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Lo Spirito e l'io cosciente L'esperienza dello Spirito divino Tutte le NDE di cui abbiamo testimonianza si sono concluse con il ritorno dell'io cosciente nella dimensione umana della vita organica: sebbene si tratti di esperienze quasi sempre caratterizzate da un senso di eternità – e comunque da una percezione del tempo completamente diversa rispetto alla linearità unidirezionale alla quale la nostra condizione umana ci vincola – nell'interpretazione temporale determinata dalla psiche umana esse hanno un inizio ed una fine, anche se possono fissarsi in modo permanente nella memoria dello sperimentatore, e se la visione della vita dell'io cosciente ne risulta trasformata. Dal nostro punto di vista, condizionato dalle sintonie della psiche umana, è come se quelle esperienze rappresentassero solo l'inizio di un'avventura nella dimensione dello Spirito, un'avventura che tuttavia si interrompe nel momento in cui l'io cosciente, volente o nolente, è costretto a rientrare nel proprio organismo umano. Tuttavia il sentimento di eternità e di atemporalità che pervade soprattutto alcune di queste esperienze, quelle più intense e significative, fa sì che l'io possa sentirsi immerso, assorbito, ed in qualche modo fuso con lo Spirito divino che permea quella dimensione, al punto che la stessa individualità dell'io cosciente si scioglie in quell'infinito, mentre l'io percepisce questa fusione della sua essenza spirituale nello Spirito divino come la sua più importante ed autentica realizzazione. Il ritorno alla condizione, spesso dolorosa, della vita organica si configura in un certo senso come il risveglio da un sogno meraviglioso, anche se l'io cosciente può conservare la certezza che, al termine di questa vita, potrà fare ritorno – stavolta in modo irreversibile – alla dimensione dello Spirito. L'io cosciente può dunque sperimentare ed esplorare diverse dimensioni: quella dello stato di veglia ordinario, caratterizzato dalle dinamiche tipiche della psiche umana, quella degli stati onirici, quella degli stati di coscienza non ordinari indotti da sostanze psichedeliche o da particolari tecniche meditative ed estatiche, e quella dello Spirito, come testimoniata da molte NDE. Dato che proprio nella dimensione dello Spirito l'io percepisce e sente come realtà inconfutabile ed assoluta l'esistenza di un'entità divina dalla quale viene accolto e, per così dire, circonfuso da un sentimento di comprensione e di amore incondizionato e senza limiti, cerchiamo di comprendere meglio – nei limiti che la nostra condizione umana ci impone – quali possano essere le relazioni tra questo Spirito divino, l'io cosciente, e la dimensione della vita organica dominata dalla psiche umana. Già più di duemila anni fa la filosofia induista dell'Advaita Vedanta, come esposta in alcune Upanishad, si era spinta fino ad un monismo assoluto, considerando ogni aspetto della realtà, ed ogni dimensione sperimentata come reale dall'io cosciente, come manifestazione dell'unico Spirito divino, il Brahman o l'Assoluto, con cui l'io cosciente stesso, una volta liberato dall'assoggettamento alle dinamiche della psiche umana, poteva identificarsi in quanto Aatman non condizionato. Tuttavia, per poter validamente sostenere e sperimentare questa concezione (che sotto diversi aspetti corrisponde a quanto l'io sperimenta nella dimensione dello Spirito durante le NDE più complete) la dimensione della vita organica deve essere depotenziata, togliendo energia e, soprattutto, realtà alla psiche umana – con le sue contraddizioni, i suoi conflitti e le volubilità temporali dei desideri e dei condizionamenti con cui essa irretisce l'io – la quale viene ridotta allo stato di Maya (spesso tradotto, in modo impreciso, come illusione). Maya non è altro che il potere della psiche umana di coinvolgere e di convincere l'io, affinché si identifichi con le dinamiche psichiche che la vita gli riserva. Sebbene la filosofia del Vedanta prevedesse la possibilità per l'io cosciente di agire in questa vita tramite la via indicata dal karma-yoga, cioè in modo disinteressato e senza un reale desiderio di successo in relazione agli obiettivi perseguiti, la psiche umana ha dimostrato di non essere disposta ad accettare senza reagire il depotenziamento tentato da quell'interpretazione monistica e dagli orientamenti religiosi che ne sono derivati, e negli ultimi secoli ha dispiegato un notevole vigore nel coinvolgere con successo gran parte dell'umanità in quel processo di elaborazione di conoscenze scientifiche e di conquiste tecnologiche che ha cambiato il volto del pianeta e la stessa qualità della vita di miliardi di persone. Ovviamente, se gli esseri umani fossero interessati solo all'evoluzione dell'io cosciente in funzione del suo trasferimento nella dimensione dello Spirito, la psiche umana