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La vita e la coscienza

Il processo di sviluppo della vita sulla Terra

Uno degli aspetti più interessanti ed affascinanti di questo mondo è costituito dallo sviluppo della vita organica. Lo studio di questo processo, che rientra nell'ambito di quelle che vengono genericamente chiamate scienze naturali, presenta due aspetti: da una parte possiamo osservare direttamente tutti gli organismi oggi viventi, le loro manifestazioni e le loro interazioni, e possiamo condurre esperimenti su di essi; d'altra parte possiamo solo fare deduzioni – per quanto possibile ragionevoli e verificabili – sugli eventi accaduti in passato (che ovviamente non sono più direttamente osservabili) basandoci sulle conoscenze attuali e sulle tracce, pervenute fino ai nostri giorni, che documentano quanto accaduto in passato e ci consentono di ricostruire la storia della vita sulla Terra. Si tratta, in ogni caso, di una ricostruzione immaginativa resa possibile dalle nostre facoltà mentali sulla base di un processo di studio e di ricostruzione dei reperti fossili e delle dinamiche geologiche, integrato dalle conoscenze dirette del mondo organico così come si presenta allo stato attuale. Bisogna dunque riconoscere che questa ricostruzione immaginativa, per quanto accurata e ragionevole, è affidabile solo in una certa misura, dato che si fonda su dati parziali e soggetti a varie ipotesi interpretative: se per alcuni periodi possiamo essere abbastanza certi della validità delle nostre ricostruzioni, per altri periodi la documentazione di cui disponiamo è molto carente, e future scoperte potrebbero modificare alcune delle attuali interpretazioni.

Detto questo, il processo di evoluzione degli organismi viventi nel corso delle ere geologiche al quale farò riferimento è quello attualmente più accreditato dalla comunità scientifica: in base a tale ricostruzione, fino a circa 1,8 miliardi di anni fa gli organismi viventi erano singole cellule procariote, diffuse prevalentemente in ambiente acquatico, ma in parte anche su terre emerse. A partire da circa 3 miliardi di anni fa la capacità di fotosintesi clorofilliana fece la sua comparsa in un gruppo di batteri, i cianobatteri, ed ebbe così inizio il processo di rilascio di ossigeno molecolare nelle acque, e successivamente nell'atmosfera, come prodotto di output della fotosintesi che utilizza l'anidride carbonica e l'acqua come sostanze di input. Successivamente comparvero e si diffusero anche gli organismi unicellulari eucarioti – nei quali il materiale genetico è contenuto all'interno di un nucleo – molto più grandi e più complessi dei procarioti. Si ritiene che gli eucarioti siano stati originati da aggregazioni simbiontiche di procarioti diversi, il che ne spiegherebbe le dimensioni e la complessità, pur nell'ambito di una struttura cellulare dotata di un unico corredo genetico. Le prime tracce di organismi pluricellulari risalgono a circa un miliardo di anni fa. Un aspetto particolarmente interessante della vita organica, già presente nei primi organismi, è rappresentato dall'autotrofia e dall'eterotrofia: si dicono autotrofi quegli organismi che sono in grado di sintetizzare le proprie molecole organiche a partire da sostanze inorganiche presenti nell'ambiente e da fonti energetiche esterne, come il sole o l'energia chimica liberata da processi inorganici, mentre si dicono eterotrofi quegli organismi che – non essendo autotrofi – devono necessariamente assumere composti organici prodotti da altri organismi, autotrofi o a loro volta eterotrofi. Per esempio, ed in linea di massima, le piante sono autotrofe e gli animali sono eterotrofi.

Dato che lo scopo di questo post è quello di comprendere in che modo la coscienza si è associata alla vita, osserviamo anzitutto che non è difficile immaginare un mondo di organismi viventi privi di coscienza, se riteniamo che la coscienza dipenda comunque dalla presenza di un sistema nervoso sufficientemente evoluto. Come ho rilevato altre volte, la funzione della coscienza richiede la presenza di un soggetto cosciente, quello che nel caso degli umani abbiamo individuato come l'io associato ad ogni singolo organismo. Ma per oltre un miliardo di anni il fenomeno della vita sul nostro pianeta ha avuto per interpreti una straordinaria quantità di organismi unicellulari che noi immaginiamo come privi di coscienza. D'altra parte, potremmo senz'altro concepire un mondo nel quale l'evoluzione della vita sia limitata al solo regno vegetale, con piante di ogni genere – simili o diverse da quelle che attualmente vivono sulla Terra – ma senza animali: sebbene ogni albero ed ogni altra pianta siano organismi individuali, noi non attribuiamo loro una coscienza proprio perché mancano di un sistema nervoso analogo a quello degli animali superiori, ai quali invece qualche forma di coscienza viene sempre attribuita. Se noi umani ci facciamo qualche scrupolo nell'uccidere un animale per nutrirci delle sue carni, è perché gli attribuiamo una coscienza più o meno simile alla nostra, ma di solito non pensiamo che estirpare una pianta per mangiarla sia un atto che provoca una sofferenza in un soggetto cosciente. Questo perché le piante mancano di un sistema nervoso, dunque per attribuire loro una forma di coscienza si dovrebbe anzitutto ipotizzare che la coscienza non debba essere necessariamente associata alla presenza di un sistema nervoso dotato di un cervello come quello che si è evoluto negli animali.

