La coscienza e la scoperta dell'inconscio |
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Coscienza ed autocontrollo Come si è visto, la nostra esistenza in questa vita è legata al funzionamento del nostro corpo, ed in particolare del cervello, tuttavia la percezione del nostro esistere è determinata da quel fenomeno interiore che chiamiamo coscienza, e soprattutto dall'autocoscienza di quel nucleo definito come io. Ma vi sono molti elementi di discontinuità e, non di rado, di conflittualità, tra il funzionamento ed il comportamento dell'organismo di una persona, e la coscienza e l'io di quella stessa persona: un osservatore esterno potrebbe credere, osservando il modo in cui il corpo di una persona si manifesta, agisce, parla, ecc., che l'io cosciente di quella persona sappia bene quello che accade al suo corpo e sia in grado di controllarlo. Invece può accadere che, pur essendo cosciente di ciò che il suo corpo sta facendo o dicendo, il controllo intenzionale e volontario da parte dell'io sulle azioni del corpo sia ridotto o inibito. Inoltre vi sono casi in cui può venir meno la stessa coscienza, per cui il corpo di un individuo può muoversi, agire e parlare in modo automatico o eterodiretto, senza che un io interiore sia cosciente di tali comportamenti. La constatazione e lo studio relativo a questi fatti hanno portato allo sviluppo del concetto di inconscio. Processi inconsci, subconscio e stati di coscienza autonomi È evidente come la maggior parte dei processi fisiologici che determinano lo sviluppo ed il funzionamento del nostro corpo siano inconsci. Inoltre diventano inconsci molti ricordi relativi a ciò che abbiamo fatto o che ci è accaduto: questo significa che una parte di ciò di cui siamo stati coscienti, col trascorrere del tempo, diventa subconscio o inconscio. In merito all'accessibilità dei ricordi si è sostenuto che il termine subconscio sia preferibile a quello di inconscio, dato che alcuni ricordi possono essere richiamati alla coscienza, seppure con un certo sforzo, oppure vi tornano spontaneamente in determinate circostanze, richiamati da qualche associazione mentale. Fin qui siamo nell'ambito di quello che viene ritenuto il normale funzionamento della mente umana, in relazione al quale la coscienza viene da alcuni considerata come un epifenomeno dei processi determinati dall'attività di particolari aree cerebrali. Ma partendo dalle ricerche su alcune patologie mentali, come quella che fino alla fine dell'Ottocento veniva definita isteria, oppure dalle indagini sui fenomeni di tipo ipnotico e sonnambolico (per i quali si rimanda alla sezione sulla ricerca psichica), gli studiosi si resero conto che esistevano forme di comportamento, più o meno coordinate e coerenti, a cui si associavano eventi della psiche che non rientravano nell'ambito della coscienza ordinaria di una persona. In casi particolari questi eventi si organizzavano coscientemente in relazione ad un io secondario, distinto ed autonomo rispetto all'io primario, per cui si poteva verificare il fenomeno delle cosiddette personalità multiple, consistenti in stati di identità e di coscienza separati ed autonomi che si manifestavano in periodi diversi all'interno dello stesso corpo. Più spesso, i complessi originati dalla psiche denotavano una loro autonomia dalla coscienza pur senza organizzarsi in una coscienza secondaria. Inganni originati dalla psiche Esaminando i processi mentali, i ricercatori si accorsero che ciò che veniva elaborato dalla psiche nell'ambito della coscienza, in relazione a determinati comportamenti, alle loro cause, ed ai disturbi mentali, non corrispondeva alle vere cause che provocavano quei comportamenti o quei disturbi. Queste cause erano state rimosse dalla coscienza, e sostituite da altre (fittizie ma considerate più accettabili, di solito sulla base di condizionamenti socioculturali), oppure i disturbi si presentavano senza che l'io del soggetto potesse in alcun modo individuarne o comprenderne la causa. Così gli studiosi della psiche dovettero riconoscere la vulnerabilità e