non avrebbe potuto contare su una così pronta adesione degli umani agli obiettivi da essa perseguiti, a quanto sembra con successo: anche nella stessa regione indiana che è stata la culla della filosofia spirituale del Vedanta, l'esigenza di migliorare le misere condizioni di vita di oltre un miliardo di persone sta determinando l'adozione di molti dei programmi elaborati dalla cultura occidentale. Non basta infatti invocare lo spirito di sacrificio o il disinteresse nei frutti delle proprie azioni per ottenere quell'intenso impegno, e quel coinvolgimento da parte delle dinamiche psichiche, che sono indispensabili per ottenere i risultati che la cultura scientifica e tecnologica del nostro tempo è riuscita a raggiungere. Anche se si potrebbe obiettare che la felicità e l'infelicità degli umani mutano solo nella forma, ma nella sostanza restano sempre le stesse, e che gli obiettivi che la psiche umana ci propone (o ci impone) comportano un prezzo che viene pagato da qualcuno di noi, bisogna comunque riconoscere alla medesima psiche una notevole vitalità ed una forte capacità di controllo sulla nostra vita organica. Abbiamo dunque a che fare, di fatto, con un dualismo sostanziale che porta l'io cosciente a sperimentare o l'una o l'altra dimensione: quella temporale di questa vita, condizionata dalle esigenze organiche e dominata dalla psiche umana, bipolare e spesso conflittuale, e quella eterna – o quanto meno atemporale – dello Spirito, armoniosa e pervasa di amore e di intensa beatitudine, come ci viene descritta da molte NDE. Dato che noi ci troviamo attualmente nella condizione di sperimentare la vita umana, è ragionevole e comprensibile che l'io cosciente speri che, al termine di quest'esperienza, possa accedere alla dimensione dello Spirito, e – nello stesso tempo – è anche comprensibile l'esigenza sentita da molte persone di fare il possibile per accrescere le gioie e diminuire le sofferenze di questa vita. Anche se questi obiettivi possono essere perseguiti con una certa illusoria ingenuità – dato il carattere bipolare della psiche umana – essi rappresentano comunque il motore della vita stessa, nell'attesa che essa si concluda: come abbiamo visto, il depotenziamento della psiche umana tentato dalla filosofia del Vedanta – ed in buona misura anche da alcuni orientamenti religiosi – si basa sulla certezza dell'esistenza della dimensione dello Spirito e della possibilità di accedervi da parte dell'io cosciente. Tuttavia il fatto stesso che l'io sia almeno temporaneamente assoggettato all'esperienza della vita umana deve essere spiegato anche nell'ambito di una visione monista. In questo caso però l'aspetto soggettivo della psiche prevale, dato che ognuno di noi può fare riferimento diretto solo alla propria esperienza ed alle interpretazioni che ne derivano, sulla base delle elaborazioni intellettive determinate dalla sua attività mentale, che possono essere più o meno convincenti, o addirittura prive di valore, per gli altri. E questo, ovviamente, vale anche per le elaborazioni prodotte dalla mia mente e riportate in questo sito. Quello che ritengo debba essere oggettivamente riconosciuto è che la dimensione organica della vita umana non è l'unica che l'io può coscientemente sperimentare. L'io cosciente ed il suo spirito Dal tentativo di spiegare le notevoli differenze con cui gli umani interpretano ed affrontano la vita, la varietà delle risorse e dei talenti di cui essi dispongono in misura maggiore o minore, ed il fatto che alcune persone ricordino eventi e legami affettivi riferiti ad una vita anteriore vissuta da un'altro organismo ora defunto, ha avuto origine la teoria delle reincarnazioni dello spirito: in sostanza, un'entità spirituale si sottoporrebbe ad una serie di esperienze di vita organica – dimenticando ogni volta la propria autentica essenza e sviluppando un io cosciente collegato ad un nuovo organismo – allo scopo di evolversi mediante il confronto con le esigenze dell'organismo e le dinamiche della psiche umana. Al di là dell'interesse che questa teoria può avere come elaborazione mentale correlata con le vicende umane, non credo che essa sia di molta utilità per l'io cosciente, l'unica entità a cui noi possiamo fare riferimento come sperimentatore delle dinamiche psichiche di questa o di altre dimensioni: alla luce di quanto riportato nelle NDE, l'io cosciente mantiene la propria identità nel processo di transizione alla dimensione dello Spirito, e la sua trasformazione spirituale è determinata dal fatto di non sentirsi più vincolato ad un organismo e dalle esperienze stesse in cui viene coinvolto in quella dimensione. In alcuni casi l'io cosciente sente che la propria essenza si espande fino al punto di comprendere ogni possibile forma di esistenza, come effetto della sua fusione con lo Spirito divino. Non si riscontrano, tuttavia, meccanismi