Com'è ovvio, dobbiamo ancora una volta riscontrare come la nostra capacità di comprendere un fenomeno così complesso come la vita sia limitata dalle nostre facoltà mentali, che si fondano essenzialmente sulle risorse sensoriali ed intellettive di cui l'umanità dispone, e sugli strumenti da noi ideati e realizzati per acquisire dati ed informazioni sul mondo in cui viviamo: in parole povere, noi sappiamo quello che ci è dato di sapere in quel particolare tempo dell'evoluzione umana in cui il destino ci fa vivere. Possiamo anche intuire ed immaginare qualcosa di più e di diverso rispetto a ciò che conosciamo, ma l'intuizione e l'immaginazione da sole – quando non sono in contrasto con ciò che è ragionevolmente vero – non si traducono automaticamente in conoscenza, dato che non offrono all'essere umano un'effettiva capacità di controllo su quanto accade in questo mondo. Dunque, nel ricostruire l'evoluzione della vita sulla Terra, noi possiamo solo riscontrare che le cose sono andate in un certo modo, anche se avrebbero potuto prendere una piega diversa: molte specie hanno avuto periodi di intenso sviluppo e poi si sono estinte, altre si sono stabilizzate molto tempo fa e sono riuscite a propagarsi fino ai nostri giorni, nonostante le catastrofi ambientali che di quando in quando hanno modificato drasticamente l'ambiente terrestre. L'evoluzione di questo quadro corale – che può essere visto come un film formato da tanti fotogrammi che si succedono nel tempo – mostra, fin dall'inizio, la formazione di molti ambienti interni racchiusi dentro una barriera di protezione e di separazione, ma anche di interscambio, rispetto all'ambiente esterno. La caratteristica principale di questi sistemi protetti è che al loro interno è presente un livello di informazione più elevato rispetto a quello dell'ambiente esterno: se dovessimo esprimerci con gli attuali termini elaborati dall'informatica, potremmo dire che ognuno di questi sistemi protetti, inizialmente di dimensioni microscopiche, si comporta come un computer in grado di eseguire determinati compiti sulla base delle istruzioni programmatiche in esso contenute.

Il fenomeno della vita presenta dunque due aspetti: da una parte si manifesta mediante la frammentazione in una grande quantità di sistemi individuali, ognuno dotato delle proprie istruzioni programmatiche, e dall'altra determina – proprio tramite i programmi di cui ogni singolo organismo è dotato – le interazioni degli organismi con l'ambiente e tra loro. Ho già trattato alcuni aspetti di queste interazioni nella pagina sull'Universo e la Natura, alla quale rimando (in particolare al paragrafo La Natura nel nostro mondo). Ognuno dei sistemi computerizzati protetti, che consideriamo ancora nella fase di organismi unicellulari, ha bisogno – per poter funzionare correttamente – di determinate condizioni ambientali e di energia, che alcuni organismi (autotrofi) prelevano direttamente da fonti primarie come il sole o la Terra (sorgenti termochimiche), mentre altri (eterotrofi) ricavano dall'assimilazione e dalla decomposizione chimica al loro interno di materiale organico prodotto da altri organismi. Ognuna di queste modalità di funzionamento richiede che adeguati programmi siano operativi all'interno dell'organismo: in mancanza di alimentazione per un periodo di tempo più o meno lungo alcuni organismi smettono definitivamente di funzionare (e dunque di vivere), mentre altri (i batteri che si trasformano in spore) possono modificare la loro struttura entrando in uno stato di quiescenza che può protrarsi per diversi anni, in attesa di riprendere a funzionare in condizioni adatte. Per le capacità conoscitive di cui dispone la nostra mente, già l'interpretazione di questo quadro complessivo del funzionamento degli organismi unicellulari – che per oltre due miliardi di anni rappresentò ogni aspetto della vita sul nostro pianeta – costituisce una sfida enorme, anche perché in un tempo così lungo possono essere accaduti molti eventi di cui non è rimasta traccia.

