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Le risorse dell'io cosciente L'avventura dell'io nella vita umana Quando l'io inizia la sua avventura umana, comincia a sperimentare passivamente le dinamiche psichiche che lo coinvolgono, tanto quelle dolci quanto quelle amare. Non sono pochi i casi di io costretti dalle avverse condizioni organiche, ambientali, sociali ed umane, a soffrire fin dalla prima infanzia ed a crescere, come meglio riescono, dovendo sperimentare sintonie psichiche negative ed avvilenti. È anche comprensibile come, nello stato di ingenuità che gli è proprio, l'io cerchi di assecondare quelle dinamiche psichiche che, sotto forma di desideri, promettono di procurargli reazioni emotive piacevoli e gratificanti, adottando in via sperimentale i comportamenti che gli sembrano più idonei ad ottenere ciò che desidera. Questo dimostra come sia presente, nell'essenza stessa dell'io, una tendenza alla ricerca della felicità, destinata quasi sempre ad essere delusa dalle esigenze della vita organica e dalle dinamiche della psiche umana. In pochi casi l'ambiente umano nel quale l'io si forma e viene aiutato a consolidarsi ed a crescere è sufficientemente evoluto da trasferirgli fin dall'infanzia le risorse necessarie per confrontarsi con successo ed in modo equilibrato con le difficoltà oggettive della vita e con le dinamiche spesso ingannevoli della psiche: quasi sempre l'io è costretto ad imparare dai suoi stessi errori, che si manifestano come conseguenze di errate o inadeguate valutazioni di scelte e comportamenti determinati dal funzionamento stesso della psiche, che l'io ha assecondato o che comunque non è stato capace di contrastare. Buona parte dei programmi culturali destinati ad evitare comportamenti aggressivi e violenti si basano sul deterrente costituito dalla prospettiva di una pena, eppure il potere della psiche è tale che spesso nemmeno la minaccia di un patimento futuro riesce ad impedire all'io di agire in un certo modo. Può darsi che vi siano, tra un essere umano e l'altro, differenze nella qualità stessa dell'io – la cui causa resta per noi sconosciuta – che complicherebbero ulteriormente un quadro già difficile da interpretare: comunque l'io può modificare il proprio atteggiamento di subordinazione nei confronti delle dinamiche psichiche che lo coinvolgono via via che, col trascorrere degli anni, la sua esperienza nei confronti della vita si arricchisce. Una delle strategie che l'io frequentemente adotta nell'affrontare le difficoltà della vita – spinto dalla volontà di sopravvivere e di affermarsi manifestata dal proprio sistema psicofisico, e spesso incentivata dai programmi culturali che riceve dal proprio ambiente sociale – consiste nel cercare di soddisfare i propri desideri, che possono presentarsi anche sotto forma di ambizioni a lungo termine, ottenendo con successo i risultati che si prefigge ed evitando, per quanto possibile, le disgrazie che la vita gli può riservare. In questo modo l'io si immedesima, in una forma o nell'altra, nel gioco competitivo determinato dalle dinamiche della psiche, cercando di uscirne vincitore con i mezzi e le risorse a sua disposizione. Tuttavia l'accettazione delle regole di questo gioco comporta un'identificazione, nel bene o nel male, con le dinamiche stesse della psiche, che non vengono sottoposte ad alcuna valutazione critica, perché il realismo stesso con cui la vita umana viene considerata come valore assoluto (la vita è il bene supremo, come si usa dire) impedisce di sottrarsi all'intenso bisogno di giocare. Resta il fatto che, se in questo gioco vi sono alcuni vincitori, vi sono anche molti perdenti, il cui io paga con gli interessi il costo delle vincite e del gioco stesso nel suo complesso, come in una gigantesca lotteria nella quale, una volta detratto il monte premi destinato ai pochi fortunati vincitori, coloro che traggono il maggior vantaggio economico sono gli organizzatori della stessa. In termini di bilancio, sarebbe dunque necessario comprendere se la partecipazione al gioco della vita viene presa consapevolmente da qualche entità o da qualche organizzazione che ha a cuore l'interesse ed il destino dell'io cosciente, indipendentemente dalle maggior o minori risorse di cui ogni essere umano dispone nell'affrontare l'avventura della vita. Non basta, sotto questo aspetto, affidarsi al desiderio naturale di procreare nuovi organismi – già ben presente nel regno animale – soprattutto quando questo si manifesta sotto la forma indifferenziata e primitiva di impulsi sessuali incontrollati, finalizzati alla ricerca di una forma di piacere più o meno intenso derivante dalla scarica di una tensione psicofisica alla quale l'io non riesce a sottrarsi. Via via che procede nel corso della propria vita, l'io cosciente si rende conto del carattere spesso ingannevole di molte delle dinamiche psichiche