più o meno standardizzati per cui l'io cosciente si risveglia come spirito, ricordando le proprie vite precedenti ed aggiungendo a quelle le memorie della vita che si è appena conclusa. Inoltre l'entità divina che irradia amore e benevolenza nella dimensione dello Spirito non si manifesta come un giudice che valuta le azioni e le intenzioni dell'io alla luce delle dinamiche della psiche umana, promuovendo o condannando: le eventuali valutazioni negative o positive sui propri comportamenti, rievocati nel corso della revisione della vita (che non sempre ha luogo), sono fatte dall'io stesso in base agli effetti che le sue azioni hanno avuto sugli altri, effetti di cui ora diviene pienamente consapevole sperimentandoli su se stesso. Lo Spirito divino sembra ben consapevole del fatto che la condizione umana induce spesso l'io ad agire in modo inconsiderato ed impulsivo, causando sofferenze agli altri, anche perché l'io stesso è vulnerabile alla sofferenza in conseguenza del suo assoggettamento alla psiche umana: in qualche modo, finché l'io cosciente vive identificandosi con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono, è soggetto sia alle proprie sofferenze, sia al rischio di cercare di trarre un vantaggio personale dalle precarie condizioni di vita in cui gli altri si possono trovare, provocando in loro altre sofferenze. Nella dimensione dello Spirito tutto diventa chiaro, proprio perché vengono meno le coercizioni che la psiche umana impone all'io cosciente. Eppure la condizione umana, con tutti gli aspetti negativi determinati dalla bipolarità della psiche, sembra essere considerata importante dallo Spirito divino: questo è quanto si evince da molte NDE, nelle quali il ritorno alla vita organica – al quale l'io cosciente spesso si oppone strenuamente – viene determinato e quasi imposto dallo Spirito divino, che sollecita ed incoraggia l'io a portare a termine il compito o la missione che gli è stata assegnata, nonostante le difficoltà che dovrà affrontare. Dopo l'esperienza nella dimensione dello Spirito, l'io cosciente sente spesso di aver ricevuto qualche risorsa in più rispetto a quelle di cui disponeva prima, ed in qualche caso si riscontrano anche testimonianze e conferme di guarigioni organiche rapide, complete ed insperate. Gli sperimentatori sentono inoltre di dover scoprire da soli qual è il compito loro assegnato nella vita, ed in che modo possono assolverlo. L'impressione che si ricava dal quadro generale delle testimonianze sulle NDE è che l'essenza spirituale dell'io cosciente sia un'emanazione dello Spirito divino, che vuole sperimentare la frammentazione individuale della vita organica e le dinamiche della psiche umana nell'ambito di una dimensione temporale dalla quale è poi destinato a liberarsi. Finché l'io cosciente è coinvolto nell'esperienza della vita umana, non è in grado di comprendere le motivazioni che inducono lo Spirito divino a cimentarsi in questo gioco, proprio perché la parte (cioè la nostra mente individuale) non può comprendere (cioè contenere) il Tutto. Molte persone si sentono rassicurate e confortate dall'idea che il loro spirito passi attraverso un ciclo di varie vite umane, trasferendo così il sentimento di individualità, che l'io cosciente prova nella sua vita attuale, al processo evolutivo di questo ipotetico spirito il quale – di vita in vita – apprende sempre di più, finché viene, per così dire, promosso ad un livello superiore. Inoltre, associando all'idea del ciclo delle rinascite una rudimentale e grossolana interpretazione del concetto induista del karma, viene anche soddisfatto quello strano senso di giustizia, determinato dalla psiche umana, per il quale le colpe di una vita (intese come il male che un essere umano ha causato agli altri), se non vengono espiate nel corso di quella stessa vita, saranno espiate tramite le sofferenze patite in una vita successiva. In questo modo ogni io cosciente, soggetto ad ogni genere di sofferenze durante la propria vita, può mettersi l'anima in pace, perché sta giustamente espiando il male fatto da un altro io, associato però al suo stesso spirito, nel corso di un'altra vita, senza tuttavia ricordare niente di preciso al riguardo: tutto questo mi sembra alquanto comico. Alla luce dei resoconti delle NDE, nella dimensione dello Spirito non valgono gli stessi valori e le stesse dinamiche psichiche che noi sperimentiamo come esseri umani: l'io cosciente mantiene la propria identità, ma sperimenta una nuova gamma di sintonie psichiche che lo attraggono verso quell'entità luminosa che emana amore e benevolenza assoluti ed incondizionati. Tutte le esperienze umane sono in qualche modo assimilate in quell'unico Spirito divino con quale l'io cosciente anela a ricongiungersi: nella dimensione dello Spirito regna l'amore universale, ed ogni entità individuale si sente collegata