Lo sviluppo di un centro di controllo operativo

Non abbiamo alcuna conoscenza certa sulla fase in cui le prime forme di coscienza comparvero negli organismi pluricellulari. Non possiamo ottenere informazioni dirette dagli animali attualmente viventi, che non sono in grado di comunicare verbalmente con noi umani: possiamo solo osservare ed interpretare i loro comportamenti e le loro manifestazioni espressive, confrontandoli con quelli di noi umani, ed alla luce delle nostre esperienze interiori dedurre che, almeno in alcuni animali, una forma di coscienza è certamente presente. L'anatomia comparata ci porta ad associare la coscienza allo sviluppo del sistema nervoso, ed in particolare di alcune aree del cervello, e di conseguenza siamo inclini a ritenere quasi certo che un delfino, uno scimpanzé o un cane possano avere una forma di coscienza, anche se non identica a quella umana. D'altra parte, anche negli umani la coscienza si sviluppa a livelli diversi, essendo collegata alla capacità di elaborazione delle facoltà intellettive e creative della mente. Per molti aspetti la coscienza resta un fenomeno misterioso: quel che possiamo dire è che non è necessariamente associata all'evoluzione degli organismi pluricellulari, dato che – come si è osservato – noi non l'attribuiamo ad organismi evoluti come gli alberi, che pure hanno avuto origine dalle stesse protocellule eucariote da cui si sono evoluti gli animali. Si potrebbe pensare che – essendo le piante ancorate al terreno – sia stata la mobilità il fattore decisivo che ha portato allo sviluppo di un centro di informazione e di controllo negli animali sufficientemente evoluti.

In mancanza di conoscenze certe ed affidabili sotto il profilo scientifico, le ipotesi che si possono avanzare sembrano soddisfare più che altro le esigenze di natura psichica che emergono nella nostra coscienza: mi sembra dunque importante evidenziare i punti critici delle ipotesi proposte per spiegare la comparsa della coscienza sulla base delle conoscenze relative all'evoluzione della vita. Come sempre, quando si tratta di cercare delle spiegazioni noi dobbiamo partire da dati di fatto, che nel caso della coscienza sono rappresentati dalle nostre esperienze interiori, e dal modo in cui deduciamo che gli altri umani abbiano esperienze più o meno simili alle nostre, e che forme meno evolute di coscienza siano presenti anche in altre specie animali. Che la coscienza non sia necessariamente associata alla presenza di un centro di controllo operativo come il cervello ce lo conferma il fatto che il funzionamento del nostro cervello è in gran parte inconscio. Che organismi multicellulari complessi possano vivere e prosperare anche senza un cervello è dimostrato dall'evoluzione delle piante. Che la coscienza non sia necessaria per svolgere attività complesse che richiedono movimento, interpretazione dei segnali ambientali e scelte compiute – con più o meno successo – per ottenere determinati risultati, possiamo intuirlo osservando insetti come le formiche o aracnidi come i ragni, organismi di dimensioni relativamente piccole dotati di un sistema nervoso che non presenta elementi sufficienti per far supporre un'elaborazione cosciente degli stimoli e dei segnali ambientali, a meno che non si voglia svincolare la coscienza dalla presenza e dal funzionamento di un cervello sufficientemente evoluto: in tal caso anche le piante potrebbero essere dotate di qualche forma di coscienza.

Un centro di controllo operativo finalizzato alla valutazione dei segnali provenienti dall'ambiente ed alla scelta di determinati comportamenti, in funzione dello sviluppo e della sopravvivenza di un organismo, o della riproduzione e della difesa della specie, può benissimo esistere – come di fatto esiste – in un organismo vivente, senza che debba essere presente una forma di coscienza, e soprattutto senza che si debba sviluppare un soggetto dotato di autocoscienza come quello presente negli esseri umani. L'enorme varietà di forme di vita presenti sul nostro pianeta, ed i relativi comportamenti, dimostrano come la complessità dell'elaborazione dell'informazione negli organismi viventi non richieda necessariamente la presenza di un soggetto cosciente interno a ciascuno di essi. Inoltre la diversità delle esperienze coscienti determinate dai destini individuali – come sono sperimentate dall'io di ogni singolo essere umano – non mostra una coerenza di obiettivi e di scelte comportamentali, né riguardo alla sopravvivenza o al benessere del singolo organismo, né in funzione del successo del gruppo di cui l'individuo fa parte. Queste dinamiche sono certamente presenti in molti esseri umani, ma possono anche mancare di efficacia, e spesso si ha l'impressione che l'attività cosciente si sovrapponga, talvolta in modo conflittuale, a quella dei centri di controllo operativo che hanno finalità biologiche molto più concrete. Se ne può concludere che lo scopo primario della coscienza sia quello di far sperimentare ad un soggetto cosciente alcune dinamiche psichiche, che nel caso di noi umani sono quelle proprie della psiche umana.

Affinché la coscienza funzioni è necessaria la presenza di un soggetto cosciente, un soggetto cioè che sia in grado di sperimentare e di elaborare le informazioni sensoriali, le reazioni emotive, le intenzioni comportamentali, le variazioni di umore, ed ogni altro genere di esperienza che l'attività mentale determinata dal funzionamento del sistema nervoso fa pervenire alla coscienza. Il soggetto cosciente, quale noi lo sperimentiamo e lo conosciamo in questo mondo, è legato all'individualità del singolo organismo: dal punto di vista dell'io cosciente di noi umani si tratta dunque di un'esperienza estremamente frammentata e difficile da interpretare, proprio perché – a causa della sua frammentazione – è determinata dal destino biologico dell'organismo, che può essere molto diverso da un individuo all'altro. Quello che possiamo intuire, in base alle nostre conoscenze, è che ad un certo punto dell'evoluzione forme di coscienza rudimentali hanno fatto la loro comparsa in alcune specie animali: non sappiamo perché questo sia accaduto, ma di fatto è accaduto. Da quel periodo in poi, il quadro dell'evoluzione della vita, che fino a quel momento presentava una sua elegante ed asettica complessità funzionale computerizzata – se così si può dire – acquistò un nuovo protagonista, perché il soggetto cosciente cominciò a sperimentare direttamente gli effetti determinati dalla frammentazione del sistema in una pluralità di organismi individuali. Questo rudimentale soggetto cosciente primitivo probabilmente si limitava a registrare alcuni eventi interiori e prendeva qualche decisione, ma – nello stesso tempo – cominciava a sperimentare la singolarità del proprio destino: non era la vita nel suo complesso a diventare cosciente in un singolo organismo, ma solo quegli aspetti parziali della vita in cui il soggetto cosciente era coinvolto, senza rendersi conto – a causa dello stato ancora rudimentale della coscienza – dell'esistenza di soggetti coscienti anche negli altri organismi.

