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Il mistero della vita umana Il desiderio mentale di sapere Molti degli argomenti affrontati in questo sito – e, in una certa misura, le motivazioni che mi hanno indotto a realizzare il sito stesso – riguardano il significato della vita umana per l'io cosciente, ed in particolare la ricerca di indizi sulle possibili future esperienze dell'io una volta che la sua vita organica si sia conclusa. Naturalmente devo riconoscere l'elemento soggettivo di questa mia personale ricerca, ma nello stesso tempo ritengo che l'interesse da me sentito possa essere condiviso anche da altre persone, il cui orientamento mentale sia – almeno entro certi limiti – simile al mio. Il desiderio di sapere non è sentito nella stessa misura da tutti gli esseri umani: anche se capita più o meno a tutti di porsi delle domande in merito allo scopo della propria vita ed alle cause che determinano il destino personale, molti si accontentano delle risposte preconfezionate fornite da questo o da quel programma culturale, mentre altri ritengono che la vita vada affrontata pragmaticamente, sulla base delle esigenze organiche e sociali che via via si presentano, senza preoccuparsi più di tanto di questioni per le quali non possiamo trovare risposte soddisfacenti. Per altri, infine, la vita umana si traduce in un'esperienza così penosa, disperata ed avvilente, da risultare insopportabile per l'io cosciente, al punto da preferire di morire, e da tentare di interromperla volontariamente e consapevolmente. Possiamo senz'altro affermare che nessun essere umano ha creato le condizioni ambientali naturali di questo pianeta, e nello stesso tempo ognuno di noi contribuisce a determinare, in misura maggiore o minore, le trasformazioni dell'ambiente fisico e sociale in cui la vita umana si svolge. Abbiamo visto come l'io cosciente di ogni essere umano si confronta con le dinamiche psichiche più o meno conflittuali che lo coinvolgono – utilizzando le risorse mentali di cui dispone – nel tentativo di modificare a proprio vantaggio, o a vantaggio di altri esseri umani con i quali si sente solidale, le circostanze della vita che determinano tali dinamiche psichiche. Come si può notare, si tratta di un sistema di forze molto complesso, nel quale l'io cosciente ha quasi sempre un ruolo subordinato (per non dire irrilevante), e che nelle dinamiche che lo contraddistinguono comporta competizioni e talvolta conflitti, individuali e di gruppo, che determinano vincitori e perdenti. Mentre in passato queste dinamiche venivano di norma attribuite – su suggerimento della psiche – all'influenza di entità superiori, identificate come divine, alle quali veniva collettivamente riconosciuto il potere di determinare e di influenzare il destino di ogni essere umano, circa tre secoli fa l'orientamento prevalente della psiche umana ha iniziato un processo di trasformazione piuttosto rapido, che ha portato una buona parte dell'umanità a favorire e ad intensificare il processo della conoscenza, anche – o forse soprattutto – allo scopo di acquisire un maggior controllo umano sulle dinamiche che determinano il destino di miliardi di persone viventi, nel tentativo di svincolare gli umani dalla sottomissione impotente al destino ed alle forze misteriose che – consapevolmente o meno – lo governano. Si deve tener ben presente che questo desiderio di sapere – e dunque di avere una maggiore capacità di controllo – è pur sempre di origine mentale (e pertanto stimolato dalla psiche umana), e si ricollega ad uno stato di fondamentale insoddisfazione che l'io cosciente sperimenta proprio come conseguenza della vita organica da cui ha avuto origine e nella quale si sente coinvolto, e non di rado prigioniero. Il desiderio di conoscere, e l'acquisizione della conoscenza, implicano che vi sia una realtà sconosciuta che può essere mentalmente conosciuta, almeno entro certi limiti, e che i dati e le informazioni acquisiti mediante questo processo di indagine mentale possano essere comunicati da una mente all'altra, mediante gli strumenti di cui i cervelli umani sono dotati. L'io cosciente è interessato alla conoscenza proprio perché si trova immerso in una realtà che in gran parte sfugge al suo controllo intenzionale, e sente il bisogno (psichico) di incrementare le proprie capacità di controllo. Tuttavia questo processo non avviene, di norma, mediante un'elaborazione consapevole e ragionata, da parte dell'io cosciente, delle dinamiche che stanno alla base della sua condizione esistenziale, ma piuttosto sulla base di uno stimolo di natura psichica che attiva – in alcuni individui più che in altri – il desiderio di conoscere, e ancora più spesso per effetto dei programmi culturali che vengono trasmessi nelle interazioni tra i cervelli di un sistema sociale e che hanno l'effetto di influenzare e di condizionare, già in età giovanile, le scelte dell'io cosciente. Si tratta dunque di un processo di origine psichica determinato dalla condizione umana, nel quale l'io cosciente viene coinvolto prima ancora di disporre delle risorse per sviluppare una forma di auto-conoscenza