alle quali ingenuamente affida il proprio destino, compresi quei programmi culturali e propagandistici fondati su un'ipocrita rappresentazione di ideali e di valori considerati come positivi, ai quali corrisponde una gestione della realtà degli eventi di questa vita del tutto diversa (come non di rado accade in politica o nelle organizzazioni religiose). Come abbiamo spesso osservato, l'io è naturalmente indotto a prestar fede alla propria psiche, dalla quale si lascia coinvolgere al punto di identificarsi completamente con essa: tuttavia, se dispone di un minimo di intelligenza critica, non può non riconoscere come spesso i risultati delle proprie scelte e delle proprie azioni non corrispondano a quanto le stesse dinamiche psichiche a cui si era affidato gli avevano prospettato. Quest'insicurezza da parte dell'io nei confronti delle risorse di cui può disporre per affrontare le difficoltà della vita si estende anche alla conoscenza, che si basa pur sempre su interpretazioni di origine psichica. Gli indiscutibili successi ottenuti in campo scientifico negli ultimi secoli si fondano sul riconoscimento di un metodo che riesce – per quanto possibile – a prescindere dall'incertezza delle interpretazioni psichiche soggettive, un metodo che tuttavia deve pur sempre fare i conti con tale incertezza quando tenta di spiegare le cause primarie dei fenomeni anziché limitarsi alla misurazione ed alla gestione delle loro interazioni. Questi aspetti della condizione umana determinano una progressiva perdita di fiducia dell'io nella propria capacità di conoscere e di controllare la realtà di questo mondo, che si manifesta nella forte diffidenza e nello scetticismo nei confronti di tutto ciò che non può essere inserito nel quadro limitato delle certezze a cui ci affidiamo, a seconda della cultura alla quale sentiamo di appartenere. L'io cosciente è ormai talmente abituato a diffidare di ogni cosa, da non poter nemmeno credere alla possibilità di un'esistenza ultraterrena nella quale non sarà più né ingannato né tradito. Le risorse dell'intelligenza La diffidenza dell'io nei confronti della psiche umana è pienamente giustificata: la mente infatti sintonizza ogni sorta di materiale psichico – non solo sotto forma di pensieri, ma anche di emozioni, desideri, sentimenti e fantasie – dal quale l'io corre costantemente il rischio di essere affascinato e condizionato, per il solo fatto di identificarsi con le proprie esperienze psichiche. L'intelligenza è una risorsa preziosa, che dovrebbe proteggere l'io nei confronti delle dinamiche psichiche negative e dannose non solo per coloro che le sperimentano direttamente, ma anche per gli altri che, interagendo con essi, ne vengono in qualche modo contaminati: infatti ogni forma di attività psichica, nel manifestarsi nei confronti degli altri, genera in questi ultimi reazioni psichiche più o meno istantanee e spesso automatiche, nelle quali il loro io viene coinvolto. Tuttavia l'intelligenza di cui ognuno dispone è quella che è, e sebbene alcune persone ne siano dotate in misura superiore alla media, per quanto variabile, l'umanità nel suo complesso funziona sulla base dell'intelligenza media, che si dimostra spesso inadeguata a gestire con successo le dinamiche complesse e conflittuali della psiche umana. D'altra parte, anche il riconoscimento dell'intelligenza altrui richiede una forma di intelligenza adeguatamente sviluppata, ma anche ai nostri giorni si assiste spesso al prevalere di certe dinamiche psichiche – quali l'ostinazione, la presunzione e l'arroganza – che vengono strenuamente difese con notevole disprezzo per l'intelligenza, e dunque accade con una certa frequenza che nei sistemi democratici gruppi consistenti di cittadini accettino di farsi dirigere da persone poco capaci e non particolarmente dotate di intelligenza, con le quali però si identificano riconoscendo in tali leaders quelle stesse forze tramite le quali le dinamiche psichiche controllano ed assoggettano l'io cosciente di coloro che li sostengono. Si tratta, in un certo senso, di un circolo vizioso psichico che attualmente si mostra poco favorevole nei confronti dell'evoluzione dell'intelligenza umana. Di intelligenza non ce n'è mai abbastanza, in questo mondo: anche le persone più intelligenti devono sempre constatare e riconoscere i propri limiti intellettivi nel riuscire a comprendere diversi aspetti della realtà del nostro pianeta e nel risolvere i problemi con cui l'umanità nel suo complesso si deve confrontare. Tuttavia quello che sorprende di più è il basso livello dell'intelligenza umana media, soprattutto per come si riflette sul funzionamento delle organizzazioni sociali a tutti i livelli, fino a quello – molto importante – della leadership degli stati sovrani: resta il fatto che questo è lo stato dell'arte per quanto riguarda l'umanità, dato che fino ad oggi non è stato