ad ogni altra entità, senza contrasti, conflitti e divisioni di sorta. Dunque, quando l'io cosciente riesce a raggiungere la dimensione dello Spirito, il suo compito dovrebbe essere terminato, in quanto ha conseguito lo scopo della vita umana. Può darsi che dietro ogni avventura umana che determina la formazione, lo sviluppo e l'evoluzione dell'io cosciente vi sia anche uno spirito guida, inteso come emanazione dello Spirito divino, che in qualche modo cerca di aiutare l'io cosciente nel suo percorso di orientamento e di liberazione nei confronti delle dinamiche della psiche umana. Sotto questo aspetto, l'io può essere più o meno sensibile all'influenza che questo spirito guida cerca di esercitare su di esso, affinché non si identifichi completamente con le varie sintonie psichiche nelle quali viene coinvolto. Tuttavia non credo – per le ragioni che ho precedentemente esposto – che sia possibile indagare con le nostre limitate risorse di esseri umani le cause profonde che determinano la grande diversità dei nostri destini individuali in questa vita: la speranza più ragionevole è che – una volta che si sia conclusa l'avventura umana – ogni io cosciente possa essere accolto nella dimensione dello Spirito, sempre che questa sia la sua aspirazione. Nello stesso tempo, pur riconoscendo il carattere intrinsecamente bipolare della psiche umana e l'inevitabile frammentazione delle esperienze derivanti dall'associazione di ogni io con un singolo organismo, deve essere dato il giusto valore all'impegno per armonizzare per quanto possibile le diverse esperienze umane, senza però avere la pretesa – tipicamente umana – di piegare ogni cosa al proprio volere: il carattere insidioso della psiche umana, infatti, può manifestarsi non solo nel male fatto ad altri per il proprio (illusorio) vantaggio, ma anche nella presunzione ideologica di voler imporre agli altri quello che si ritiene sia il bene comune. Per quanto riguarda l'io cosciente, il significato più profondo della vita umana ed il suo stesso scopo restano quelli di raggiungere la dimensione dello Spirito, nella quale potrebbe anche ricevere tutte le risposte alle domande che si è posto in questa vita. In merito a quei casi, piuttosto rari ma ben documentati – soprattutto grazie all'assiduo impegno dello psichiatra Ian Stevenson (1918-2007) e dei suoi collaboratori, tra cui, attualmente, merita di essere citato Jim B. Tucker (n. 1960) – sulla cosiddetta reincarnazione, vorrei anzitutto osservare che le discontinuità della memoria richiedono che un ricordo del passato, affinché possa essere considerato affidabile quando emerge nella nostra mente (in altre parole, non sia uno dei falsi ricordi a cui ho fatto cenno nel paragrafo sul Problema della memoria nel post di marzo scorso), deve pur essere stato registrato da qualche parte. Nei casi in questione, ovviamente, i ricordi degli eventi e delle persone di una vita passata non possono essere stati registrati direttamente dal cervello dell'individuo che ricorda (spesso fin dalla prima infanzia), per il semplice fatto che, quando quegli eventi si verificavano, quel cervello non esisteva, e nemmeno si stava formando. Si deve dunque trattare di ricordi che, dopo esser stati registrati da qualche dispositivo a noi sconosciuto (molto probabilmente in un'altra dimensione), vengono trasmessi – per errore o per qualche altra ragione che ci sfugge – ad un nuovo cervello che si è formato qualche mese o qualche anno dopo la morte della persona alla cui vita quei ricordi appartenevano. Si tratta infatti, nei casi esaminati e documentati, di ricordi precisi riferiti ad una sola vita, di solito terminata prematuramente ed in modo brutale: non si fa mai riferimento ad una serie di vite precedenti, e soprattutto non viene mai ricordato con altrettanta chiarezza il trasferimento nella dimensione dello Spirito, né l'accettazione da parte dell'essenza spirituale dell'io cosciente di una nuova incarnazione in questa dimensione organica. A me sembra che questi presunti casi di reincarnazione siano più affini ai fenomeni medianici di incorporazione, nei quali le memorie e la stessa personalità appartenenti ad una vita umana del passato possono manifestarsi più o meno temporaneamente in un organismo vivente. Accade spesso che, man mano che col trascorrere degli anni l'io cosciente si consolida, la personalità del passato diventi sempre più evanescente, lasciando spazio alle esperienze della nuova vita ed alla conseguente evoluzione del nuovo io. Se l'io non sperimenta la dimensione dello Spirito Nei casi di arresto cardiaco, che clinicamente devono essere considerati come morti accertate dalle quali una persona può essere riportate in vita mediante le tecniche di resuscitazione che nell'ultimo mezzo secolo sono diventate sempre più efficaci, circa il 10% delle persone resuscitate ricordano di