e di distacco nei confronti delle proprie esperienze psichiche. L'origine psichica del processo conoscitivo, e dello sviluppo tecnologico che ne consegue, è confermata anche dalla bipolarità degli effetti delle scoperte scientifiche, che comportano sia un incremento del benessere umano – in termini di soddisfazione dei bisogni dell'organismo e dei desideri stimolati dalla psiche umana e dai programmi culturali dalla stessa incentivati – sia un perfezionamento dell'efficienza delle armi di distruzione di massa (e dunque di competizione conflittuale) e degli strumenti di trasformazione ambientale. Le direttive psichiche della conoscenza, come oggi viene prevalentemente interpretata e più o meno consapevolmente istituzionalizzata, la orientano verso il mondo fisico ed organico, mentre i dati e le informazioni relativi alla dimensione dello Spirito – di cui pur disponiamo, come si può dedurre dai fatti presentati nelle pagine di questo sito – sono stati a lungo trascurati, quando non addirittura negati, dalla scienza ufficiale. Lo stesso studio della psiche è andato incontro ad un'inevitabile disgregazione tra le ricerche organiche sul funzionamento del cervello, da una parte, e le varie osservazioni a carattere empirico-interpretativo (e dunque prevalentemente soggettivo) su cui si fondano le varie correnti psicologiche che tuttora prosperano, influenzando la nostra cultura, senza che nessuno dei problemi determinati dalla bipolarità conflittuale della psiche possa dirsi davvero risolto. È ovvio che se noi disponessimo di un'autentica conoscenza ogni aspetto della vita ci sarebbe immediatamente ed indubitabilmente svelato con cristallina chiarezza, mentre proprio la nostra condizione umana implica un'ignoranza di fondo, alla quale cerchiamo faticosamente e laboriosamente di porre rimedio mediante le limitate risorse della nostra mente, sotto l'inevitabile guida di alcune direttive della psiche umana. Un aspetto particolarmente interessante di alcune NDE è la certezza, da parte dello sperimentatore, di aver ricevuto nella dimensione dello Spirito spiegazioni esaurienti, convincenti e di per sé evidenti, praticamente su ogni aspetto della vita, un corpus di conoscenze indubitabili che tuttavia vengono immancabilmente dimenticate nella fase di rientro nella vita organica. L'attività conoscitiva umana, interpretata secondo il polo positivo della psiche (quello che viene comunemente percepito come il bene), dovrebbe perseguire i seguenti obiettivi: 1) un maggior controllo sulle condizioni ambientali in cui viviamo in quanto organismi, e sulle cause che determinano il buon funzionamento del nostro organismo; 2) una migliore qualità della vita, sotto il profilo generale della felicità umana; 3) una riduzione delle differenze anche estreme che caratterizzano i destini individuali degli esseri umani. Se questa interpretazione viene estesa a tutta l'umanità nel suo complesso, è evidente che dovranno ancora trascorrere molti secoli prima che questi obiettivi possano essere conseguiti, almeno in parte, sempre ammesso che sia possibile conseguirli: infatti la stessa complessità dell'organizzazione umana, determinata dalle stesse conoscenze acquisite e dai progressi tecnologici che ne derivano, comporta nuove difficoltà e nuovi problemi che sostituiscono quelli appena risolti. Ma poiché l'umanità è ancora frazionata in organizzazioni nazionali più o meno interconnesse, ciascuna autonoma e sovrana nel proprio ordinamento – e dunque nel proprio modo di funzionare – osserviamo notevoli differenze tra le condizioni di vita presenti nell'uno o nell'altro stato, anche in relazione ai programmi culturali che vi prevalgono, per cui il destino individuale è ancora in gran parte determinato dal luogo in cui un essere umano viene al mondo. Come spesso accade per le motivazioni presentate dalla psiche umana, resta il sospetto che la nostra attività conoscitiva sia dovuta ad un'esigenza essenzialmente psichica, rivestita di motivazioni socialmente convincenti, affinché l'io cosciente ne possa essere pienamente coinvolto. Ovviamente, a seconda dei diversi luoghi e dei programmi culturali ivi dominanti, questa nuova esigenza psichica si può scontrare con altre dinamiche psichiche preesistenti, in modo spesso conflittuale. La storia dell'umanità ci ricorda che intere popolazioni sono state distrutte o costrette con la forza a modificare la propria cultura, quasi sempre con la giustificazione di un glorioso progresso ed in nome dei vantaggi offerti da un'organizzazione sociale considerata come più evoluta, anche quando questi presunti vantaggi non erano né desiderati né richiesti dai membri della cultura sottomessa: il carattere bipolare della psiche umana si manifesta sempre mediante l'ipocrisia di ammantare di buone intenzioni e di futuri vantaggi ogni intervento sostanzialmente coercitivo, e non di rado esplicitamente violento. Di fatto, gli indubbi vantaggi che le attuali conoscenze scientifiche offrono all'umanità sono pur sempre relativi, nel senso che sono tali se confrontati con le condizioni di miseria, di sofferenza e di schiavitù che affliggevano