trovato alcun prodotto o alcun metodo in grado di incrementare il livello di intelligenza delle persone. Non è detto, inoltre, che una maggiore intelligenza si orienti necessariamente verso il bene comune, anche se di solito le valutazioni determinate da un livello più elevato di intelligenza portano a favorire la collaborazione, la concordia e l'armonia tra gli umani piuttosto che la competizione e la conflittualità, dato che in genere l'intelligenza rifugge dalla violenza e dal prevalere con la forza. Si riscontra spesso una proporzione inversa tra il grado di intelligenza di cui una persona dispone e l'identificazione del suo io cosciente con le dinamiche psichiche in cui viene coinvolto, soprattutto nei casi in cui la collaborazione tra l'intelligenza e la coscienza si manifesta nell'esigenza di fare qualche passo avanti nel percorso conoscitivo che liberi l'io cosciente dalla sudditanza nei confronti di quegli aspetti della psiche umana che esso sente come sgradevoli ed alieni rispetto alla propria essenza più autentica. È proprio l'intelligenza a mettere in evidenza l'inadeguatezza delle dinamiche psichiche che normalmente dirigono l'io – determinandone le scelte, i comportamenti e le azioni – ad affrontare con successo la complessità e le difficoltà della vita, traendone la giusta ricompensa per la propria evoluzione. Spesso anche chi ha avuto successo nella vita nella gioventù e nella maturità, in conformità con i programmi culturali predominanti, si trova poi a dover affrontare il declino psicofisico della vecchiaia prima della morte, senza esser riuscito ad elaborare un valido quadro conoscitivo sul quale poter fare affidamento per offrire al proprio io cosciente una prospettiva di ulteriori esperienze nella dimensione spirituale. L'intelligenza, riscontrando le ambivalenze della psiche umana e l'inaffidabilità di molte delle interpretazioni di origine psichica alle quali l'io si affida con ingenua fiducia per prevedere e valutare gli eventi di questa vita, produce una forma di scetticismo che impedisce poi all'io di poter considerare come vero o reale ciò che non è accertato o dimostrabile. Tale scetticismo si estende anche alla possibilità che l'io cosciente possa sperimentare altre dimensioni psichiche dopo la morte dell'organismo: in questo caso l'intelligenza estende a qualcosa che non conosce la stessa diffidenza e lo stesso atteggiamento critico manifestato – con ottime ragioni – nei confronti della psiche umana, la quale viene pur sempre sintonizzata tramite l'attività del cervello, che fa parte del nostro organismo. Da qui ha origine quell'esigenza quasi disperata mostrata da un certo numero di persone piuttosto intelligenti di poter ricondurre a qualche forma di attività cerebrale eventi attinenti alla sfera spirituale, come i fenomeni medianici o le NDE, dimenticando che le interferenze di dimensioni aliene rispetto a quella della nostra vita organica rendono inefficaci gli stessi metodi interpretativi e conoscitivi che l'intelligenza si è abituata ad utilizzare con successo nei confronti degli eventi fisici e della psiche umana. D'altra parte, non di rado coloro che sperimentano sintonie attinenti alla dimensione spirituale compiono l'errore opposto, cioè quello di credere che ciò che è valido, significativo e coinvolgente in quella dimensione possa essere trasferito sic et simpliciter in questa nostra vita organica, che resta pur sempre sotto il controllo della psiche umana. Tuttavia l'intelligenza, se realmente rappresenta una risorsa che favorisce l'evoluzione e la liberazione dell'io cosciente, non può non prendere atto della realtà di certi eventi e del loro significato per l'io: dunque, nel valutarli, può manifestare il proprio spirito critico solo in relazione alla coerenza di quegli elementi e di quegli eventi riconducibili al quadro della dimensione di riferimento, che nel nostro caso è quella della vita umana oppure quella dello Spirito. La risorsa costituita dalle informazioni sulla dimensione dello Spirito Più volte in queste pagine ho evidenziato l'importanza delle NDE come affidabile strumento di informazione sulle possibili esperienze dell'io cosciente in dimensioni alternative rispetto a quella della vita umana, ed in particolare nella dimensione dello Spirito. Particolare importanza hanno, sotto questo aspetto, quelle esperienze che si sono verificate quando l'organismo dello sperimentatore era in una condizione di morte clinica, che di fatto si è poi rivelata reversibile. Com'è ovvio, vi è una fondamentale differenza tra coloro che hanno sperimentato direttamente una NDE, tentando poi di tradurla in termini di linguaggio per raccontarla agli altri, e coloro che – non avendola sperimentata – ne vengono a conoscenza ascoltando o leggendo i vari resoconti delle NDE: questi ultimi sono liberi di credere o non credere a quanto gli sperimentatori