Col tempo anche il soggetto cosciente andò incontro ad un processo di evoluzione, trasformandosi da centro di controllo di alcune funzioni biologiche in sensore e valutatore di una serie di esperienze che costituivano la controparte mentale, o psichica, degli eventi in cui l'organismo era coinvolto. Poiché la coscienza, come noi umani la conosciamo, è un fenomeno intrinsecamente legato alla condizione umana ed alla nostra capacità non solo di percepire e di sentire, ma anche di comunicare, di esprimerci e di pensare mediante un linguaggio, io non sono in grado di valutare correttamente il livello di coscienza presente in altri organismi animali. Osservando il comportamento e l'espressione di animali appartenenti a specie diverse, noi possiamo intuire ed immaginare la presenza di forme di coscienza più o meno evoluta, che tuttavia non riescono a tradursi in un linguaggio condiviso. Daltra parte, anche osservando il comportamento e le espressioni dei bambini nel secondo anno di vita possiamo avere l'impressione che in essi si manifestino forme di coscienza, mentre sappiamo che si tratta di reazioni del tutto inconsce, dato che i primi barlumi di coscienza si presentano di norma nel terzo anno di età. La presenza di un soggetto cosciente sufficientemente sviluppato associato ad un organismo vivente fa sì che gli eventi della vita di quell'organismo, determinati dal destino e dalle risorse di cui esso dispone nel confrontarsi con le condizioni ambientali, si trasformino in esperienze – valutate come positive o negative – sopportate, elaborate, godute o sofferte e, in una parola, vissute, da parte del soggetto cosciente. Il quadro naturale della vita che, come abbiamo già osservato, potrebbe benissimo esistere in assenza di coscienza – come di fatto è esistito per tre miliardi di anni – si arricchisce di un nuovo elemento, la cui origine resta un mistero, che evolvendosi rapidamente all'interno di una particolare specie, ha determinato enormi cambiamenti in un periodo di tempo irrisorio se confrontato con la durata delle ere geologiche.

I diversi livelli dell'esperienza cosciente

Dato che possiamo solo ipotizzare, ma non conoscere con certezza, i livelli di coscienza presenti nel mondo animale, prendiamo in esame alcune delle esperienze coscienti nelle quali l'io di noi umani può essere coinvolto nel corso della vita, per comprendere meglio in cosa consista la funzione della coscienza, e come essa si possa evolvere. Ci renderemo anche conto di come certi livelli di coscienza possano essere attribuiti anche ad altri animali, mentre altri livelli si manifestano solamente negli esseri umani. Inoltre, lo sviluppo della coscienza non è lo stesso per tutti gli umani, ognuno dei quali può raggiungere, nel corso della sua vita, un certo livello, senza riuscire ad andare oltre. È importante tener presente che, in questo quadro interpretativo, la funzione della coscienza è quella di mettere in contatto l'io cosciente con determinati elementi psichici, affinché ne faccia esperienza: nelle prime fasi di questo processo l'io cosciente è l'elemento sensibile che sperimenta, senza essere in grado di valutare, e di conseguenza di prevedere, anche se può almeno in parte dirigere il proprio comportamento in base a forme rudimentali di desiderio istintivo. L'io del bambino piccolo, ma già cosciente, sperimenta, anche intensamente, forme emotive che lo coinvolgono, piacevoli ed attraenti oppure sgradevoli e da evitare: in questo già si manifesta la polarità primordiale della psiche, di cui ovviamente il bambino non è cosciente. Ogni bambino poi, interagendo con quel particolare ambiente che il destino gli ha riservato – che comprende anche gli adulti che lo stanno allevando – sperimenta le reazioni dell'ambiente ai comportamenti del suo organismo: per essere più esatti, l'io del bambino sperimenta le proprie reazioni psichiche agli eventi ambientali che lo coinvolgono, compresi quelli che vengono attivati da certi suoi comportamenti.