in passato (ed in parte continuano ad affliggere anche oggi) larghe fasce della popolazione umana in diversi ambiti geografici. Ma anche per la maggior parte di coloro che vivono nelle nazioni scientificamente progredite e tecnologicamente più sviluppate, la vita attualmente resta un'avventura complessa, rischiosa e spesso faticosa e stressante, in merito al significato ed allo scopo della quale la scienza ufficiale non è in grado di offrire alcuna conoscenza affidabile, se non quella di considerare la nostra coscienza come il prodotto del processo evolutivo naturale che, per qualche ignota causa, si è verificato sul pianeta Terra (un dato di fatto incontestabile). Come tutti i processi condizionati dalla psiche umana, anche la scienza ha sviluppato una propria capacità di fascinazione quasi mitologica, assumendo – nella cultura collettiva – il ruolo che in passato aveva avuto la religione: resta dunque il dubbio che neanche la scienza – elaborata secondo i criteri e le risorse della mente umana – possa essere del tutto immune da certe forme di dogmatismo che hanno sempre caratterizzato le dinamiche psichiche. L'identità dell'io cosciente Nel tentativo di esprimermi con la maggiore chiarezza possibile in merito al coinvolgimento dell'io nelle proprie esperienze psichiche, ho sempre presentato la coscienza come una funzione che mette in relazione la psiche con un soggetto sperimentatore – quello che definisco io cosciente – in assenza del quale le dinamiche prodotte dal funzionamento cerebrale possono anche esercitare certi effetti sull'organismo, ma tali effetti restano tuttavia inconsci. Affinché un'esperienza psichica possa essere considerata cosciente, è anche necessario che essa sia memorizzata, quanto meno per il tempo necessario per integrarla in quella continuità che costituisce la vita interiore e la storia personale di ciascun io: in seguito può anche essere dimenticata, come accade per la maggior parte delle esperienze della vita alle quali non attribuiamo particolare importanza, e che in ogni caso sappiamo di aver dimenticato, indipendentemente dal fatto che in qualche circostanza possano di nuovo affiorare alla nostra memoria. Come abbiamo già osservato, nel corso della vita umana è proprio la memoria a dare continuità alla personalità ed all'identità dell'io cosciente. Abbiamo anche visto come l'io cosciente possa subire, per effetto delle esperienze psichiche in cui viene coinvolto vivendo, un processo di trasformazione e di evoluzione che lo induce ad approfondire la conoscenza di se stesso, della propria autentica essenza e del significato dell'esperienza della vita umana, liberandolo, almeno in parte, dal bisogno di identificarsi con le proprie dinamiche psichiche. Restano tuttavia alcuni aspetti relativi all'identità dell'io cosciente che meritano di essere ulteriormente elaborati, dato che possono ampliare la nostra capacità di comprensione del mistero della vita umana, pur senza pretendere che esso possa essere risolto. La condizione nella quale l'io cosciente sperimenta, di norma, gli effetti delle dinamiche psichiche che lo coinvolgono, è quella che chiamiamo stato ordinario di veglia, durante il quale l'io – da solo o interagendo con altre persone – sente l'esigenza di esercitare un controllo più o meno intenso sul comportamento e sul funzionamento del proprio organismo. A seconda delle direttive che ne determinano l'orientamento, l'io può eseguire dei comandi derivanti dai programmi culturali ricevuti dal proprio ambiente sociale e sufficientemente assimilati (come facciamo di norma quando lavoriamo), oppure può agire in funzione della bipolarità delle esperienze psichiche, cercando di ottenere quelle che gli procurano piacere e benessere e di evitare quelle che ritiene gli possano causare dolore o sofferenza mentale (è quello che di solito le persone fanno nel cosiddetto tempo libero, quando sentono il bisogno di divertirsi). Dunque l'orientamento dell'io nello stato ordinario di veglia gli fa sperimentare la vita sia come compito da assolvere, sia come occasione per essere coinvolto in sintonie psichiche più o meno gradevoli. A seconda del destino e delle risorse personali, ma anche in base ad un fattore che resta quasi sempre dietro le quinte, la vita di alcune persone si orienta sempre più verso l'esigenza di assolvere un certo compito sociale, etico o culturale – quello che può essere definito e sentito come un dovere di ordine superiore, che dà significato alla vita stessa – mentre la vita di altre persone resta più o meno in balìa delle dinamiche psichiche bipolari, che inducono l'io a ricercare (quasi sempre senza successo) qualche forma di felicità o di soddisfazione umana. Questi processi, di solito, si verificano in modo automatico man mano che la vita di una persona si svolge, senza che l'io vi dedichi una particolare attenzione o ne elabori il significato alla luce della propria autoconoscenza: essi sono il risultato di quel particolare destino individuale che si determina per effetto della frammentazione della vita, quando il soggetto cosciente viene immerso nella complessità della