affermano, ma non possono interpretare le esperienze in termini diversi da quelli utilizzati da coloro che le hanno vissute, data la natura intrinsecamente soggettiva di quanto sperimentato dall'io cosciente. Si può utilizzare l'intelligenza per mettere a confronto gli eventi ed i contenuti riportati nelle varie esperienze, ma non è né corretto né intelligente screditare il modo in cui ogni esperienza viene vissuta ed interpretata dall'io cosciente che l'ha avuta, né il significato che esso le attribuisce. In buona sostanza, chi non ha avuto quell'esperienza non può sostituirsi nell'interpretazione della stessa all'io di chi l'ha effettivamente vissuta. In merito alla dimensione dello Spirito, ricordo ancora una volta che con questo termine (con la lettera iniziale maiuscola) intendo quella Luce, alla quale molti sperimentatori attribuiscono una qualità energetica divina, da cui irradia un amore assoluto, incondizionato, pieno di misericordia e di comprensione, che avvolge e compenetra l'io cosciente – il quale se ne sente irresistibilmente attratto – infondendogli uno stato di beatitudine, di felicità e di grazia suprema, nel quale l'io vorrebbe dimorare per sempre, rifiutandosi spesso ostinatamente di far ritorno alla dimensione della vita organica. Certamente, la maggior parte di coloro che si sono temporaneamente trovati in una condizione di morte clinica non hanno avuto una NDE, e non tutte le NDE consistono in esperienze positive, gratificanti e significative per l'io, come quelle relative alla dimensione dello Spirito. Tuttavia la maggior parte delle NDE sono di questo genere, e si potrebbe fare un lunghissimo elenco di citazioni praticamente coincidenti in merito alla condizione di ineffabile ed assoluta beatitudine sperimentata dall'io cosciente nella sua condizione spirituale, allorquando viene a trovarsi nella dimensione della Luce. Nel loro insieme queste migliaia e migliaia di esperienze – per un esame delle quali si rimanda all'ormai vastissima letteratura sull'argomento – rappresentano una fonte di informazione per l'umanità intera, di cui coloro che le hanno vissute sembrano essere i messaggeri scelti dallo Spirito stesso, secondo un criterio che ci sfugge, o comunque da quelle entità che hanno il potere di determinare tali esperienze, fissandole stabilmente nella memoria dello sperimentatore quando l'io cosciente fa ritorno alla vita organica. La nostra intelligenza critica (diventata scettica in conseguenza delle esperienze determinate dalla psiche umana) può anche sforzarsi di privare le NDE relative alla dimensione dello Spirito del loro significato e del loro valore positivo per l'io cosciente, attribuendole al potere di entità aliene di ingannare l'io – magari mediante il controllo del funzionamento del cervello – convincendolo della realtà permanente di una serie di esperienze che avrebbero invece un carattere transitorio ed illusorio. Resta però il fatto che tutti coloro che hanno fatto esperienza diretta della dimensione dello Spirito sono convinti di aver vissuto una realtà molto intensa, più reale ancora di quella che sperimentano tramite l'organismo ed il suo cervello, e che il volere forzare a tal punto il potere di illusione e di inganno sull'io cosciente attribuito a tali entità misteriose ed inconoscibili – che sarebbero in grado di controllare ogni aspetto delle nostre esperienze mentali – priverebbe di valore, di significato e di capacità conoscitiva qualsiasi risorsa umana, compresa la nostra stessa intelligenza. L'io cosciente si troverebbe così in balìa di un nichilismo assoluto, determinato dai poteri che hanno messo a punto e controllano il funzionamento cerebrale da cui dipenderebbe la sua stessa esistenza. Cerchiamo dunque di utilizzare nel migliore dei modi la nostra intelligenza, per esaminare e valutare quegli aspetti delle NDE che mettono in relazione la dimensione dello Spirito con la nostra condizione umana, soprattutto mediante il processo di ritorno dell'io cosciente dal suo stato spirituale alla vita organica. In alcuni casi l'io – pur potendo sperimentare tutti gli aspetti positivi e sorprendentemente gratificanti della dimensione dello Spirito – viene avvisato che non è ancora venuta la sua ora, e che dovrà far ritorno alla vita organica (ed alle sofferenze che la stessa comporta), con la certezza che comunque sarà stabilmente accolto nella dimensione dello Spirito alla quale esso sente di appartenere, quando questa vita sarà giunta al suo termine naturale (concordato o unilateralmente stabilito). In questo caso l'io cosciente accetta, sebbene non di rado con rammarico, quanto stabilito da un potere che esso riconosce come superiore o divino, alle decisioni del quale non può ribellarsi, anche perché sente che sono ispirate da quell'amore assoluto ed incondizionato che esso stesso ha potuto sperimentare. Inoltre si sente quasi