la debolezza dell'io di una persona nei confronti di quelle forze che determinavano il funzionamento ed il comportamento del suo organismo in relazione a determinati eventi ambientali, sociali e culturali. Laddove ci si sarebbe dovuto attendere una capacità dell'io e della sua volontà di gestire efficacemente le dinamiche della psiche determinate dalle interazioni del corpo con l'ambiente, si verificava invece un'aleatoria incertezza in merito all'attivarsi di nuclei autonomi che si sottraevano a qualsiasi forma di controllo volontario. Accadeva per l'io cosciente qualcosa di analogo a quello che accadeva all'organismo: così come il corpo era vulnerabile ed esposto a tutte le minacce provenienti dall'ambiente, alle quali reagiva con maggiore o minore successo mediante le risorse di cui era dotato, anche l'io era esposto a determinate minacce prodotte dalla psiche che non solo non era in grado di controllare, ma che operavano al di fuori del raggio d'azione della sua coscienza. Lo psichiatra e lo psicoterapeuta Nel corso dell'Ottocento, l'evoluzione della scienza medica nell'ambito delle società complesse aveva determinato la divisione della professione in diverse branche di competenza specialistica: dopo che alla figura del neurologo si era affiancata quella dello psichiatra (il medico della psiche), si affermò una nuova disciplina, la psicologia, che avrebbe dovuto studiare e comprendere il funzionamento della mente umana. I problemi di natura sociale e le richieste di aiuto personale fecero sì che, dal tardo Ottocento fino ai giorni nostri, si affermasse nel campo della psicologia il nuovo ruolo dello psicoterapeuta, sostenuto da una delle varie forme di speranza originate dalla psiche delle quali è costellata la storia dell'umanità. In effetti l'osservazione empirica delle anomalie del funzionamento della psiche umana, oggetto di studio da parte degli psichiatri nell'Ottocento, pose subito un problema di metodo, tra chi affermava che ci si dovesse attenere allo studio organico e fisiologico del funzionamento del cervello e del sistema nervoso, nella speranza di individuare in futuro le cause dei problemi originati dalla psiche, e chi riteneva che – date le difficoltà che lo studio del cervello presentava – fosse preferibile tentare un approccio empirico ai problemi della malattia mentale, fondato sull'osservazione e sulla comunicazione (Freud). È evidente come solo l'approccio fisiologico ed organico possa essere considerato coerente col metodo scientifico: infatti l'osservazione empirica in un campo così aleatorio come quello dei comportamenti umani e delle relative esperienze mentali comunicate verbalmente, con le modalità determinate dallo stato di coscienza dei soggetti osservati, presenta troppe variabili per poter essere oggetto di uno studio scientifico in senso stretto. Inoltre, il fatto stesso che la mente degli osservatori fosse attivamente coinvolta nei casi umani rappresentati dai soggetti osservati, non fosse altro che per l'esigenza terapeutica o sociale di alleviarne le sofferenze, costituiva un ulteriore elemento di inaffidabilità nei confronti delle teorie interpretative dei sintomi, e dei sistemi terapeutici adottati. Comunque, dovendo fare di necessità virtù, l'impegno degli psichiatri dell'Ottocento fu encomiabile, ed in alcuni casi portò a risultati di rilievo, a fronte tuttavia di molti casi non risolti che, com'è comprensibile, non ebbero la stessa risonanza e la stessa evidenza di quelli affrontati con successo. Ma ciò che emerse ben presto fu la diversa interpretazione data dalle varie scuole alle dinamiche della psiche osservate: la psicologia iniziò così a ramificarsi nelle varie psicologie, ed il concetto di inconscio è stato più volte rielaborato e reinterpretato alla luce delle correnti culturali che si sono via via affermate sulla scena europea ed americana. Un ottimo testo per seguire l'evoluzione del concetto di inconscio, tanto sotto il profilo filosofico e culturale quanto nell'ambito specifico della psichiatria dinamica, è La scoperta dell'inconscio (1970), in due volumi, scritto dallo psichiatra Henri F. Ellenberger (1905-1993), nato in Rhodesia da famiglia di origine svizzera ed attivo in ambito accademico in Europa (Francia e Svizzera), negli Stati Uniti e soprattutto in Canada. Quest'opera, fondamentale per chiunque sia interessato alla psiche umana, non può essere resa accessibile liberamente perché soggetta a diritti d'autore, ma merita senz'altro un'attenta lettura. L'inconscio e la psiche: Schopenhauer e Carus Nel suo libro Ellenberger evidenzia come, nell'ambito del tardo romanticismo, si affermasse in Europa l'idea che l'inconscio fosse la stessa psiche, un'entità dotata di autonomia creatrice che solo in minima parte veniva recepita ed elaborata dalla coscienza degli esseri umani. L'origine di questa concezione può essere ricercata nell'opera del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860), il quale nel 1818 pubblicò il suo libro più importante, Il mondo come volontà e come rappresentazione. Questo testo passò inosservato per oltre un trentennio, venendo quasi dimenticato, per essere poi riscoperto ed affermarsi culturalmente con grande successo, forse anche a causa delle delusioni causate dal fallimento delle rivoluzioni del 1848. Lasciando da parte le critiche che si possono muovere al sistema elaborato da Schopenhauer, si può evidenziare la relazione che si stabilisce tra il concetto di rappresentazione e la coscienza umana, mentre la volontà per Schopenhauer è la forza creatrice in sé: nel momento in cui agisce sull'essere umano, mediante lo strumento psicofisico che consente tanto la rappresentazione cosciente quanto l'azione, la volontà si manifesta come una forza inconscia al cui potere l'individuo non può sfuggire. Siamo ben lontani, come si vede, da qualsiasi riferimento alle funzioni organiche e fisiologiche del sistema nervoso, ed anche dalla rimozione di gran parte degli eventi della nostra vita, esterna ed interiore, che dovrebbero caratterizzare le attività inconscie. La volontà di Schopenhauer è inconscia perché, secondo il filosofo, non ha né una propria autocoscienza né uno scopo. Una notevole figura di artista, medico e pensatore romantico, fu Carl Gustav Carus (1789-1869): oltre ad essere un pittore di talento, si laureò in medicina ed in filosofia, e nel 1814 fu nominato direttore della clinica di ostetricia e maternità dell'Università di Dresda. Scrittore prolifico, si occupò di anatomia e di fisiologia degli animali, ma anche di psicologia: nel 1846 pubblicò Psyche, zur Entwicklungsgeschichte der Seele (La psiche, sull'evoluzione dell'anima), considerato da Ellenberger come il primo tentativo di presentare una teoria obiettiva e concreta sulla psicologia dell'inconscio. Anche Carl Gustav Jung (1875-1961) riconobbe a Carus il merito di aver individuato nell'inconscio la base essenziale dello sviluppo della psiche: Carus considerava infatti la psicologia come la scienza dello sviluppo dell'anima dall'inconscio al conscio, anche se il significato da lui dato al termine anima (Seele) era legato ad una visione prevalentemente romantica. Secondo lui la vita umana poteva esser divisa in tre periodi: uno stato pre-embrionale, nel quale l'individuo esiste (potenzialmente) come cellula all'interno delle ovaie materne; un periodo embrionale, nel quale, dopo la fecondazione, si attiva l'inconscio formativo che determina lo sviluppo dell'individuo; e la fase di sviluppo post-natale, nella quale l'inconscio continua a dirigere la crescita dell'individuo ed il suo sviluppo organico. Sorge poi gradualmente la coscienza, che resta sempre sotto l'influenza dell'inconscio, il quale si manifesta soprattutto durante il sonno. Come si può notare, si tratta di una concezione che mescola in modo originale gli aspetti che oggi potremmo definire genetici o informatici dello sviluppo del corpo (non solo umano, ma anche animale), con quelli psichici della mente umana. Dunque l'inconscio di Carus finisce con l'essere una concezione idealizzata – ai limiti della personificazione – di quei fattori della creatività