psiche umana. La bipolarità della psiche crea un gradiente, nell'ambito del quale l'io impara come muoversi, più o meno intenzionalmente, nel tentativo di migliorare la propria condizione, in base alle dinamiche psichiche che lo coinvolgono. Tuttavia le capacità di controllo dell'io sono limitate, non di rado i risultati non corrispondono alle attese, gli eventi della vita possono sempre modificare la condizione dell'io in senso peggiorativo, e la competizione con gli altri esseri umani (ciascuno con il suo io, soggetto alle proprie sintonie psichiche) e tra i gruppi sociali è sempre forte. Il fatto che sia stato possibile raggiungere un certo livello di ordine e di organizzazione, in un quadro così complesso, è di per sé sorprendente, ed ha richiesto (e richiede costantemente) un notevole impegno di intelligenza e di energia da parte di molte persone: vi è sempre il rischio che l'organizzazione sociale si degradi per effetto dalla stessa complessità dei problemi che via via si presentano, tenendo anche conto dei diversi livelli in cui essa si manifesta nel nostro pianeta e del rapido incremento della popolazione mondiale che si è verificato nell'ultimo secolo, e che è tuttora in corso. Ma anche nell'ambito di questo ordine relativo, le condizioni di vita individuali variano molto, e le singole storie personali possono presentare aspetti sconcertanti, che si discostano notevolmente da quello che si ritiene debba essere il percorso normale della vita umana. Come abbiamo spesso evidenziato in queste pagine, il carattere bipolare della psiche umana esercita di solito un particolare effetto quasi ipnotico sull'io cosciente, che – venuto al mondo – viene irretito in un processo organico e psichico al quale partecipa con convinzione e con il quale molto spesso si identifica, senza nemmeno interrogarsi sull'origine e sulle finalità di tale processo, e sulle cause che hanno determinato il suo personale e singolare destino umano. In modo molto sintetico ed approssimato, ma sufficientemente efficace, possiamo dire che ogni essere umano, per il solo fatto di vivere, interpreta il ruolo che gli è stato assegnato, anche se non conosce né l'autore né il regista dell'opera che viene messa in scena, e dunque resta del tutto all'oscuro circa le loro intenzioni. Quando le esigenze della vita lo consentono, l'io può – per così dire – mettere in standby il proprio organismo, sospendendone tutte le attività non strettamente fisiologiche: se la volontà e l'intento dell'io sono orientati verso quest'obiettivo, una volta create le condizioni necessarie per ridurre al minimo le sollecitazioni da parte degli stimoli ambientali, l'io cosciente può osservare gli stati mentali che si manifestano ed i particolari effetti di coinvolgimento che tali esperienze hanno su di esso. Diventando cosciente delle proprie reazioni, positive o negative che siano, l'io si esercita progressivamente a non identificarsi con le proprie dinamiche psichiche, osservandole con interesse ma anche con un certo distacco critico. Se quest'attività contemplativa delle proprie esperienze mentali, in assenza di stimoli esterni e di esigenze di controllo dell'attività dell'organismo, viene ripetuta nel tempo, può subire un'evoluzione trasformandosi in attività meditativa, finalizzata al controllo dell'attività mentale da parte dell'io cosciente, oppure può modificare la stessa natura dell'io in quanto soggetto dell'esperienza cosciente, attraverso un processo affine a quello onirico. Nella sezione sugli stati di coscienza non ordinari abbiamo esaminato alcune di queste esperienze, alle quali possiamo aggiungere anche le NDE. Nel considerare comunque l'io come soggetto cosciente, gli ho attribuito un'identità basata anche sulla continuità della memoria: ritengo tuttavia che in alcuni stati di coscienza non ordinari, e nello stesso stato onirico, l'io – pur mantenendo la propria condizione di soggetto cosciente – subisca in qualche modo alcune modifiche alla propria struttura, che deve essere adattata alle nuove esperienze psichiche sintonizzate dalla coscienza. Prendiamo in esame, in particolare, le trasformazioni tra l'io onirico e l'io dello stato di veglia, al di là delle intrinseche differenze tra le esperienze psichiche che si manifestano nell'una o nell'altra condizione. Durante il sogno l'io onirico sperimenta le dinamiche psichiche che si manifestano nei sogni, ma affinché quelle esperienze possano essere richiamate alla coscienza dell'io nello stato di veglia è necessario anzitutto che i sogni vengano ricordati. Tutte le volte che noi raccontiamo a qualcun altro un nostro sogno – così come accade per qualsiasi altra esperienza interiore relativa ad uno stato di coscienza non ordinario – lo facciamo in accordo con quanto ricorda (e con quanto è capace di esprimere) l'io cosciente nello stato di veglia. Analogamente, l'io cosciente può cercare di elaborare il contenuto di un sogno alla luce delle dinamiche psichiche che lo coinvolgono nello stato di veglia. Tuttavia, se la memorizzazione del sogno è di buona qualità, l'io nello stato di veglia diventa anche consapevole del