aver avuto una NDE più o meno intensa e completa, mentre il restante 90% non ricorda nulla. Attualmente, nei casi in cui le tecniche di resuscitazione sono correttamente applicate, con impegno costante e prolungato da parte del personale che le attua, il periodo di arresto cardiaco può superare le quattro ore, senza che le cellule cerebrali risultino permanentemente danneggiate, sempre che l'organismo venga adeguatamente refrigerato. È stato suggerito da qualche ricercatore che tutti potrebbero aver avuto una NDE durante il periodo di arresto cardiaco, ma solo una netta minoranza è in grado di trasferire il ricordo di quell'esperienza nel cervello, una volta che l'organismo sia ritornato in vita. Qualcosa del genere avviene per i sogni: tutti sognamo, ma alcuni sono in grado di ricordare i propri sogni molto meglio di altri. Questa spiegazione non mi sembra convincente, proprio per il carattere straordinario ed intensamente reale delle NDE riportate: sarebbe come se qualcuno non ricordasse gli episodi più importanti ed emotivamente più coinvolgenti della propria vita. Questo vorrebbe dire o che i meccanismi della memoria sono stati danneggiati, o che qualche entità – attiva nell'altra dimensione – ha avuto il potere di cancellare ogni ricordo dell'esperienza al rientro. Io ritengo invece che il fattore tempo non sia particolarmente significativo per l'attivazione del processo di trasferimento dell'io cosciente nella dimensione dello Spirito, che in qualche caso avviene quasi istantaneamente, ma in altri casi potrebbe anche verificarsi diverse ore, o giorni, misurati nel nostro tempo, dopo che la morte clinica dell'organismo ha avuto luogo. D'altra parte, il fatto stesso che in tutti i casi oggetto di studio le persone sono state sempre riportate in vita, potrebbe implicare una sospensione precognitiva di un processo che dovrebbe andare a buon fine solo al termine definitivo della vita umana. Talvolta gli sperimentatori riferiscono di aver incontrato entità che dicono loro qualcosa come: «C'è stato un errore: il tuo tempo non è ancora venuto...». Per quanto riguarda i contenuti negativi delle NDE angoscianti, è abbastanza comprensibile come il processo di liberazione dalle dinamiche mentali condizionate dalla psiche umana possa essere in qualche caso particolarmente complesso, soprattutto quando hanno il sopravvento i sensi di colpa – come può accadere alle persone che tentano il suicidio – oppure quando l'io degli sperimentatori resta invischiato in rappresentazioni mentali particolarmente penose e tormentate, senza riuscire a trovare la via per liberarsene. Non di rado queste esperienze si trasformano da negative in positive quando l'io si ricorda di invocare l'aiuto dello Spirito divino – indipendentemente dal nome con cui lo vuole chiamare o dalla forma in cui si rivolge ad esso affinché venga a salvarlo – oppure trova il coraggio di rinunciare ad un atteggiamento di orgogliosa difesa della propria autonomia, per affidarsi a quella che può essere definita come fiduciosa attesa di un intervento misericordioso. Sembra comunque che sia necessario un certo tempo – come viene percepito dal nostro punto di vista umano – affinché questo processo di trasformazione possa aver luogo, e pertanto in quei casi in cui l'esperienza si interrompe a causa del rientro nell'organismo – con un senso di sollievo da parte dell'io cosciente a cui sembra di risvegliarsi da un incubo – resta il ricordo della sola fase angosciante, che non è riuscita ad evolversi. Va tenuto conto del fatto che, mentre nella dimensione dello Spirito non operano più le dinamiche condizionate dalla bipolarità della psiche umana, nella fase di trasferimento, che può essere più o meno complessa, l'io cosciente può essere ancora intensamente coinvolto in particolari sintonie psichiche che diventano per esso reali al massimo grado: in mancanza di un'adeguata preparazione, l'io può trovarsi in serie difficoltà nell'affrontare una situazione nella quale può anche credere e sentire di essere imprigionato per l'eternità. In alcune NDE l'io riesce a sbloccare la condizione angosciante in cui si trova ed a progredire verso la dimensione dello Spirito, proprio quando comprende di essere rimasto imprigionato nei propri schemi mentali, cioè in quelle sintonie determinate dalla psiche umana che aveva acquisito nel corso della sua vita, considerandole appropriate e finendo con l'identificarsi con esse senza neanche rendersene conto. Questa è una delle ragioni per cui praticare già nel corso della vita alcune tecniche di differenziazione e di distacco dell'io cosciente dalle dinamiche psichiche che lo coinvolgono può essere utile per aiutare l'io ad orientarsi nelle esperienze che lo attendono prima del trasferimento nella dimensione dello Spirito. Sebbene il presunto senso di giustizia che ci viene suggerito dalla psiche