sempre investito di una missione da svolgere, o di un compito da portare a termine in questa vita, per il quale l'immersione nella luce divina irradiata dallo Spirito gli offre nuove ed sorprendenti energie, che in qualche caso determinano anche una guarigione più o meno completa ed inattesa dai mali che affliggevano il suo organismo. Questa nuova vita viene anche percepita come un'opportunità offerta all'io cosciente di correggere alcuni errati orientamenti, comportamenti e forme di pensiero della sua vita precedente la NDE, non conformi a quanto sperimentato nella dimensione dello Spirito, il ritorno alla quale viene ora considerato dall'io come l'unica autentica e significativa meta della vita umana. In genere coloro che hanno avuto una NDE positiva interpretano la missione ad essi affidata nella vita umana come l'esigenza di comunicare e di diffondere quello che hanno sperimentato nella dimensione dello Spirito, e di impostare per quanto possibile le relazioni interpersonali sulla base di quell'amore e di quella comprensione che hanno sperimentato, evitando di giudicare gli altri, e soprattutto di condannarli. In alcuni casi essi sentono anche il bisogno di approfondire la conoscenza di vari aspetti di questo mondo, delle vicende umane e dello spirito. In queste circostanze, si riscontra una buona coerenza tra quanto accade nella dimensione dello Spirito e le conseguenze che quelle esperienze comportano nella dimensione della nostra vita organica, anche se resta da verificare come – ed in che misura – i cambiamenti indotti dalle NDE potranno effettivamente influenzare positivamente la psiche umana nel suo complesso. In non poche NDE, tuttavia, viene offerta all'io cosciente quella che sembra una ragionevole opzione di libera scelta tra il rimanere nella dimensione dello Spirito oppure fare ritorno alla vita organica: si tratta però di una specie di test nei confronti dell'io, perché la sua decisione – non di rado ferma e convinta – di restare in quella dimensione non viene rispettata, ovviamente in tutti quei casi in cui gli sperimentatori sono tornati e possono raccontarci le loro NDE. Una sperimentatrice si è espressa in questi termini: «L'unica cosa che non riesco a capire è perché continuavano a dirmi che avevo libera scelta e che non ero obbligata a tornare. Ma sono stato ricacciata nel corpo contro la mia volontà». (Citazione da Barbara R. Rommer, Blessing in Disguise, 2000). Ed un'altra così ribadisce più o meno lo stesso concetto: «Avrei voluto davvero restare in paradiso e non tornare indietro, ma Dio non ti lascia alcuna scelta» (stessa fonte). Va tenuto presente che in questi casi vi è pur sempre, nella nostra dimensione, una squadra di specialisti che lavora alacremente per riportare in vita l'organismo del soggetto sperimentatore, e dunque non siamo in grado di dire quanto ciò che avviene nella dimensione dello Spirito sia determinato dagli eventi relativi al funzionamento organico, per cui – in tutti i casi che ci è dato di conoscere – si riscontra ad un certo punto una specie di effetto elastico che richiama più o meno bruscamente l'io cosciente all'interno del proprio organismo. Dobbiamo tuttavia riconoscere che, almeno in alcuni casi, la volontà dell'io cosciente non viene rispettata, anche dopo che era stata ad esso prospettata la possibilità di una libera scelta, dunque l'io può essere indotto ad illudersi di aver voce in capitolo in merito al proprio destino, ritrovandosi poi in qualche misura raggirato. Se teniamo poi conto del fatto che solo una minoranza delle persone il cui organismo si è trovato per qualche tempo in uno stato di morte clinica riferisce di aver avuto una NDE una volta riportate in vita, e che alcune NDE sono caratterizzate da esperienze angoscianti, ed in qualche caso addirittura infernali, dobbiamo dedurne che l'influenza dello Spirito nella vita umana prevede che rimanga comunque un elemento di incertezza in merito alle future esperienze dell'io cosciente dopo la morte dell'organismo: tale incertezza sembra del tutto eliminata solo per coloro che hanno potuto sperimentare direttamente la dimensione dello Spirito, traendone l'assoluta fiducia che alla morte vi potranno far ritorno in modo permenente. Tutti noi, che non abbiamo avuto una NDE di questo tipo, possiamo dunque sperare con fiducia – nel caso che ciò corrisponda a quanto il nostro io cosciente desidera – di poter accedere alla dimensione dello Spirito alla morte del nostro organismo, chiedendoci eventualmente quali siano le condizioni che devono essere rispettate affinché l'io possa conseguire tale obiettivo. L'io cosciente è una risorsa per se stesso La più importante risorsa per l'io è probabilmente rappresentata dal fatto stesso di essere cosciente della propria esistenza – quanto meno temporanea – e del poter riflettere sulla propria essenza. Ovviamente, in questo caso