioè dal tempo e dallo spazio – che ne influenzano il funzionamento secondo tre direttrici.

Alcuni di questi programmi culturali possono infatti mettere radici, metaforicamante parlando, nel cervello, influenzando poi l'attività mentale successiva. Altri programmi vengono confrontati con quelli precedentemente acquisiti e diventati dominanti, ed accettati o rifiutati in base alla loro concordanza con gli stessi, oppure, in qualche caso, vanno a sostituire i programmi già acquisiti. Infine – ma questo accade solo per un numero limitato di cervelli – c'è la possibilità di un'elaborazione autonoma e creativa, da parte dell'attività mentale, di nuove ideazioni che, prendendo spunto dalle informazioni programmatiche acquisite, determinano programmi originali che vengono immessi, con maggiore o minore successo, nel circolo culturale. Un fenomeno di questo genere, di dimensioni epocali, è avvenuto nella nostra cultura a partire dalla metà del XVII secolo, quando i programmi culturali elaborati sulla base delle conoscenze scientifiche hanno cominciato a sostituire quelli fondati sulle credenze religiose.

Le componenti della psiche associate all'attività cerebrale

Riconosciuto il fatto che ogni cervello finisce con l'essere un mondo a sé, in ragione dei fattori genetici, culturali ed ambientali che ne determinano lo sviluppo e la programmazione (pur mantenendo normalmente la capacità di comunicare e di interagire con altri cervelli), dal punto di vista dell'io cosciente l'aspetto più interessante dell'attività cerebrale è dato dal fatto che agli eventi coscienti si associano varie sintonie della psiche, che prendono una di quelle forme che in epoche passate (ed in parte anche oggi) venivano attribuite alle funzioni superiori dell'anima umana (come l'intelligenza, il pensiero razionale, la carità, la comprensione e l'empatia verso gli altri, il senso di giustizia, ecc.), oppure alle pulsioni ed agli istinti derivanti dalla natura animale del nostro organismo (il desiderio di possesso, le passioni, la violenza, lo sfruttamento degli altri, ecc.). Nella storia umana, non c'è stata né epoca né luogo in cui la psiche non abbia elaborato sotto forma di programma culturale, nell'una o nell'altra forma, una visione della vita umana tendente a dar conto della complessità, della conflittualità, degli aspetti gratificanti e – soprattutto – di quelli dolorosi della vita interiore. Nel caso in cui si voglia ricondurre all'attività cerebrale anche la complessità degli elementi che costituiscono la psiche umana, c'è una domanda alla quale è necessario rispondere: da cosa sono state originate queste sintonie della psiche, in tutta la loro gamma di varianti?

I nuclei della psiche di cui fa esperienza l'io cosciente devono aver avuto un'origine: se la loro attuale manifestazione nell'ambito della vita interiore di un individuo dipende da una particolare connessione delle reti neurali o dalla presenza di determinati neurotrasmettitori, questo implica che il cervello stesso, come abbiamo notato, ha la capacità di determinare certe esperienze. Alcune di tali esperienze sono determinate dal normale funzionamento del cervello, mentre altre dipendono dal modo in cui il cervello elabora i programmi culturalmente ricevuti. La maggior parte delle esperienze sono determinate da entrambe le cause. Per esempio, i nuclei della psiche di panico o di paura sperimentati da chi è coinvolto in un terremoto o in un incendio sono dovuti alle reazioni immediate del cervello a tali eventi, mentre la paura di essere licenziati e di finire in miseria dipende dal modo in cui i programmi culturali attivano alcuni circuiti cerebrali. Ma in che modo il funzionamento del cervello può determinare le esperienze della psiche dell'io cosciente? Va ricordato che voler negare valore ed importanza all'io cosciente, riducendolo ad un quasi superfluo epifenomeno del cervello, come vorrebbero alcuni neuroscienziati, significa ridurre l'essere umano ad un complesso e sofisticato automa, e considerare come pura illusione l'unica cosa che costituisce la sua essenza individuale: la vita interiore. A ben considerare, concetti come spirito o anima, una volta liberati dalle loro connotazioni religiose e dalle relative implicazioni morali, rappresentano proprio la realtà dell'io cosciente e la dignità e l'importanza attribuiti al suo viaggio di una vita attraverso le esperienze della psiche.