Fin da questa prima fase si osserva la complessità degli elementi in gioco, che non possono essere ingenuamente ridotti a semplici esigenze biologiche: la coscienza non ha la funzione di proteggere l'organismo del bambino per aiutarlo a sopravvivere, anzi i comportamenti conseguenti a decisioni prese dal bambino sulla base di stimoli coscienti – che lo spingono ad esplorare l'ambiente ed a compiere determinate azioni – lo possono mettere anche in pericolo di vita, come sanno coloro che devono prendersi cura dei bambini, proteggendoli e trasmettendo loro programmi informativi e condizionanti che inibiscano i comportamenti potenzialmente dannosi per loro stessi o per gli altri. Per la protezione dell'organismo del bambino in caso di pericolo, le reazioni istintive ed inconsce sono spesso più efficaci del funzionamento cosciente. La coscienza ha la funzione di far sperimentare al bambino le dinamiche psichiche determinate dalla percezione sensoriale e dall'interazione con l'ambiente e con le altre persone, soprattutto con quelle con cui ha una relazione intensa e continuata nel tempo. Le dinamiche psichiche a cui sono soggette le persone con le quali il bambino interagisce – soprattutto le figure adulte di riferimento come i genitori – influenzano per induzione anche le dinamiche psichiche sperimentate dal bambino, il quale ovviamente si identifica completamente con esse, tanto più se la sua coscienza è sensibile nel ricevere queste impressioni. La coscienza del bambino può anche dover sperimentare gli effetti psichici sia di un ambiente poco favorevole, se non addirittura ostile, nei confronti della sopravvivenza e della crescita del suo organismo, sia delle interazioni con adulti più o meno minacciosi, prevaricatori e violenti. Quest'ultima condizione è la più sfavorevole per lo sviluppo dell'io cosciente: infatti, se l'io del bambino può sentirsi protetto nei confronti delle difficoltà ambientali e delle conseguenti reazioni psichiche da figure adulte di riferimento, qualora queste siano benevole nei suoi confronti, esso può trovarsi del tutto privo di difese di fronte a figure ostili ed aggressive.

A queste condizioni, che anche nel mondo di oggi si presentano in tutte le loro varianti, si possono certamente aggiungere le risorse fisiche e cerebrali di cui l'organismo al quale l'io cosciente è associato dispone via via che si sviluppa, e probabilmente qualche altro fattore non fisico – che possiamo intuire o immaginare senza essere in grado di conoscerlo in modo adeguato ed affidabile – che contribuisce alla formazione di quello che noi definiamo carattere o personalità, ed alla sua evoluzione nel tempo. Come si vede, il quadro che determina il destino di un essere umano è complesso, e nella prima parte della vita l'io cosciente viene di norma completamente irretito dalle dinamiche psichiche prodotte dai vari elementi che contribuiscono a formare la singolarità della sua esperienza individuale, al punto da far coincidere la sua stessa esistenza con le sintonie psichiche con le quali si identifica. I programmi con cui la psiche umana promuove se stessa e la sua opera, presentandosi nella sua polarità positiva come protezione, aiuto e sostegno dell'io cosciente nei confronti dei pericoli e della crudeltà di una Natura del tutto insensibile al destino individuale, sono espedienti illusori con i quali la psiche tenta di mascherare il proprio intrinseco bipolarismo. Se la psiche umana fosse davvero diversa dalla Natura, porterebbe gli umani a collaborare in concordia ed armonia per superare le difficoltà ed i disagi che l'io cosciente deve sopportare a causa del funzionamento del suo organismo, e che si manifestano comunque sotto forma di esperienze mentali. Ma la storia umana ci mostra continuamente che ogni sorta di sofferenze, di sopraffazioni, di violenze e di torture sono state (e sono anche ai nostri giorni) inflitte da esseri umani ad altri esseri umani, dietro istigazione delle dinamiche bipolari con cui la psiche umana riesce ad asservire l'io cosciente.

Via via che l'io cosciente procede nel percorso della vita che il destino gli ha riservato, acquista un bagaglio di programmi culturali, di informazioni, di conoscenze, e soprattutto di esperienze psichiche, che plasmano profondamente la sua stessa essenza: è molto importante evitare di generalizzare e di standardizzare il modo in cui l'io cosciente sperimenta la propria vita, soprattutto in quest'epoca in cui modelli di comportamento, di interazione e di reazione vengono continuamente elaborati e proposti dalla propaganda mediatica. Le esperienze psichiche che la vita riserva all'io cosciente possono essere molto diverse da una persona all'altra, ed ognuno di noi non dovrebbe mai dimenticare che ciò che la sua coscienza sperimenta direttamente, per quanto importante possa essere per il suo io, non rappresenta altro che una gamma molto ridotta delle sintonie che la psiche umana può trasmettere. Questa fase di acquisizione di esperienze, che si protrae per alcuni decenni – a meno che la vita non si interrompa prematuramente – è importante, pur se non determinante, per l'evoluzione dell'io cosciente: infatti, anche se di norma l'io continua ad identificarsi completamente con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono, il processo che lo porta ad essere il soggetto sensibile – più o meno dotato di risorse come l'intelligenza e la volontà – dell'esperienza cosciente, può indurlo a valutare i diversi aspetti della vita ed a porsi delle domande, alle quali cerca di trovare delle risposte, in merito al valore ed al significato della stessa. Questo processo è stimolato in particolare dagli aspetti negativi e dolorosi della psiche, di cui l'io può fare esperienza diretta, quando certi eventi colpiscono il suo organismo, oppure indiretta, quando si immedesima empaticamente con le sofferenze che colpiscono l'io cosciente di altri esseri umani da lui conosciuti, o con quelle causate dalle tante disgrazie che hanno segnato il passato dell'umanità, e colpiscono ancor oggi larghe fasce della popolazione umana.