fatto che certi eventi, e la stessa atmosfera, del sogno esercitavano sull'io onirico un effetto molto diverso rispetto a quello che il ricordo del sogno esercita sull'io cosciente. Questo effetto è particolarmente evidente in molte NDE, le quali iniziano con una separazione dell'io cosciente dall'organismo – e di conseguenza dalle esperienze psichiche determinate dalle condizioni dell'organismo – in modo che la coscienza possa sintonizzare altre esperienze psichiche che l'io cosciente, così trasformato, percepisce come emananti da una dimensione del tutto diversa rispetto a quella della psiche umana, e molto più in armonia con la sua più autentica essenza. Dunque non solo le dinamiche della psiche umana sperimentate dall'io si trasformano con il mutare delle condizioni ambientali che coinvolgono l'organismo, influenzando il funzionamento del cervello, ma lo stesso io cosciente può andare incontro a delle trasformazioni determinate dal suo maggiore o minore stato di connessione con l'organismo nel quale si è formato, ma dal quale è destinato in ogni caso a separarsi. In particolari esperienze, come i sogni lucidi o i sogni coscienti, la condizione dell'io è molto più simile a quella dello stato di veglia che non a quella onirica, in quanto l'io è consapevole di essere immerso in una realtà alternativa con la quale può interagire ed in merito alla quale può porsi delle domande e riflettere, fino al punto di ricordarsi della realtà ordinaria nello stato di veglia e fare dei confronti con la realtà onirica che sta sperimentando. Anche alcune NDE sono caratterizzate da una condizione di questo tipo, nella quale l'io cosciente riflette e si interroga sulla situazione in cui si trova, sugli aspetti dell'ambiente che riesce a percepire e sugli eventi che vi accadono, fino a giungere deduttivamente, per esempio, alla conclusione di essere morto. Vi è dunque una connessione tra la condizione in cui viene a trovarsi l'organismo e le sintonie psichiche sperimentate dall'io cosciente: in particolare, il controllo che l'io cosciente deve esercitare sull'organismo nello stato di veglia, per soddisfarne le esigenze naturali o i condizionamenti culturali, in base ai programmi acquisiti, implica una progressiva limitazione e – per così dire – una fissazione della gamma di esperienze possibili. Molte persone sono così coinvolte nelle attività dello stato di veglia, con tutte le responsabilità e le preoccupazioni che ne derivano, da avere difficoltà perfino a prendere sonno ed a scivolare nello stato onirico. La condizione stessa dell'essere malati, in situazioni critiche o in pericolo di vita, libera l'io cosciente – almeno temporaneamente – dal compito di dover controllare l'organismo, che viene affidato alla cura di altre persone socialmente incaricate di questa funzione, permettendo talvolta all'io di sperimentare sintonie psichiche alternative ed inconsuete, che lo liberano dai vincoli costituiti dalle funzioni sensoriali organiche e dalle esperienze dolorose che ne derivano: il ritorno alla normale esistenza nello stato di veglia, condizionata dalle esigenze della vita organica, viene poi sentito ed interpretato dall'io come il rientro in una prigione. Buona parte dei sogni che sperimentiamo tramite l'io onirico non vengono ricordati dall'io nello stato di veglia, e ci sono persone che sono convinte di non sognare, perché molto di rado ricordano i loro sogni. Vi è dunque, di norma, una dissociazione tra l'io onirico e l'io dello stato di veglia, che può essere colmata solo in parte dalla memoria. Le esigenze della vita, ed i programmi socioculturali che le interpretano, fanno sì che noi attribuiamo un'importanza primaria all'io dello stato di veglia, mediante il quale mettiamo in atto anche tutte le relazioni e le interazioni con le altre persone, che vengono gestite tramite il controllo dell'organismo ed i comportamenti, le azioni e le comunicazioni che ne derivano. I casi di personalità multiple e gli esperimenti con l'ipnosi dimostrano tuttavia che l'io dello stato di veglia può essere del tutto inconsapevole di quanto accade all'organismo a cui è associato – in termini di esperienze e di azioni – quando un altro io, anch'esso dotato di una propria coscienza, ne assume il controllo. Esperienze come le NDE, che in molti casi si verificano quando l'organismo si trova in condizioni critiche, possono presentare una continuità più o meno immediata con la coscienza dello stato stato di veglia, quando iniziano oppure quando terminano – in quella fase che viene percepita come rientro nell'organismo – ma spesso l'io cosciente si accorge che qualcosa di essenziale è cambiato: per esempio, non sente più alcun dolore, prende atto di essere morto e di percepire la realtà in modo diverso da quello a cui era abituato. Questa condizione presenta molte analogie con quella dei sogni coscienti, nei quali l'io può sperimentare una percezione molto intensa di quello che per esso è un mondo reale. Va infine osservato che – come accade per i sogni – non sempre le NDE sono immediatamente ricordate, in tutto o in parte, quando l'io cosciente ritorna nello stato