naturale, culminanti nella psiche umana, che sfuggono alle nostre facoltà conoscitive. Carus distingueva tre livelli dell'inconscio. Il primo era l'inconscio generale assoluto, in nessun caso accessibile alla coscienza umana, e pertanto inconoscibile. Il secondo era l'inconscio parziale assoluto, che determinava i processi di formazione, crescita ed attività dei nostri organi, e dunque esercitava un influsso indiretto sulla nostra vita affettiva attraverso le reazioni fisiologiche della respirazione, della circolazione del sangue, dell'attività epatica, e così via. In pratica, Carus non faceva altro che riconoscere che, dato che viviamo con un organismo, il funzionamento del medesimo determina ed influenza anche quello della nostra mente. Il terzo livello, quello dell'inconscio relativo o secondario, coincide con quello che di solito viene definito inconscio personale, ed è dato da tutti i sentimenti, le percezioni, le rappresentazioni e le altre componenti della psiche di cui siamo stati coscienti in una qualsiasi occasione, e che poi sono diventati inconsci. È evidente come solo questo terzo livello corrisponde al concetto di inconscio derivato dalle osservazioni oggettive sul funzionamento della mente, mentre i primi due livelli hanno un'origine speculativa, e finiscono col rappresentare una sorta di metafisica della psiche. In ogni caso le idee di Carus esercitarono una notevole influenza sui successivi sviluppi del concetto di inconscio, ed in particolare sulla psicoanalisi di Freud e sulla psicologia analitica di Jung. In merito a quella che ho definito metafisica dell'inconscio di Carus, ecco un elenco di alcune delle caratteristiche da lui attribuite all'inconscio: esso presenta aspetti prometeici ed epimeteici, è volto verso il futuro e verso il passato, ma ignora il presente; è in continua trasformazione, pertanto i pensieri ed i sentimenti coscienti, quando diventano inconsci, continuano ad essere elaborati e trasformati, subendo quasi un processo di maturazione; l'inconscio è infaticabile e non riposa mai, mentre la nostra coscienza ha bisogno di riposo e di ristoro, che trova immergendosi nell'inconscio; esso è fondamentalmente sano, non conosce malattie, ed una delle sue funzioni è il potere di guarigione della natura; l'inconscio opera secondo leggi ineluttabili e non ha libertà, ma possiede una sua innata saggezza; in esso non compaiono procedimenti del tipo prova ed errore o forme di apprendimento; senza esserne consapevoli, noi siamo in collegamento, per mezzo dell'inconscio, col resto del mondo e con gli altri esseri umani. Le idee speculative esposte da Carus, senz'altro affascinanti, devono il loro successo all'influenza socio-culturale della psiche romantica, ma – sebbene siano basate in parte su osservazioni di tipo empirico – non presentano i requisiti richiesti alla conoscenza scientifica. L'influenza di Carus andrà comunque tenuta presente quando esamineremo i tentativi di spiegare i fenomeni paranormali, indagati dalla ricerca psichica, mediante la teoria della super-Psi. L'inconscio secondo von Hartmann Nella scia di Schopenhauer e di Carus si pose un altro filosofo tardo-romantico tedesco, Eduard von Hartmann (1842-1906), il quale – dopo essersi cimentato anch'egli come pittore e musicista – pubblicò nel 1869 un'opera in tre volumi, Philosophie des Unbewussten (Filosofia dell'inconscio, Philosophy of the Unconscious), che ebbe un notevole successo, tanto che gli furono offerte le cattedre universitarie di Lipsia e di Gottinga, da lui rifiutate per motivi di salute e per mantenere la propria indipendenza. A proposito del libro di Hartmann (pubblicato a Berlino) e del suo successo, Friedrich Nietzsche (1844-1900) scrisse ironicamente nel 1873: «In tutto il mondo nessuno parla dell'inconscio dato che, in accordo con l'essenza stessa del termine, si tratta di qualcosa di non conoscibile: solo a Berlino qualcuno può parlarne e saperne qualcosa, spiegandoci diligentemente cosa lo contraddistingue». Col suo sarcasmo, Nietzsche centrava il nocciolo del problema: come era possibile