Nelle società complesse come quella in cui viviamo, ogni essere umano – per il solo fatto di venire al mondo – viene vagliato da un processo collettivo, le cui finalità non ci è dato di conoscere, allo stesso modo in cui la Natura determina il destino di ogni singolo organismo che ricade sotto il suo dominio, decretando in ogni caso la dissoluzione di ognuno di essi al termine della vita. Ma se il quadro offerto dalla Natura può essere interpretato nel suo complesso – in assenza di una coscienza individuale evoluta – come un affascinante sistema informatico e creativo, nel caso degli esseri umani la presenza di un io cosciente, in grado di affrontare un processo di sviluppo e di evoluzione associato alla vita del proprio organismo, introduce un elemento completamente nuovo in questo quadro naturale. In una prima fase l'io cosciente si fida dei programmi interpretativi elaborati e trasmessi dalla psiche umana, senza nemmeno interrogarsi sull'origine degli stessi, data la sua completa identificazione con la psiche. Per una persona che viene allevata in una società come la nostra, la psiche presenta due aspetti: da una parte si manifesta nella forma dei programmi trasmessi culturalmente, che riguardano l'uno o l'altro aspetto della vita e dei suoi scopi, dall'altra si manifesta come elaborazione interiore, ragionata, intuita e comunque percepita, i cui effetti coinvolgono più o meno intensamente l'io cosciente. Fintanto che l'io si identifica con l'uno o con l'altro aspetto di questo processo – cosa che quasi sempre si protrae per tutta la durata della vita – non può fare a meno di dare il proprio temporaneo contributo all'evoluzione del processo psichico, rimettendosi alle finalità del medesimo, che restano per lui occulte. È solo nel momento in cui l'io cosciente si interroga sulla propria essenza, domandandosi «Chi, o cosa, sono veramente io?», che inizia a differenziarsi dalle dinamiche psichiche che lo coinvolgono.

L'importanza ed il valore di questa domanda non stanno nella possibilità di trovare una risposta, che in termini linguistici – con tutte le limitazioni che questi presentano – può essere espressa semplicemente dalle due parole «Io esisto», ma nel riconoscimento dell'affinità dell'io cosciente con un'entità che si trova al di là del dominio della psiche umana, un'entità alla quale noi umani possiamo dare – per convenienza comunicativa – il nome di Spirito, sempre ricordandoci tutti i limiti del linguaggio. Il fatto di sentire il richiamo dello spirito non è di per sé sufficiente a liberare l'io cosciente dalla condizione umana: fintanto che vive questa vita, l'io continua a sperimentare i diversi aspetti della psiche, ma con un grado di coinvolgimento sempre più attenuato, e, soprattutto, senza identificarsi con essi. In questa nuova dimensione mentale di sereno distacco l'io cosciente, pur riconoscendo il potere della psiche umana – di fronte al quale, ovviamente, si trova nella ridicola condizione di un piccolo organismo pensante e senziente, temporaneamente inserito nell'ambito di un processo la cui importanza e le cui finalità vanno ben al di là delle sue capacità di comprensione – sviluppa comunque la coscienza di una propria autonomia nei confronti di quello stesso processo da cui ha avuto origine, e del particolare destino a cui deve andare incontro il suo organismo. Questa più profonda forma di autocoscienza liberatrice non si può tuttavia tradurre in un giudizio sulla psiche umana, dato che questo giudizio verrebbe pur sempre espresso in termini psichici: la psiche umana, nella sua essenza, resta insondabile per l'io, al pari della Natura, alla quale la psiche stessa è legata più intimamente di quanto di solito non si creda, per il solo fatto che l'esistenza umana si basa anche sulla vita organica del nostro corpo. Il carattere bipolare dell'energia psichica può in ogni caso essere riconosciuto dall'io cosciente nella sua evidenza sperimentale, in quanto da esso dipende il modo stesso in cui l'io fa esperienza diretta dei diversi aspetti della psiche.