non mi riferisco all'io che si identifica con le dinamiche psichiche dalle quali viene coinvolto ed irretito, anche come conseguenza dei programmi culturali condizionanti che influenzano il funzionamento della sua mente e, di conseguenza, i comportamenti che ne derivano. Solo quando l'io ha intrapreso il percorso di differenziazione e di separazione da tali dinamiche psichiche può trarre vantaggio da quel processo di approfondimento della propria autoconoscenza che lo porta alla valorizzazione della sua componente spirituale. Le stesse NDE contengono elementi ed elaborazioni che sembrano appartenere all'esperienza personale, per esempio quando le entità incontrate nella dimensione dello Spirito si manifestano e vengono percepite dall'io come i propri parenti ed amici già trapassati, oppure quando vengono riesaminati gli eventi significativi della propria vita umana. Non di rado nella sua condizione spirituale l'io cosciente sperimenta un'espansione cosmica della propria essenza, che lo porta ad identificarsi con ogni aspetto dell'universo, o a fondersi con lo stesso Spirito. Dunque, sebbene in questa vita l'io sia senz'altro limitato dai vincoli che il suo organismo e le varie sintonie della psiche umana gli impongono, costringendolo spesso ad identificarsi col ruolo sociale che il destino gli ha assegnato, esso conserva in sé almeno una scintilla della sua essenza originaria, che può non spegnersi mai del tutto nonostante le condizioni poco propizie della vita. Questo approfondimento della conoscenza di sé da parte dell'io può sembrare una banalità, ma di solito l'io sperimenta la propria esistenza solo mediante l'identificazione con le varie dinamiche psichiche che lo coinvolgono nel tempo, quando non semplicemente attraverso l'agire del suo organismo. Solo mediante un costante allenamento della propria coscienza l'io può amplificare ed approfondire la conoscenza di se stesso. Man mano che l'io riconosce ed esplora la propria componente spirituale, ad un certo punto può anche entrare in sintonia con entità immateriali che esso percepisce come distinte da sé, ma alle quali si sente in qualche modo collegato. Il modo in cui la psiche umana interpreta queste entità fa sì che esse vengano a volte designate come spiriti-guida, altre volte come dèmoni (nel senso socratico e non negativo del termine): in generale sembra che l'io attribuisca loro una funzione di orientamento lungo il non facile percorso della vita umana, e talvolta esse possono intervenire attivamente negli eventi di questa realtà, facendo in modo che l'io non si senta mai abbandonato a se stesso. Infatti, in molti casi, l'io cosciente riesce a percepire concretamente, nelle difficoltà della vita, l'intervento di queste entità sulle quali fa affidamento per esserne guidato, aiutato e confortato. Ma poiché la psiche umana è per sua natura bipolare, l'io cosciente può più o meno facilmente essere coinvolto nella sfera di attrazione di dinamiche psichiche che sembrano determinate dall'influenza di entità immateriali malvage, maligne e demoniache (stavolta proprio nel senso negativo del termine). In genere l'influenza di tali spiriti malvagi si collega all'ottenimento da parte dell'io di vantaggi, veri o presunti, nel corso di questa vita o, per dirla semplicemente, alla soddisfazione di desideri di vario genere. Spesso, tuttavia, gli effetti di tale influenza sono preceduti da un'azione distruttiva degli ideali, dei valori, o semplicemente delle illusioni, sui quali l'io fa ingenuamente affidamento nella fase della sua vita in cui la coscienza si sta ancora consolidando: sperimentando, ancora in giovane età, gli effetti psichici di maltrattamenti, miserie, ingiustizie e violenze, l'io diventa vulnerabile e viene condizionato da una visione della vita umana come una trama alquanto infernale, nella quale il più forte domina ed il debole soccombe e viene sfruttato. Tale convinzione acquista tanto più potere sull'io, quanto più i programmi socioculturali dominanti propagandano e promuovono una visione autoreferenziale della vita umana, che viene presentata come l'unica possibilità di esperienza cosciente offerta all'io. È piuttosto evidente che nell'ambito di una visione della vita umana come esperienza fine a se stessa l'io cosciente, nella sua funzione di sensore soggetto alle sollecitazioni della psiche, può sentirsi giustificato e gratificato dalla ricerca di ciò che ritiene vantaggioso e piacevole, cercando di evitare ciò che è doloroso e che non lo soddisfa. Se invece la vita umana viene sentita come un impegno che l'io cosciente si assume in funzione di un'evoluzione delle esperienze a cui andrà incontro una volta che la sua vita organica si sia conclusa, l'io sarà meno acquiescente nei riguardi delle dinamiche psichiche determinate dal funzionamento del proprio organismo. Resta il fatto che nei confronti della bipolarità