di veglia: tuttavia il fatto che l'organismo continui ad essere in condizioni critiche, spesso sedato e talvolta in stato di coma, per un periodo più o meno lungo, fa sì che non si possa stabilire in modo inequivocabile il momento della stabilizzazione dell'io dello stato di veglia. La vita come ricerca ed elaborazione di esperienze Nelle pagine di questo blog il ruolo di interprete principale nel dramma (o nella commedia brillante) della vita umana è sempre stato attribuito all'io cosciente, nella sua funzione di soggetto associato alla vita di un organismo, agli eventi che il destino gli ha riservato ed alle risorse di cui dispone. Il punto di vista al quale ho rivolto la mia attenzione è quello dell'esperienza soggettiva degli eventi psichici nei quali l'io cosciente viene coinvolto – e che dunque può anche essere costretto, volente o nolente, a sperimentare – e dei particolari effetti (positivi o negativi) che tali dinamiche psichiche esercitano su di esso. In particolare, ho messo in evidenza come il coinvolgimento dell'io cosciente nelle proprie esperienze psichiche comporti quasi sempre un'identificazione completa dell'io con quegli aspetti della psiche umana che esso sperimenta: quest'identificazione ostacola l'evoluzione della coscienza, cioè la possibilità che viene offerta all'io – se dispone delle risorse necessarie – di utilizzare le stesse esperienze della vita per perfezionare e mettere a punto la propria coscienza. La coscienza stessa va dunque considerata come uno strumento che – via via che migliora le proprie prestazioni – può sintonizzare esperienze psichiche di qualità superiore, in relazione ad un programma di conoscenza e di elaborazione che si trova già inserito nell'io cosciente, anche se quest'ultimo può non rendersene conto, proprio a causa dei limiti e dell'inefficienza della coscienza di cui dispone. Il fatto che il processo di acquisizione e di elaborazone delle esperienze psichiche sia intrinsecamente soggettivo, rende problematica ed inadeguata qualsiasi forma di comunicazione e di interpretazione oggettiva del medesimo, delle sue cause e delle sue finalità: tuttavia le esperienze psichiche, pur nella loro soggettività, vanno considerate come fatti, della cui realtà ogni singolo essere umano è consapevole, per quella parte di esperienze in cui viene direttamente coinvolto. Nella prima parte della vita, la psiche si impone all'io con tutto il suo potere, ma non per tutti allo stesso modo: per molti, la vita consiste fin dall'inizio in una serie di tribolazioni e di sofferenze alle quali l'io, pur con l'elasticità e la capacità di adattamento di cui dispone, vorrebbe sottrarsi. In queste condizioni, se l'organismo non soccombe precocemente, l'io non può far altro che procedere nella vita nel tentativo di migliorare il proprio stato, oppure rassegnarsi a sopportare pazientemente il proprio infausto destino ed il senso di impotenza che ne deriva. Diverse culture sono ancora contrassegnate da un fatalismo di fondo che impedisce loro di implementare le risorse di organizzazione sociale necessarie per migliorare le condizioni di vita di coloro che ne fanno parte. Non so se l'evoluzione culturale dipenda dalle condizioni geografiche e climatiche o dalle dinamiche psichiche che incentivano le capacita organizzative e le risorse di conoscenza di una cultura: la stessa evoluzione culturale che ha portato alle condizioni di (relativo) benessere attualmente presenti in alcune aree del mondo è cominciata da non più di un secolo, e tuttora tali condizioni non sono uniformemente diffuse nemmeno in quelle aree, né è garantito che possano continuare ed estendersi in futuro ad altre zone del pianeta. Dunque, per molti esseri umani l'esperienza della vita si risolve ancor oggi nell'alternativa tra sopravvivere tra fatiche, tribolazioni e sofferenze, oppure morire. Queste condizioni richiamano la concezione della vita come valle di lacrime (lacrimarum valle) che ha contrassegnato per molti secoli anche la nostra storia culturale. Quale sia il significato dell'esperienza psichica per un io cosciente che si trovi in questa situazione non sono in grado di dirlo, proprio perché non è stato questo il destino della mia vita: ritengo che in simili circostanze la morte possa essere più intensamente percepita come una liberazione, anche se l'attaccamento alla vita da parte dell'organismo può determinare reazioni psichiche di rancore, di invidia e di odio verso chi – per un motivo o per l'altro – vive in condizioni migliori, eventualmente traendo anche vantaggio dalla fatica di chi sta male. Come ho più volte osservato nelle pagine di questo blog, il processo che sta alla base della vita umana non va molto per il sottile in merito alle esigenze dell'io cosciente: gli organismi umani vengono prodotti in quantità esuberante mediante una pulsione psichica di origine naturale, che si mostra del tutto indifferente al destino individuale di ogni organismo. Ancor oggi diversi organismi umani muoiono alla nascita o durante l'infanzia, o sono soggetti a malformazioni, malattie o maltrattamenti durante la fase di crescita, quando