Il carattere bipolare della psiche

Si può dire, in modo semplificato ma efficace, che la psiche umana si manifesta mediante l'esperienza che ne fa ciascun io cosciente, e che tale esperienza è prevalentemente caratterizzata dalla tensione tra un polo negativo ed un polo positivo, a causa della quale il comportamento degli umani viene orientato e determinato. L'elevato numero degli organismi umani che vivono contemporaneamente, le diverse risorse di cui ogni organismo dispone, e la complessità delle interazioni umane, rendono questo quadro quanto mai variegato e dinamico, ma in linea di massima l'energia che lo fa funzionare trae origine dalla tensione tra una polarità di sofferenza e di dolore da evitare ed una polarità di piacere e di felicità da perseguire. Si può osservare come questa polarità sia già presente nel mondo animale, anche se possiamo solo intuire in che modo venga coscientemente sperimentata. Possiamo tuttavia notare che nel mondo naturale ciò che viene sperimentato come positivo da un organismo comporta un'esperienza negativa per un altro: esempi banali sono offerti dal predatore e dalla preda, o dalle competizioni tra i maschi per accoppiarsi con le femmine. La tensione bipolare naturale dunque non produce esperienze collettive omogenee, ma esperienze individuali che possono essere in conflitto tra loro. Ovviamente, dinamiche di questo genere si ripresentano continuamente, in forme diverse e più o meno elaborate, anche nelle interazioni tra gli esseri umani, tanto a livello individuale quanto a livello di gruppi sociali e di nazioni.

La storia dell'umanità è piena di guerre e di conflitti, e la competizione – in campo tanto economico quanto politico – è ancor oggi considerata come il motore del progresso umano. Il fatto che la polarità positiva della psiche – quella che possiamo considerare orientata, per così dire, verso il bene e la bontà – cerchi di interpretare la storia dell'umanità come un processo di transizione da un passato (o da un presente) segnato da una prevalenza del male ad un futuro più o meno radioso in cui il bene finalmente trionferà una volta per tutte, non elimina il carattere bipolare della psiche, ma anzi lo mette in particolare risalto, perché il bene non si presenta come condizione naturale e normale dell'umanità, ma come antagonista del male: analogamente, l'esistenza del male non implica la non esistenza del bene. La bipolarità della psiche si manifesta con particolare chiarezza nell'espressione «combattere il male», mediante la quale il bene, nel contrapporsi al male, dichiara di dover ricorrere agli stessi metodi utilizzati dal male per non dover soccombere ad esso: se così non fosse, il bene potrebbe tranquillamente sottrarsi al male per virtù propria. Un'altra caratteristica del polo positivo della psiche umana è quella di denunciare la crudeltà, l'insensibilità e l'incoscienza della Natura come origine e causa del male, proprio perché in natura vige la norma per cui ciò che è positivo per un organismo può essere negativo per un altro: nel sistema naturale, tuttavia, la sensibilità e la coscienza non sono così sviluppate come nel mondo umano, laddove il male può sfruttare in modo molto efficiente l'intelligenza e la volontà degli umani per innescare conflitti e per determinare forme di dominio, di violenza e di sterminio, di fronte alle quali anche la crudeltà della Natura può apparire come ingenua e dilettantesca.

Ciò che si può sperare e che ci si può ragionevolmente attendere dalla futura evoluzione delle società umane – e dell'umanità nel suo complesso – è una riduzione della tensione tra i due poli della psiche. I problemi della vita continueranno a presentarsi, in una forma o nell'altra, per masse umane numericamente sempre più consistenti, e di conseguenza può accadere che la soluzione stessa di un problema dia origine ad un nuovo problema, anche più arduo da affrontare: possiamo già adesso constatare come l'incremento della popolazione mondiale, dovuto anche ai progressi ed alla diffusione della medicina, comporti esigenze alimentari ed organizzative su larga scala, che cominciano a minacciare lo stesso equilibrio biologico ed ambientale del nostro pianeta, anche senza mettere in conto le catastrofi naturali che di quando in quando possono verificarsi. Sembra comunque che sia in atto, in questa nostra epoca, un processo di maggior apertura e di maggiore collaborazione tra le nazioni umane rispetto al passato – reso possibile anche dai mezzi di comunicazione e di informazione istantanea di cui disponiamo – anche se di quando in quando riprende forza l'impulso a trarre vantaggio dalle debolezze o dai problemi degli altri, mediante forme di aggressione e di dominio. Inoltre una parte della tensione psichica che in passato veniva diretta contro un nemico esterno ad un certo gruppo sociale, si può manifestare adesso con un incremento della conflittualità interna tra i membri o i raggruppamenti di una stessa società. Dunque un certo grado di riduzione della tensione tra i due poli della psiche umana può essere considerato come una speranza ragionevole e non infondata per il futuro dell'umanità, mentre l'annullamento della bipolarità richiederebbe un mutamento radicale della natura stessa della psiche, che riteniamo del tutto utopico.