della psiche umana e dell'estrema varietà delle condizioni ambientali e sociali che influenzano i destini personali, l'io cosciente di ogni essere umano reagisce in modo diverso, spesso manifestando una propria autonomia che rende difficile – se non impossibile – la classificazione nell'ambito di uno o più modelli standardizzati. Impegnandosi ad approfondire la conoscenza di se stesso, l'io cerca di svelare il mistero della sua stessa esistenza, facendo il possibile per liberare il cristallo puro della sua essenza da tutte le scorie psichiche che lo incrostano, impedendogli di risplendere. Vi sono, tuttavia, molti tipi di cristalli, alcuni più diffusi, altri più rari, e per questo è necessaria una particolare dedizione ed attenzione per l'opera di liberazione che l'io cosciente compie su se stesso: questo lavoro di purificazione porta alla luce qualcosa che talvolta non corrisponde ad un modello standard, ma rappresenta una sorpresa per l'io stesso che, per usare una metafora, riflettendosi nel proprio specchio al termine dell'opera scopre un'immagine di sé diversa da quella che si aspettava. Non dimentichiamo che – in questa vita come in altre dimensioni – l'io funziona in ogni caso come un sensore, che viene attratto da ciò a cui attribuisce un valore perché ne ricava un beneficio, in una forma o nell'altra, e nello stesso tempo fa il possibile per evitare ciò che lo danneggia o gli procura dolore e sofferenza. I problemi, nell'ambito di questa vita organica, nascono dalle modalità con cui le dinamiche della psiche umana, che coinvolgono tutti noi, intrecciano ed ingarbugliano in modo più o meno caotico ed ingannevole gli stimoli con i quali l'io deve confrontarsi, i risultati che ne derivano, ed i programmi in base ai quali l'io dovrebbe mettere a punto le strategie da adottare nei confronti della psiche. La vita organica sembra essere predisposta per mettere l'io nelle condizioni meno vantaggiose per assolvere con successo alla funzione che gli è stata affidata, in conseguenza delle limitate risorse di cui è dotato e delle strategie – non di rado conflittuali e controproducenti – che gli vengono trasmesse dal sistema culturale in cui viene allevato (anch'esso condizionato dalle dinamiche psichiche collettive). Non è un caso, dunque, che non di rado il bilancio delle esperienze a cui l'io va incontro durante la vita organica sia fallimentare, dato che esso è costretto a barcamenarsi come meglio riesce in una dimensione che può rivelarsi difficile da affrontare e perfino ostile nei suoi confronti. Inoltre, l'io deve affrontare la vita organica disponendo di una limitata quantità di energia, destinata ad esaurirsi via via che la vita procede: si tratta anche in questo caso di una risorsa di cui l'io è dotato in misura maggiore o minore, che esso investe e consuma via via che viene coinvolto nelle vicende con cui l'avventura della vita umana si presenta, in tutte le sue variegate sfaccettature. Non è un caso che coloro che hanno sperimentato la dimensione dello Spirito nel corso di una NDE, facciano spesso ritorno alla vita organica con la sensazione di aver ricevuto una dose supplementare di energia, sotto forma di amore incondizionato, che consente loro di riprogrammare anche radicalmente le strategie sulle quali il loro io fa affidamento per affrontare le dinamiche ingannevoli e conflittuali della psiche umana. Le relazioni interpersonali ed organizzative umane si fondano spesso su scambi di energia mediati dalle dinamiche psichiche che determinano la quantità e la qualità dell'energia ceduta e di quella ricevuta da ciascuno. Sebbene sia evidente come la collaborazione nell'ambito di un'organizzazione possa dare origine a forme di energia di qualità superiore, è pur vero che spesso c'è chi, in questo modo, trae vantaggio dalle energie sottratte agli altri, dato che la quantità di esseri umani che attualmente convivono sul nostro pianeta è tale da non consentire la loro sopravvivenza come organismi autonomi, ma solo nell'ambito di sistemi sociali complessi, organizzati ed altamente specializzati, nei quali i fattori quantitativi relativi al materiale umano disponibile prevalgono sulle pur comprensibili esigenze di ogni singolo caso personale. Si riscontra, anche sotto quest'aspetto, una vulnerabilità dell'io cosciente, che spesso non dispone nemmeno delle risorse per adattarsi con successo alle esigenze imposte da un sistema sociale ormai consolidato, che non può essere modificato senza provocare un trauma collettivo che metterebbe a rischio la vita stessa di milioni di persone. Sembra dunque inevitabile, sempre tenendo conto del carattere bipolare della nostra psiche, che nell'ambito dell'enorme numero di scambi energetici che intervengono tra gli esseri umani vi possano essere squilibri consistenti, e che molte persone siano destinate a cedere in perdita la propria energia