umana ci possa indurre a credere che i malvagi – cioè coloro che consapevolmente causano sofferenze agli altri, anche per proprio tornaconto – meritino di andare incontro a patimenti infernali nell'aldilà, almeno per un certo tempo, in modo da espiare il male fatto, le NDE angoscianti non offrono elementi atti a convalidare un'interpretazione del genere. Infatti, una volta raggiunta la dimensione dello Spirito, l'amore divino che vi regna irradia comprensione, compassione e misericordia ad un livello tale che anche l'io cosciente dell'essere umano più malvagio non può non esserne profondamente toccato, mentre il viaggio che conduce alla dimensione dello Spirito può effettivamente mettere alla prova l'io cosciente, e dipende in gran parte dal suo attaccamento alle dinamiche della psiche umana con le quali si è identificato durante la vita: un sincero riconoscimento della propria debolezza ed un'invocazione di aiuto possono essere sufficienti a sbloccare una situazione difficile, mentre il concentrarsi sul proprio potere umano può mantenere l'io a lungo prigioniero di una dimensione penosa. In questo senso possiamo ritenere che lo Spirito divino lasci all'io una certa libertà nel decidere se vuole ascoltare o meno il richiamo che esso esercita, anche se resta per noi impossibile comprendere in profondità le ragioni che possono vincolare l'io cosciente – anche dopo la morte – a certe sintonie che gli sono state imposte dalla psiche umana. Sulla base di queste valutazioni, alle (limitate) capacità di comprensione della ragione umana non restano che due alternative: 1) il riconoscimento di un sostanziale dualismo tra la vita organica, soggetta ai mutamenti determinati dal trascorrere del tempo ed al controllo esercitato dalla psiche umana, e la dimensione dello Spirito, in cui tutte le esistenze si armonizzano e si fondono in un'unica sorgente di energia dalla quale irradia un amore universale; 2) la difesa di una viisione coerentemente monistica, per la quale l'unica autentica realtà è costituita dallo Spirito divino, e di conseguenza sia la vita organica che la psiche umana non sarebbero altro che manifestazioni della Maya, il cui carattere irreale ed onirico viene confermato proprio dalla loro temporalità e dalle continue mutazioni che le contraddistinguono. Tuttavia, alla luce delle esperienze a cui è soggetto l'io coscente nel periodo della sua formazione, del suo consolidamento e della sua evoluzione (cioè, durante la sua vita umana), non ritengo soddisfacente né difendibile una concezione rigorosamente monista: infatti è ovvio che, una volta raggiunta la dimensione dello Spirito, l'io cosciente possa ricordare l'esperienza umana da esso vissuta come qualcosa che non lo riguarda più, una serie di eventi lontani e perfino trasognati o irreali, ma questo distacco è determinato proprio dal fatto che esso non fa più parte della dimensione umana. Si può per questo sostenere che la dimensione umana non esista, e che questo mondo non continui ad andare avanti, trasformandosi continuamente nel bene e nel male sulla base della freccia unidirezionale del tempo? Non credo: evidentemente anche la Maya della condizione umana ha una sua necessità di esistere, e tutto quanto vi accade, in termini di bene e di male, di felicità e di sofferenza, di progresso e di decadenza, è determinato dalla sua irreale realtà. A questo punto, dunque, ci scontriamo con la difficoltà di comprendere come lo Spirito divino che permea di sé la dimensione alla quale l'io cosciente può accedere dopo la morte possa coincidere con l'energia psichica bipolare che governa i particolari destini individuali, molto diversi tra loro, che caratterizzano la condizione umana. In qualsiasi modo si voglia considerare la vita umana – per esempio, come un uovo nel quale si forma e si sviluppa un io cosciente che poi potrà accedere alla dimensione dello Spirito, oppure come una scuola in cui le esperienze sono altrettanti insegnamenti che consentono allo spirito associato all'io di perfezionarsi, o come un esame-cimento in cui lo spirito (sviluppando ogni volta un nuovo io cosciente) mette alla prova la propria capacità di confrontarsi con le dinamiche imposte dalla psiche umana, o infine come un'avventura fine a se stessa (e dunque priva di significato) destinata a terminare così come è iniziata – è evidente che se vogliamo ricondurre tutti i destini umani, così diversi tra loro, ad un'unica causa, dobbiamo concluderne che quell'unica causa è contemporaneamente operativa dentro e fuori di noi: dunque sta, in un certo senso, manifestandosi per sperimentare se stessa. È ben comprensibile come nella dimensione dello Spirito il carattere unipolare dell'amore divino sia in grado di accogliere, di perdonare e di redimere ogni scintilla di coscienza che sia stata capace di raggiungere quella dimensione, dopo esser stata