L'evoluzione della psiche

Poiché un cervello ben funzionante è un sistema psico-fisico, possiamo ipotizzare per i nuclei della psiche uno sviluppo cronologico evolutivo che ha determinato la loro complessità attuale a partire da semplici manifestazioni iniziali, analogamente a quanto è avvenuto per l'evoluzione degli organismi animali complessi, che si sono evoluti dai primi organismi unicellulari. Ciò che contraddistingue e definisce la psiche, tuttavia, non è dato né dal comportamento dell'organismo né dalle variazioni morfologiche o fisiologiche che si verificano al suo interno: questi fattori infatti possono dipendere dal funzionamento meccanico, per quanto complesso, del sistema organico. Affinché si possa parlare di psiche è necessario che sia presente un elemento individuale cosciente associato all'organismo (quello che nell'essere umano riconosciamo come io cosciente) in grado di sperimentare soggettivamente gli effetti della dinamiche della psiche. Per esempio, di fronte ad un pericolo che lo minaccia un organismo può manifestare un comportamento di fuga o di difesa e presentare alterazioni nel suo funzionamento, ma solo se possiede una coscienza può sperimentare gli effetti della paura. Dunque la psiche deve necessariamente essere associata ad una forma di coscienza. Vari indizi ci portano a ritenere che, oltre all'essere umano, anche animali di varie specie siano dotati di coscienza ed abbiano esperienze psichiche, ma non sappiamo fino a dove possiamo estendere questa nostra supposizione. Un grillo è dotato di coscienza, o è solo un automatismo evoluto, ben organizzato e ben funzionante?

Affinché si possa parlare di evoluzione della psiche è necessario stabilire a che punto dell'evoluzione delle forme viventi ha fatto la sua comparsa un soggetto cosciente in grado di registrare, di memorizzare e poi di ricordare le esperienze determinate dalla psiche. Poi si dovrebbe indagare attraverso quali forme di elaborazione mentale e di trasmissione comunicativa si possa passare da primitive e semplici manifestazioni della psiche ad altre via via più articolate e complesse. Ma poiché l'acquisizione di dati sulla psiche può avvenire solo per esperienza soggettiva diretta o per comunicazione da parte di altri individui con i quali possiamo condividere un sistema informativo, lo studio della psiche al di là dell'ambito dell'essere umano è difficile. In anni recenti sono stati compiuti esperimenti per verificare se certi compiti abbastanza complessi, che l'essere umano non può portare a termine se non coscientemente, determinano un'attività cerebrale intensa quando vengono svolti da animali superiori, in aree corrispondenti a quelle che si attivano nel cervello umano per compiere le stesse azioni. Se i risultati sono positivi, si può ragionevolmente ipotizzare che anche l'animale sia cosciente. Ovviamente si possono interpretare positivamente i risultati ottenuti per animali la cui struttura cerebrale è in qualche modo analoga a quella umana, come i primati ed altri mammiferi, ma non riusciamo a capire se un insetto è cosciente o meno.

Si può essere portati ad estendere, per analogia, certe manifestazioni comportamentali o fisiologiche alle esperienze della psiche che noi associamo ad esse, ma che si tratti di un'analogia arbitraria e non suffragata da prove lo dimostra il comportamento dei bambini molto piccoli, al quale abbiamo già fatto riferimento: piangono, ridono, agiscono ed interagiscono, dimostrano soddisfazione o irritazione, eppure non sono coscienti. A meno di non voler ipotizzare uno stato di coscienza pressoché istantaneo, che non viene registrato nella memoria a medio ed a lungo termine, non si può affermare che un bambino di un anno, nel quale non si è ancora sviluppato un io cosciente, sperimenti veramente il dolore, anche se tutto il suo organismo manifesta gli effetti di qualcosa che lo fa soffrire.

L'influenza culturale delle conoscenze scientifiche e le visioni del mondo prodotte dalla psiche

Ogni nuova forma di conoscenza che viene immessa nel circuito culturale di una società esercita un effetto sulla programmazione dei vari cervelli esposti alle influenze di quella cultura, e dunque sugli effetti psichici che ne derivano. Ovviamente, non tutti i cervelli reagiscono allo stesso modo, e c'è una notevole differenza tra i cervelli che hanno già decenni di vita, nei quali i nuovi programmi culturali devono confrontarsi con altri già precedentemente acquisiti, ed i cervelli più giovani, che in genere li acquisiscono più agevolmente e senza difficoltà. Quest'osservazione, nella sua banalità, ci porta a confrontarci con la questione relativa alla visione del mondo, ed al senso della vita, elaborata dalla psiche umana nelle diverse culture e nelle varie epoche. Per esempio, dopo un periodo di diversi secoli in cui il programma culturale dominante presentava l'essere umano come un sistema duale, composto da un corpo (mortale) e da un'anima (immortale), da qualche decennio a questa parte si va sempre più affermando un nuovo programma, secondo il quale l'essere umano è costituito solo da un corpo col relativo cervello: di conseguenza, quello che in passato è stato interpretato come anima oggi viene considerato come il prodotto dell'attività mentale determinata dal funzionamento del cervello. Se così stanno le cose, è come se il cervello umano (in base alle interazioni presenti tra le molte migliaia di cervelli che compongono un sistema socioculturale) dicesse: «Scusate tanto, fino ad oggi mi sono sbagliato, ma adesso vi racconto le cose come sono realmente».