a vantaggio di altri individui: di questo l'io cosciente deve tener conto nel valutare l'uso che vuol fare delle proprie energie, soprattutto in relazione a quanto può offrire agli altri e può ricevere da loro. Nelle nostre società complesse, l'elemento primario sul quale si basano gli scambi energetici è rappresentato dal denaro, la cui funzione tuttavia è attualmente garantita solo dalla fiducia ad esso collettivamente attribuita come valido mezzo di scambio e di espressione di valore nelle transazioni di materie, di prodotti e di servizi. La quantificazione di tali valori evidenzia enormi differenze tra il tempo-energia di una persona e lo stesso impegno di tempo-energia di un'altra. Dunque nell'ambito della vita organica – così come viene vissuta in questo mondo – l'io cosciente deve di necessità sperimentare quelle sintonie della psiche umana che il destino gli riserva, indipendentemente dal fatto che esse abbiano un effetto positivo o, come molto spesso accade, negativo. Se la vita non si interrompe prematuramente per malattie, disfunzioni o traumi, l'io sperimenta anche una fase terminale di esaurimento delle risorse naturali di energia vitale del proprio organismo, che comporta ben poche emozioni gratificanti o sentimenti positivi. È ben comprensibile come, in condizioni del genere, la vita umana possa essere interpretata più come un impegno o un compito da portare a termine, nonostante le difficoltà che esso comporta, che non come un'occasione di divertimento o di felicità per l'io. Tuttavia l'aspirazione dell'io alla felicità rimane, dato che è connaturata all'essenza stessa dell'io, e l'esperienza di tale stato viene trasferita ad una dimensione spirituale distinta da quella della vita organica: la maggior parte delle NDE provano proprio la possibilità per l'io cosciente di accedere alla dimensione dello Spirito, sempre che questo gli venga concesso da un potere superiore che dimostra una propria autonomia rispetto alle risorse di cui l'io può disporre, anche nella sua condizione spirituale, ed alla volontà stessa dell'io. Ma ciò che ha valore e significato nella dimensione dello Spirito non può essere trasferito con successo alla dimensione della vita umana, proprio perché questa è condizionata dalle esigenze dell'organismo, di cui si deve tener conto a meno di non voler privare di importanza l'esperienza stessa della vita organica, come hanno fatto e fanno alcuni orientamenti culturali e religiosi sbilanciati a favore dello spirito. D'altra parte, proprio i poteri che determinano le dinamiche della vita organica si riflettono nelle contraddizioni e nei conflitti della psiche umana, che possono rendere così poco gratificante per l'io l'esperienza di questa vita. Nell'accettare la missione del vivere, l'io cosciente può sentire un'inclinazione verso l'una o l'altra delle attività umane che l'organizzazione sociale di cui il suo organismo fa parte gli offre come possibilità di lavoro o come prospettiva di impegno a favore della collettività. Queste attività presentano caratteristiche molto diverse, ed ognuna di esse richiede particolari risorse di cui l'io può disporre o può essere carente: l'agricoltore, l'industriale, il commerciante, il medico, il politico, l'atleta, il militare, il religioso, l'intrattenitore, il giurista, l'insegnante, lo scienziato, il progettista, l'artista, il filosofo, il filantropo, ecc., sono tutte figure di riferimento alle quali viene riconosciuto un preciso ruolo sociale positivo, fintanto che chi esercita tali attività si comporta correttamente nei confronti degli altri. Molte persone mettono poi le proprie risorse al servizio di altre persone o di organizzazioni da cui si lasciano dirigere e comandare. Com'è comprensibile, tenuto conto delle caratteristiche della psiche umana, un sistema così complesso può funzionare solo in modo imperfetto: non sempre l'io riesce a trovare un'attività adeguata alle proprie risorse, e non sempre ha successo nell'attività intrapresa, senza contare gli effetti negativi che persone ambiziose, inclini all'inganno, alla prevaricazione ed allo sfruttamento degli altri, esercitano sul funzionamento del sistema sociale. Tuttavia, nel tentativo di svolgere un'attività sociale positiva, l'io cosciente valuta le proprie risorse e può sentirsi stimolato ad approfondire la conoscenza di se stesso, esaminando le dinamiche psichiche che lo inducono ad orientarsi verso l'una o verso l'altra attività: si tratta di un esercizio molto efficace, perché consente all'io di riconoscere l'utilità del proprio ruolo sociale, ma nello stesso tempo di prendere le distanze da qualcosa che è determinato nel bene e nel male dallo sviluppo storico dell'umanità, sulla base delle esigenze prevalenti dell'organismo umano, e dunque destinato a venir meno al termine della vita organica.
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