non hanno ancora sviluppato le risorse per difendersi. In queste condizioni, ognuno sperimenta quelle dinamiche psichiche che il destino gli impone, prima ancora che il suo io sia in grado di sperimentare una forma di autocoscienza. Tuttavia non è nemmeno corretto attribuire arbitrariamente ad altri esperienze psichiche che possiamo solo ipotizzare alla luce delle nostre elaborazioni mentali, fondate sulle nostre esperienze e sui programmi culturali che abbiamo acquisito: ognuno conosce bene le proprie dinamiche psichiche, quelle che ha sperimentato direttamente nel corso della sua vita, e queste esperienze possono essere tristi, penose e miserabili anche all'interno delle culture più evolute. Uno degli aspetti più strani della vita organica è che l'esperienza psichica può avere in sé anche il potere di affliggere l'io: basti pensare al dolore fisico. D'altra parte, vi sono anche esperienze psichiche associate al piacere, alla gioia ed alla felicità, cioè a sintonie emotive che manifestano una risonanza con quella che sembra essere l'essenza autentica dell'io cosciente. Ma se consideriamo le dinamiche psichiche sulle quali si basano anche i nostri programmi sociali, la maggior parte delle energie di cui disponiamo viene impegnata per evitare che le dinamiche psichiche negative prendano il sopravvento, e le riflessioni del Leopardi sul «piacer figlio d'affanno» non sono prive di significato. Quanto al piacere ed a certe altre gratificazioni psichiche, abbiamo già evidenziato come spesso ciò che è percepito come piacevole e gratificante da una persona, o da un gruppo di persone, comporti un'esperienza negativa per un'altra persona o un altro gruppo: esempi di queste dinamiche sono tutti quei casi in cui una persona prova soddisfazione nell'esercitare oppressione o prevaricazione su un'altra persona, come accade anche negli abusi sessuali. Dunque l'io, una volta che si sia sufficientemente consolidato, sperimenta il coinvolgimento nelle dinamiche psichiche che il destino gli riserva e – sulla base delle risorse di cui dispone – può diventare cosciente della propria sensibilità, vulnerabilità e fragilità, oppure può far fronte alle esigenze che la vita organica gli impone corazzandosi come può ed orientandosi nel modo che gli sembra più adeguato tra le proprie dinamiche psichiche e gli eventi che le attivano. Si determina così un certo tipo di automatismo egocentrico, fondato in gran parte sull'esigenza naturale di mantenere in vita il proprio organismo e di continuare a farsi coinvolgere dalle proprie esperienze psichiche bipolari nel modo più vantaggioso (o meno svantaggioso) possibile. Mediante questo processo l'io si identifica sempre più con quella gamma di sintonie della psiche umana che lo coinvolge direttamente, costringendolo talvolta ad entrare in conflitto o in competizione con gli altri, proprio per servire e difendere le proprie dinamiche psichiche. Occorre riconoscere che questo mondo non è stato creato da nessun essere umano – anche se ognuno di noi, chi più chi meno, contribuisce alle trasformazioni che vi hanno luogo – e che la sopravvivenza nella condizione di vita organica è di per sé un compito impegnativo e difficile, al quale l'io cosciente fa fronte con le risorse di cui dispone, che sono evidentemente diverse da persona a persona. Ma tutte le situazioni della vita hanno importanza in quanto si traducono in esperienze psichiche che vengono trasmesse ad un io cosciente, il quale è anche chiamato – ad un certo punto del proprio processo evolutivo – ad esprimere una propria valutazione ed un proprio giudizio sulle dinamiche psichiche nelle quali è stato coinvolto e con le quali si è spesso identificato fino ad approvarle, convalidarle e difenderle, invece di limitarsi a sopportarle ed a subirle. Via via che l'io riesce a prendere le distanze dalle dinamiche psichiche che continuano a coinvolgerlo – ma senza più riuscire a costringerlo o a convincerlo ad identificarsi con esse – acquista una maggiore consapevolezza della propria aspirazione ad emanciparsi dalle esigenze della vita organica: la fragilità, la vulnerabilità ed i compromessi che costringono l'io ad assecondare le dinamiche psichiche tipicamente umane che lo coinvolgono derivano infatti, in massima parte, dal fatto che le esperienze di questa vita sono rese possibili dalla sopravvivenza di un organismo del quale l'io stesso deve prendersi cura: per questo scopo viene adeguatamente programmato tanto dagli istinti naturali quanto dai programmi culturali, fino al punto che questi ultimi arrivano a negare qualsiasi possibilità di esistenza dell'io cosciente svincolata dall'organismo con cui sta vivendo. Nella nostra epoca, il predominio di queste istanze culturali contribuisce a rendere l'io cosciente sempre più fragile e sempre più sottomesso alle esigenze dell'organismo. Dal contrasto con questa condizione culturale ha origine quel particolare sentimento di liberazione e di rinnovamento energetico che provano molti di coloro che hanno sperimentato una NDE, acquistando la certezza che l'io cosciente può continuare ad esistere in nuove dimensioni – e ad