Nello sperimentare la bipolarità della psiche e la tensione che ne risulta, l'io cosciente è comunque obbligato – per il fatto stesso di vivere – a fare delle scelte, che l'evoluzione della coscienza tende ad orientare verso il polo positivo, quello che comunemente viene considerato come il Bene, predisponendo così molte persone ad un comportamento virtuoso. Questa tendenza etica, che era già stata ben compresa 25 secoli fa, non è tuttavia in grado di eliminare il male dalla vita umana, dato che anche il polo negativo esercita il suo potere di attrazione su un gran numero di persone, come la storia recente e molti eventi attuali dimostrano. Molti pensatori si sono impegnati, in ogni epoca, per comprendere l'origine e lo scopo della bipolarità della psiche, escogitando ogni genere di risposte (suggerite dalla stessa psiche): c'è chi ritiene che la vita umana consista in una sorta di processo di lavaggio di panni sporchi che diventano via via più puliti, chi crede che serva per espiare una non meglio definita colpa o disubbidienza commessa (non si sa bene da chi) nei confronti di un potere superiore, e chi considera la vita attuale di un organismo umano come parte di un ciclo di vite mediante il quale un'entità di natura spirituale passa da una condizione indifferenziata e confusa ad uno stato di coscienza luminosa e di evoluzione superiore. Come si può notare, le nostre risorse intellettive non ci danno nessuna conoscenza certa ed affidabile su quanto potrà accadere una volta che questa nostra vita si sia conclusa (o anche su ciò che può essere accaduto prima che essa iniziasse), tuttavia le stesse dinamiche psichiche tramite le quali la vita viene sperimentata da ogni umano ci inducono ad interrogarci sul suo significato e ad orientarci tra i due poli della psiche.

Nello stesso tempo, via via che la vita dell'organismo procede ed il suo termine naturale diventa meno remoto, l'io cosciente comincia a chiedersi cosa ne sarà della sua esistenza una volta che l'esperienza umana si sia conclusa: di norma le risposte a questa domanda provengono dalla psiche stessa, e risultano tanto più convincenti per l'io quanto più esso si identifica con le proprie sintonie psichiche. Si tratta comunque di un'istanza che riguarda la vita stessa, e che può essere rimossa continuando a vivere come se questa vita non avesse mai termine, e comunque procrastinando quanto più possibile la morte: la nostra cultura tende a promuovere ed a diffondere questo atteggiamento, cosa che ci dovrebbe indurre quanto meno a dubitare del suo effettivo valore e del suo fondamento. Resta il fatto che la tendenza a prolungare la vita – più accentuata nelle persone anziane che non nei giovani, dato che questi ultimi sono più inclini al rischio ed alla sfida – non può evitare né il naturale declino delle facoltà dell'organismo, né le sofferenze a cui spesso gli umani sono soggetti nel periodo che precede la morte, tanto che alcuni di essi arrivano a preferire la morte alla vita nelle condizioni in cui si trovano, ed a chiedere che venga loro concesso di morire serenamente. Gli attuali progressi della medicina hanno contribuito a prolungare la durata della vita, ma non sono in grado di assicurare una soddisfacente qualità della stessa dopo gli 85÷90 anni. Dunque, per coloro che non intendono rimuovere la questione del destino dell'io cosciente dopo la morte – rifiutando così di adeguarsi alle istanze culturali dominanti nella nostra società attuale – un'adeguata preparazione alla morte richiede anche qualche previsione in merito alla possibile transizione dal tempo unidirezionale che caratterizza la vita umana ad una diversa dimensione, nella quale il tempo potrebbe non avere gli stessi requisiti a cui ci siamo assuefatti. Vedremo nel prossimo post quali possone essere i diversi orientamenti dell'io cosciente, ma ora vorrei concludere questa pagina con una considerazione sul significato e sul limite di un'esistenza temporanea.

Un'esistenza localizzata nel tempo – come quella sperimentata dall'io cosciente nel corso della vita umana, con tutte le trasformazioni che ne conseguono – sarebbe una bizzarria priva di senso, sempre dal punto di vista dell'io cosciente, se la morte segnasse l'annullamento dell'io, come se non fosse mai esistito. Come abbiamo visto, l'impronta più o meno significativa lasciata da una persona nella storia dell'umanità (una storia che certamente continua dopo la morte di ognuno di noi) e le memorie che di quella persona rimangono in coloro che ancora vivono – le quali, nel caso di personaggi di particolare rilievo, vengono trasmesse di generazione in generazione – sono fatti molto interessanti, ma dal punto di vista dell'io coscente l'annientamento definitivo conseguente alla morte equivarrebbe alla non esistenza. Ovviamente, non essendovi più un io cosciente, non vi sarebbe nemmeno alcuna autopercezione di questo stato di non esistenza, e perciò il problema non si pone, ma lo stesso si può dire anche per chi non è mai esistito: dunque l'estinzione dell'io cosciente al termine della vita equivale a tutti gli effetti alla sua non esistenza, e l'accettazione acquiescente di questa condizione da parte di molti umani costituisce un'ulteriore prova della facilità con la quale le persone si adeguano e si sottomettono al ruolo di automa umano imposto dalla psiche della nostra epoca. Molto più comprensibile, ragionevole e matura è la posizione dell'io cosciente che riconosce di non sapere a quali esperienze andrà incontro una volta varcata la soglia della morte, così come, nel periodo in cui la sua coscienza si risvegliava nelle prime percezioni di questa vita, nulla sapeva di questo mondo e delle esperienze che il destino gli avrebbe riservato: in questo consiste infatti il mistero stesso dell'esistenza cosciente, una continua percezione delle sintonie di una Mente infinita che diventa cosciente via via che viene sperimentata da qualche forma di coscienza.


 

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