dissertare di qualcosa che, per definizione, esulava dalla coscienza umana? In effetti, come si è visto, il sostantivo inconscio è diventato un'etichetta dietro la quale si celano diversi significati, alcuni riferiti a modi di funzionamento e comportamenti umani osservabili ed effettivamente osservati, ed altri – del tutto speculativi, come quelli desunti dalle opere di Carus e di Hartmann – che riconducono ad un potere e a un'attività creatrice che si suppongono essere in sé incoscienti, ma dei quali la coscienza umana sarebbe in grado dedurre l'esistenza. Tuttavia, anche sotto questo profilo, non si comprende tramite quale forma di ragionamento si possa decidere se l'esistenza di una facoltà tipicamente umana, come la coscienza, possa essere o meno attribuita ad un'entità che umana non è. Si può dunque riconoscere che l'inconscio, inteso nel senso di Carus e di Hartmann, non è altro che l'espressione di un fenomeno culturale che ha avuto un certo successo, e dunque rappresenta una tipica manifestazione della psiche umana. La questione è dibattuta anche in un interessante libro in inglese, edito nel 2010 dalla Cambridge University Press, con i contributi di diversi studiosi: Thinking the Unconscious (Pensare l'inconscio). Nella sua opera Hartmann rielaborava le idee di vari filosofi tedeschi e prendeva in considerazione anche i testi dei Veda indiani: col termine inconscio infatti indicava quello che Jakob Böhme, Friedrich Schelling ed Arthur Schopenhauer avevano definito volontà. Inoltre riportava un gran numero di fatti importanti e ben documentati che riguardavano la percezione, l'associazione di idee, l'intelligenza, la vita affettiva, le pulsioni istintuali, i tratti caratteriali, il destino individuale ed il ruolo dell'inconscio nella lingua, nella religione, nella storia e nella vita sociale. Nel tentativo di riconciliare Schopenhauer con Hegel e con Leibniz, Hartmann affermava che l'inconscio è tanto volontà quanto rappresentazione (idea), dalle quali derivano rispettivamente l'esistenza del mondo ed il suo ordine naturale. La volontà si esprime nella sofferenza, la rappresentazione nell'ordine e nella coscienza, dunque vi può essere spazio tanto per il pessimismo quanto per l'ottimismo, perché se l'assoluto (cioè l'inconscio) è uno, i suoi due aspetti dovranno riconciliarsi. Con l'avanzare del progresso cosmico, la rappresentazione prevale sulla volontà, rendendo possibile il godimento estetico ed intellettuale. Tuttavia l'evoluzione dell'intelletto ci rende più soggetti alla sofferenza ed il progresso materiale finisce col sopprimere i valori spirituali, per cui sulla Terra non è possibile conseguire una felicità duratura o progredire verso un paradiso terrestre. L'illusione della felicità è utilizzata dall'inconscio per costringere l'umanità a riprodursi ed a propagarsi. Se rinunciassero a quest'inganno, gli esseri umani andrebbero verso un suicidio collettivo, determinando così la vittoria dell'idea sulla volontà: una tipica conclusione di stampo tardo-romantico, coerente e non infondata, basata su un... gaio ottimismo nei confronti della vita umana! Al pari di Carus, anche Hartmann descrisse tre livelli dell'inconscio: l'inconscio assoluto, che costituisce la sostanza dell'universo e dal quale derivano le altre forme dell'inconscio; l'inconscio fisiologico, che opera nelle fasi dello sviluppo e nell'evoluzione degli esseri viventi; l'inconscio relativo o psicologico, che sta alla base delle dinamiche della psiche di cui diventiamo coscienti. Senza entrare in ulteriori dettagli in merito all'opera di Hartmann, va sottolineato come un concetto di carattere eminentemente speculativo, che avrebbe potuto essere definito in molti modi (ad esempio potere creativo della natura, energia della psiche, fattore evolutivo, ecc.), sia stato associato a quanto si manifesta al di fuori della coscienza umana, fino ad assumere dei connotati quasi personalizzati. Mi sembra evidente come l'inconscio, considerato da questo punto di vista, finisca col diventare un sostituto ed un surrogato del