Siccome ogni forma di conoscenza è determinata dall'attività mentale, essa non è altro che una costruzione della psiche orientata a rappresentarci una realtà che, nella sua essenza, ci sfugge. La fiducia che possiamo avere nelle rappresentazioni elaborate dalla psiche umana è minata alla base dal fatto che tali rappresentazioni sono mutevoli presso le varie culture, tanto nello spazio quanto nel tempo. Anche oggi, nella nostra società, moltissime persone continuano a funzionare sulla base di programmi a carattere religioso, e non di rado anche superstizioso. È senza dubbio vero che per comprendere le basi della conoscenza scientifica ci vuole un'intelligenza non comune, e che le conquiste della scienza dovrebbero essere destinate ad affermarsi nel tempo per la loro coerenza intrinseca e per i vantaggi che comportano nei confronti delle varie condizioni della vita umana. Ma la rappresentazione della psiche secondo la quale l'attività mentale cosciente non è altro che un epifenomeno dell'attività cerebrale presenta più di un punto debole, e non produce alcun vantaggio. L'io cosciente, infatti, è dotato di una propria realtà e di una propria autonomia intenzionale: questo significa che quelle parti del cervello che – con la loro attività – determinano la coscienza e l'io, si differenziano fondamentalmente dalle aree del cervello che funzionano autonomamente in modo inconscio. Il fatto di riportare nell'ambito funzionale del cervello tutti i problemi ed i conflitti che si riscontrano nella psiche umana può forse essere di aiuto, ma non sposta di una virgola la complessità e la difficoltà delle questioni da risolvere, dato che la base organica mantiene in sé il mistero della sua enigmatica origine.

Il valore autonomo delle esperienze della psiche

Non è necessario, dunque, dover negare che la nostra vita attuale dipenda dal funzionamento del cervello, per riconoscere il valore che le esperienze originate dalla psiche hanno per l'io cosciente. Tutta la nostra vita interiore resta fondata su tali esperienze e sul modo in cui vengono conservate nella memoria. Il fatto che una parte del cervello si sia evoluta in modo da determinare l'esistenza di un io cosciente che viene coinvolto in un flusso di esperienze interiori costituisce una realtà significativa ed importante. Inoltre, se è vero che l'attività cerebrale determina l'attività mentale, è altrettanto vero che quest'ultima influenza ed orienta la prima: l'attività cerebrale e l'attività mentale non sono altro che due aspetti dello stesso fenomeno. Nel corso di questa vita, l'attività mentale è finalizzata a sperimentare ed a valutare i diversi aspetti della psiche umana, mentre l'attività cerebrale, oltre a fornire il coordinamento ed il supporto per il funzionamento del sistema psicofisico mediante il quale sperimentiamo la vita, determina le condizioni dell'attività mentale ed elabora e memorizza le esperienze. Nell'ambito di un quadro così ricco e complesso, l'io cosciente può orientare la sua valutazione verso la ricerca di una finalità, di un destino e di un significato, oppure può credere che questo sorprendente gioco dinamico creato dall'evoluzione si esaurisca in se stesso. Certamente appare strano voler ridurre lo smagliante cromatismo delle esperienze della psiche ad una indifferenziata e grigia tonalità: alcune di queste esperienze sono più significative, entusiasmanti ed appaganti di altre, ed una delle esigenze dominanti della vita interiore è proprio la ricerca di tali esperienze.