immersa per un certo tempo nel campo bipolare della psiche umana, più o meno attratta dall'una o dall'altra polarità. È anche comprensibile come l'esistenza temporanea nella dimensione umana possa essere necessaria per la formazione e per l'evoluzione dell'io cosciente, in funzione del suo trasferimento nella dimensione dello Spirito. Più difficile da comprendere, almeno per me, sono le ragioni per cui uno spirito che si trovi già nella dimensione ad esso più congeniale dovrebbe acconsentire a sperimentare di nuovo la condizione umana, mediante la formazione di un nuovo io cosciente e la cancellazione di ogni ricordo della sua esistenza spirituale. L'unica ragione che mi sembra, almeno in parte, plausibile è che uno spirito, in quanto emanazione dello Spirito divino, accetti di vivere di nuovo come organismo cosciente per svolgere una missione esplorativa, conoscitiva o operativa, nell'ambito di una dimensione che tuttavia resta pur sempre aliena rispetto a quella dello Spirito. Ma, come ho già detto, bisogna sempre fare i conti con i limiti che la ragione umana ci impone. Esperienze con sostanze psichedeliche Alcuni anni fa avevo esaminato, nella pagina sulle Esperienze indotte da sostanze psicotrope, gli effetti di carattere spirituale determinati dall'assunzione di sostanze psichedeliche – in particolare dalla psilocibina – mettendoli a confronto con le NDE. Dalla fine del secolo scorso, alcuni ricercatori hanno ripreso le indagini sulle esperienze mentali determinate da alcune sostanze (tra cui la DMT e la ketamina), superando non poche difficoltà di carattere legale, amministrativo ed organizzativo. Dato che nel frattempo anche la letteratura sulle NDE si è notevolmente arricchita, mi sembra opportuno riesaminare le differenze e le eventuali analogie tra queste esperienze, e correggere in parte alcune delle conclusioni a cui ero allora pervenuto. Una ricerca significativa fu condotta dal Dr. Rick J. Strassman dal 1991 al 1995 presso l'Università del New Mexico ad Albuquerque, iniettando in vena dosi anche elevate di DMT a sessanta volontari. Le modalità della ricerca, le testimonianze delle esperienze e le valutazioni dei risultati sono riportate nel libro DMT - La molecola dello Spirito, pubblicato da Strassman nel 2001 (nel 2015 la versione italiana). Il particolare interesse di Strassman nei confronti della DMT era determinato dal fatto che questa sostanza è naturalmente presente nell'organismo umano – oltre che nella maggior parte degli organismi animali e vegetali – e dunque può essere considerata uno psichedelico endogeno: nel 1972 il biochimico americano Julius Axelrod (Nobel per la medicina nel 1970) ne individuò la presenza nel tessuto cerebrale, e da allora gli scienziati cercano di comprendere come venga prodotta. È stato ipotizzato (anche da Strassman) che l'epìfisi, la ghiandola pineale di Cartesio, la possa produrre in particolari circostanze, soprattutto – in piccole qualtità – nelle ore della notte in cui si sogna più intensamente, ma quest'ipotesi non ha trovato fino ad oggi convalide definitive. La DMT (N,N-dimetiltriptamina) è una triptamina che presenta analogie, per la sua formula molecolare e la struttura, con il neurotrasmettitore serotonina, con la melatonina (prodotta dall'epìfisi), e con altre triptamine psichedeliche come la psilocibina, la psilocina e la bufotenina, tutte derivate dall'aminoacido triptofano, caratterizzato dalla presenza di un anello benzenico associato ad un anello pirrolico. Secondo Strassman ed altri ricercatori, la DMT influisce sui siti recettori della serotonina quasi allo stesso modo dell'LSD, della psilocibina e della mescalina. All'interno del cervello alcuni siti, coinvolti nei processi dell'umore, delle percezioni e del pensiero, sono particolarmente ricchi di recettori di serotonina, e di conseguenza risultano sensibili alla DMT. Strassman è particolarmente incuriosito dal fatto che, diversamente da quanto accade per altre sostanze psichedeliche, moderate quantità di DMT vengono prodotte dall'organismo umano: nel domandarsi quale ne sia il motivo, avanza l'ipotesi che la DMT possa essere considerata come la molecola dello spirito, cioè quel neurotrasmettitore che consente all'io cosciente di accedere ad esperienze spirituali di vario genere. Nel raccomandare a coloro che fossero interessati ad approfondire l'argomento la lettura del libro di Strassman e di vari articoli dedicati alla relazione tra le sostanze psichedeliche e le esperienze paranormali (per esempio quelli scritti da David Luke, professore associato di psicologia all'Università di Greenwich), vorrei fare alcune considerazioni preliminari sulle differenze sostanziali tra le esperienze indotte dall'assunzione di sostanze psichedeliche e le NDE, soprattutto quando queste ultime si verificano in condizioni di arresto cardiaco. Anzitutto, è opportuno