concetto di Dio, in auge fino all'era moderna ma già tramontato nell'orizzonte culturale e scientifico dell'Ottocento. Il successivo uso del concetto di inconscio da parte tanto di Freud quanto di Jung risente delle ambiguità non risolte legate al modo in cui l'idea stessa si era evoluta ed affermata nell'ambito culturale romantico e post-romantico, fino a Nietzsche. Solo nella seconda metà del Novecento cominciò a manifestarsi l'esigenza di fare chiarezza su un termine così pesantemente contaminato da vari elementi speculativi, i quali costituiscono comunque un materiale di osservazione prezioso in quanto manifestazioni culturali della psiche umana. L'inconoscibilità dell'inconscio Se poi si vuole utilizzare il sostantivo inconscio in relazione al fatto che noi non conosciamo le cause che determinano il funzionamento e le manifestazioni della psiche umana, e che in molti casi il nostro io non riesce a controllare mediante la volontà nè le manifestazioni della psiche di cui siamo coscienti, né – a maggior ragione – tutte le dinamiche del funzionamento mentale di cui non abbiamo coscienza, allora si può essere d'accordo nel considerarlo come un sistema, in gran parte ancora sconosciuto, che determina tanto il nostro destino personale quanto la nostra vita interiore come esseri umani. Ma proprio l'impossibilità di pervenire ad un'adeguata conoscenza di un fenomeno di queste proporzioni, dotato di un potere così ampio rispetto alle nostre limitate facoltà di controllo, dovrebbe renderci cauti nei confronti dei tentativi, più o meno ingenui, di descriverlo o di teorizzarne il funzionamento. Inoltre risulta evidente, da quanto abbiamo visto finora, come ogni pensatore che abbia ritenuto di poter indagare l'inconscio, lo abbia fatto sulla base delle esperienze della propria psiche, dando a volte l'impressione di credere che tutti gli esseri umani possano essere orientati in modo simile, mentre è evidente – come già abbiamo avuto modo di osservare – che la psiche umana nel suo complesso va molto al di là delle possibilità di osservazione e di sperimentazione da parte di un singolo individuo, per quanto intelligente ed acuto possa essere. Ne sia prova il fatto che, nonostante il pessimismo di Schopenhauer o di Hartmann, e nonostante tutte le sciagure e le tragedie che hanno segnato il secolo scorso, l'umanità non solo continua imperterrita ad esistere, ma – dalla fine della seconda guerra mondiale ai nostri giorni – la popolazione umana nel suo complesso si è più che triplicata (con tutti i problemi che ne derivano). Il cervello e l'attività mentale inconscia Attualmente, come si è visto, l'indagine scientifica è orientata sulla conoscenza del funzionamento del cervello, che determina tanto l'attività mentale cosciente quanto tutte quelle funzioni che non vengono registrate dalla coscienza. Il cervello lavora, per così dire, giorno e notte. Gran parte dell'attività cerebrale inconscia controlla e regola il funzionamento dell'organismo, e rappresenta in qualche modo l'eredità animale del corpo umano, ma un'altra parte registra, memorizza ed eleabora le sensazioni, le informazioni ed i dati ricevuti continuamente dall'ambiente e le esperienze originate dalla psiche che ne conseguono. Una parte di quest'attività si può trasformare, prima o poi, in esperienza cosciente, ma in molti casi si tratta di funzioni che restano inconsce. Un particolare interesse riveste la funzione creatrice dell'attività mentale, che merita di essere esaminata con particolare attenzione in quanto costituisce l'elemento di maggior risalto nella diversità tra l'essere umano e gli altri animali. In ogni caso, una volta ricondotte alle reti neurali del cervello (o meglio: dei cervelli) tutte le funzioni che determinano tanto l'attività mentale cosciente, con tutte le esperienze che ne derivano, quanto le attività operative che restano inconscie (pur potendo anch'esse avere dei riflessi coscienti), tutte le questioni relative alle cause che hanno portato all'evoluzione di questo straordinario strumento, alle modalità del suo