Questa è la ragione per cui in questo sito viene dato ampio spazio a quelle particolari esperienze che trascendono lo stato di coscienza ordinario e che hanno un'impatto profondo sull'io cosciente, facendolo sentire in relazione ed in contatto con la sorgente stessa dell'esperienza della vita. Il fatto che anche tali esperienze siano riconducibili all'attività del cervello non ne mina assolutamente l'importanza: significa solo che il cervello si è evoluto ed è stato programmato per poter sintonizzare tali esperienze, almeno in relazione all'io cosciente di alcune persone. L'unico problema che resta veramente aperto è quello relativo alla dissoluzione del cervello, che di norma avviene dopo la morte, anche se traumi, lesioni e varie patologie possono comprometterne il funzionamento anche nel corso della vita, e talvolta fin dalla nascita. Al riguardo è importante comprendere che non si può parlare del cervello come di un organo prodotto in serie, e con minime differenze tra l'uno e l'altro essere umano: i cervelli differiscono sensibilmente l'uno dall'altro tanto per i fattori genetici che ne determinano lo sviluppo ed il funzionamento quanto per i programmi culturali che ricevono e per le circostanze ambientali nelle quali operano. Ed anche dopo aver riconosciuto queste cause di diversità, non è detto che non ne possano esistere altre che per ora sfuggono alla nostra conoscenza, considerato che tante e così ampie sono le differenze che si riscontrano tra le sintonie della psiche che gli esseri umani sperimentano individualmente.

La mente ed i fenomeni paranormali

I fenomeni paranormali accadono realmente, seppure in modo aleatorio, e presentano per la mente umana un problema non indifferente. Infatti, per poter spiegare la produzioni di tali fenomeni sulla base della visione deterministica per cui ad ogni aspetto dell'attività della psiche corrisponde una particolare attività cerebrale, il cervello umano (o quanto meno il cervello di alcuni esseri umani) dovrebbe essere dotato di particolari facoltà le cui modalità di manifestazione non sono ancora state comprese. Queste facoltà comprendono la trasmissione a distanza del pensiero, la conoscenza di fatti accaduti nel passato o che accadranno in futuro, l'azione di forze invisibili ma oggettivamente attive, la produzione di fenomeni visivi ed auditivi oggettivamente percepiti, la produzione di materia organizzata, fino ad organismi completi ed apparentemente viventi, con sembianze umane, che possono essere percepiti come in carne ed ossa. In questo sito viene dato risalto soprattutto a quei fenomeni medianici che presentano al massimo livello l'ampia gamma della fenomenologia paranormale. Sebbene ai nostri giorni questi fenomeni siano in declino, nel periodo tra la metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento essi ebbero una diffusione notevole, testimoniata da un'abbondante letteratura e dalle ricerche condotte anche da illustri uomini di scienza, di alcune delle quali si dà conto nella sezione sulla ricerca psichica.

Attualmente i fenomeni paranormali sono oggetto di una seria ricerca da parte di studiosi qualificati e ben preparati, e vi sono anche alcune istituzioni accademiche che si dedicano a queste indagini. Si assiste tuttavia ad una specie di tentativo di rincorsa per cui, da una parte, gli studosi del paranormale fanno ogni sforzo per accreditarsi in ambito scientifico e far sì che alla parapsicologia sia riconosciuto il rango di disciplina scientifica (e qualche risultato in tal senso è stato ottenuto), e dall'altro la comunità scientifica, nel suo complesso, continua a considerare i fenomeni paranormali o come inesistenti (in quanto dogmaticamente considerati, in ogni caso, come prodotti mediante frode e inganno), o come una seccante anomalia, della quale non vale la pena di occuparsi perché sarebbe un'inutile perdita di tempo. Come vedremo, le possibilità di sottoporre i fenomeni paranormali al metodo scientifico sono molto limitate, e praticamente nulle per i fenomeni più eclatanti. Nonostante ciò, in passato sono state condotte serie indagini di laboratorio anche su alcuni fenomeni medianici, ed i relativi risultati sono stati pubblicati.

Nella fenomenologia medianica resta pur sempre un elemento di disturbo nei confronti del quadro scientifico attualmente più accreditato che vede nel cervello l'unica sorgente dell'attività mentale e delle esperienze determinate dalla psiche umana. Il funzionamento del cervello, così come viene spiegato, è fondato sull'attività di trasmissione di segnali di natura elettrochimica all'interno dei neuroni e nelle sinapsi che collegano i neuroni tra loro, mediante le molecole dei neurotrasmettitori. I segnali provenienti dall'ambiente esterno, in grado di influenzare il funzionamento di questo sistema neurale, devono avere un supporto fisico in grado di interagire con qualcuno dei terminali sensoriali del sistema. A sua volta, anche l'azione prodotta dall'attività cerebrale nei confronti dell'ambiente esterno dovrebbe estrinsecarsi in ogni caso tramite un supporto fisico (un movimento corporeo, un'emissione di suoni, ecc.). Molti fenomeni paranormali, tuttavia, non rientrano in questo quadro.


 

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