essere coinvolto in altre dinamiche psichiche ad esso più congeniali – anche dopo la morte dell'organismo a cui è collegato. Le NDE dimostrano come l'aspetto mentale dell'esperienza percepita coscientemente prevalga su quello meramente organico, anche nel caso in cui si voglia attribuire al cervello un ruolo di rilievo nel determinare l'esperienza stessa: il cervello può essere considerato come uno strumento necessario per trasferire l'esperienza nella nostra dimensione fisica, conservandone anche il ricordo (non di rado in modo indelebile), ma il carattere mentale trascendente dell'esperienza, ed il suo straordinario significato per l'io cosciente, restano intatti. La vita organica consente all'io cosciente di compiere un percorso progressivo di orientamento nei confronti delle dinamiche psichiche che può sperimentare. Nella prima parte della vita le esperienze psichiche in cui l'io viene coinvolto sono di norma determinate dall'organismo e dagli stati emotivi piacevoli o dolorosi che l'io sperimenta rivolgendo il proprio interesse agli stimoli organici. Nella seconda parte, quando l'organismo ha completato la fase di crescita, l'io tende ad identificarsi con le dinamiche psichiche che determinano l'affermazione dell'organismo e dei programmi mentali acquisiti nell'ambito di una struttura sociale più o meno complessa, iniziando anche – almeno in certi casi – un processo di elaborazione personale delle esperienze psichiche nelle quali l'io viene coinvolto. Nella terza parte, l'io – se dispone ancora di sufficienti risorse ed energie – può intraprendere un percorso di differenziazione dalle dinamiche psichiche con cui si è quasi sempre identificato, riconoscendosi come entità autonoma, collegata ad un organismo ma non più integralmente condizionata dalle esigenze della vita organica. Nell'ultima parte della vita l'io sente ormai il richiamo ed il fascino di un'esistenza mentale autonoma rispetto alle necessità di un organismo ormai in declino – anche quando un destino particolarmente favorevole e l'impegno da parte dell'io riescono a preservarne un certo livello di efficienza e di lucidità, fino al momento del distacco definitivo – e soprattutto viene meno il suo interesse per molti aspetti della psiche umana con i quali tendeva ad identificarsi nella prime fasi della vita. Il ciclo della vita umana può così concludersi in modo armonioso ed elegante, e soprattutto libero da quelle condizioni di sofferenza, di disagio e di progressivo declino delle facoltà mentali che purtroppo caratterizzano l'ultima parte della vita di molte persone, anche nelle nostre società – che si autodefiniscono progredite – la cui cultura determina un prolungamento della vita al quale di norma non corrisponde nessuna adeguata comprensione del significato della vita stessa da parte dell'io cosciente. Quando il ciclo della vita giunge alla sua naturale conclusione e le energie residue si esauriscono (in genere tra gli 80 ed i 90 anni), viene il momento in cui l'io cosciente – se si è impegnato con successo nel proprio percorso evolutivo – sente di aver esaurito il proprio interesse (ed anche la propria pazienza) nei confronti delle esperienze determinate dalla psiche umana, ed è ormai pronto per trasferirisi in un'altra dimensione in modo pienamente consapevole. Anche in questo caso, una cultura sociale come quella in cui viviamo – tutta incentrata nel presentare la vita come valore assoluto fine a se stesso – è di scarso aiuto nell'agevolare le modalità di questo trasferimento, in merito al quale ognuno si potrà organizzare come meglio crede. Se l'io cosciente sente di aver portato a termine con sufficiente impegno – anche se non in modo perfetto – il compito che il destino gli aveva assegnato, può uscire da questa vita serenamente e perfino allegramente: il compito da assolvere nella vita umana è diverso per ognuno di noi, ed uno degli aspetti enigmatici della nostra vita consiste proprio nello scoprire qual è il compito che ci è stato riservato. Se tutto ha funzionato a dovere, l'uscita dell'io cosciente dalla vita umana dovrebbe essere fluida e libera da quei tormenti e da quelle sofferenze che caratterizzano la fase che precede la morte di molte persone. Nel prossimo post esamineremo il significato di alcune delle interpretazioni più o meno mitiche che sono state avanzate in merito alle dinamiche psichiche che influenzano la vita umana e ne determinano il corso, ed all'elaborazione delle esperienze relative all'aldilà. Nel concludere questa pagina, vorrei mettere in evidenza come in ogni caso la vita umana rappresenti un'opportunità offerta all'io cosciente per formarsi, consolidarsi, evolversi e finalmente liberarsi dal guscio ormai inutile dell'organismo umano per andare incontro ad una nuova forma di esistenza. La capacità di sfruttare nel modo migliore quest'opportunità è determinata dalle risorse di cui l'io può disporre, risorse che – come vedremo – possono dipendere da eventi ed entità che intervengono in una dimensione distinta da quella fisica in cui si svolge la nostra vita organica.
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