funzionamento ed alle finalità della sua attività restano aperte. Le varie teorie speculative sull'inconscio precedentemente esposte rappresentano un tentativo di risposta, sulla base di quanto elaborato dalla psiche umana, a tali importanti questioni che riguardano proprio il significato della nostra stessa esistenza. Ogni considerazione in merito all'inconscio andrebbe ricondotta al problema fondamentale della correlazione tra l'attività di acquisizione delle informazioni e dei programmi, seguita da una fase di ulteriore elaborazione eseguita dal nostro cervello, e la percezione cosciente che ne consegue. Non vi è dubbio che noi registriamo coscientemente solo una parte di quanto il nostro cervello riceve ed elabora, mentre la maggior parte dell'attività mentale sfugge all'io cosciente. Inoltre ciò che noi possiamo percepire coscientemente sono esclusivamente gli elementi della psiche, in forma di pensieri, sensazioni, emozioni, sentimenti, ricordi, sogni, ecc., mentre l'io cosciente non è mai direttamente informato sui processi mentali che determinano tali manifestazioni. Tuttavia, nel momento in cui determinati nuclei della psiche entrano nell'ambito della nostra coscienza, l'io può percepire delle tensioni e dei conflitti la cui origine dovrebbe essere riconducibile all'attività di elaborazione inconscia da parte del cervello: così come una malattia od un trauma del corpo generano impulsi nervosi che sono trasferiti al cervello ed elaborati in modo da darci la percezione del dolore, anche determinati segnali, informazioni e condizionamenti provenienti dall'ambiente esterno vengono elaborati, attivando reazioni originate dalla psiche che irrompono nella coscienza. L'io può anche essere travolto da nuclei della psiche particolarmente intensi, per far fronte ai quali cerca di attivare le risorse di cui dispone – soprattutto la volontà e l'intelligenza – in modo da mettere a punto le strategie di difesa che gli sembrano più efficaci. Fin quando l'attività mentale resta a livello inconscio, possiamo avere una certa comprensione del funzionamento di questo complesso sistema di elaborazione, finalizzato al perseguimento di determinati obiettivi ed alla propria autodifesa (come avviene per molte specie animali). Ma quando prendiamo in considerazione anche l'aspetto cosciente delle dinamiche della psiche umana cominciamo a sentirci a disagio, perché non di rado abbiamo l'impressione di aver a che fare con due sistemi che non collaborano, ma anzi rivelano un conflitto interiore: in conseguenza di certe sintonie determinate dalla psiche, infatti, l'io può ribellarsi contro il fatto stesso di avere un corpo, un sistema psicofisico al quale è subordinato, fino a distruggerlo mediante il suicidio (come sosteneva Hartmann). Come si è detto, un altro aspetto piuttosto sorprendente del problema è dato dall'esigenza sociale di estendere alla psiche il rapporto tra medico e paziente che, inizialmente, riguardava solo il corpo da guarire: mentre il corpo presenta sufficienti requisiti di oggettività da poter essere studiato e trattato con metodi, per così dire, meccanici (che non sempre hanno lo stesso successo per tutti), le esperienze della psiche sono soggettive al massimo grado. Nonostante ciò, da una parte coloro che soffrono per cause psichiche vanno alla ricerca di qualcuno che li possa aiutare ad uscire da quella sgradevole condizione, e d'altra parte vi sono scienziati, medici e persone di buona volontà che dedicano la loro attività a cercare di risolvere anche i problemi originati dalla psiche degli altri. A volte sono le stesse esigenze sociali ad imporre che certe persone vengano poste sotto tutela, anche contro la loro volontà, perché il loro comportamento può essere socialmente pericoloso in conseguenza del loro stato psichico. Tuttavia sotto il profilo socio-culturale, il problema della psicoterapia – pur essendo stato ormai riconosciuto nell'ambito della medicina – deve ancora trovare un inquadramento soddisfacente sotto l'aspetto conoscitivo.
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