ricordare che l'assunzione di una sostanza psichedelica è quasi sempre un atto che l'io esegue intenzionalmente, e dal quale si attende certe conseguenze in termini di sperimentazione psichica, talvolta con finalità esplorative e conoscitive, ma più spesso con uno scopo ricreativo, che rientra tra le dinamiche con cui la psiche umana coinvolge ed assoggetta l'io cosciente. In ogni caso, quando la droga entra in azione nel cervello, i circuiti di quest'ultimo sono attivi e funzionanti in uno stato di coscienza vigile, che si trasforma in stato di coscienza non ordinario per effetto dei neurotrasmettitori contenuti nella sostanza assunta: il processo di alterazione è ben percepito dall'io, il quale – al di là degli effetti euforizzanti o angoscianti determinati dalle sintonie psichiche che sta sperimentando – è cosciente del fatto che la sua mente sta determinando uno stato di realtà non ordinaria nel quale si trova immerso. Nella maggior parte delle NDE, invece, l'io percepisce il proprio stato di coscienza come normale, direi quasi come indistinguibile dallo stato ordinario di veglia, e gli elementi anomali di ciò che sperimenta – tra i quali, per esempio, il fatto di essere separato dal proprio organismo fisico e di non provare più alcun dolore – sono oggetto di meravigliata riflessione, e spesso inducono l'io a pervenire deduttivamente alla conclusione di essere morto. Lo stato di lucidità mentale e la qualità della coscienza nel corso delle NDE mi sembrano, in linea di massima, molto diversi da quelli sperimentati sotto l'effetto delle sostanze psichedeliche: ovviamente, trattandosi in ogni caso di esperienze soggettive, non è corretto darne un'interpretazione generalizzata. Penso tuttavia che siano particolarmente interessanti alcuni casi di NDE che si sono verificate in condizione di arresto cardiaco conseguente ad overdose, nelle quali lo stato di coscienza sperimentato dall'io, lucido e sereno, era molto diverso da quello – alterato, caotico e destabilizzante – causato dalla presenza nel cervello di sostanze presumibilmente ancora attive nel periodo in cui l'esperienza aveva luogo. Queste sostanziali differenze con lo stato di coscienza delle NDE si riscontrano anche nelle esperienze sotto l'effetto di DMT riportate nel libro del Dr. Strassman, come l'autore stesso non manca di evidenziare. A proposito della definizione della DMT – o di altre sostanze psichedeliche con effetti analoghi – come molecola dello spirito, è necessario considerare la differenza sostanziale che esiste tra un funzionamento mentale determinato dalla connessione con una dimensione diversa da quella fisica – che può produrre effetti anche fisici in un organo così complesso come il cervello umano – e le esperienze psichiche in cui l'io cosciente viene coinvolto mediante alchimie empiriche (prive di adeguati approfondimenti conoscitivi) fondate sull'immissione di determinate sostanze nei circuiti cerebrali. È ingenuo credere che la complessità dei processi mentali in cui viene coinvolto l'io cosciente durante un'esperienza nella dimensione dello Spirito possa essere ricondotta alle sole alterazioni elettrochimiche dei circuiti cerebrali, ricercando – senza successo – il giusto cocktail ed il dosaggio delle sostanze necessarie a riprodurre determinate esperienze. In effetti, qualsiasi esperto psiconauta sa bene che la componente soggettiva dello stato mentale dell'io cosciente ha un ruolo fondamentale nel determinare l'esito dell'esperienza: avviene non di rado che una sola NDE determini un cambiamento radicale e permanente nell'orientamento nei confronti della vita dell'io dello sperimentatore, il quale non sente poi alcun bisogno di assumere sostanze psichedeliche, mentre coloro che fanno uso di tali sostanze ai fini di una presunta ricerca spirituale sono spinti ad assumerle di frequente ed a sperimentarne diverse. Si tratta di un orientamento che viene distorto proprio dalla dimensione organica in cui viviamo: un autentico richiamo dello Spirito sollecita invece l'io cosciente a rendere la mente il più possibile lucida e chiara, liberandola dalle contaminazioni determinate dal funzionamento dell'organismo e dalle dinamiche psichiche che ne derivano. Procedere al contrario, pensando che si possa accedere alla dimensione dello Spirito mediante esperimenti organici sostanzialmente empirici e talvolta pericolosi, mi sembra illusorio, azzardato e concettualmente errato. Nessuno di coloro che hanno sperimentato una NDE intensa, complessa e significativa, era consapevolmente intenzionato a voler avere un'esperienza di tipo spirituale. Il fatto che vi possano essere delle analogie tra alcuni aspetti delle esperienze indotte da sostanze psichedeliche ed alcuni aspetti delle NDE è comprensibile, in quanto in entrambi i casi vengono meno quelle condizioni che vincolano l'attività mentale al funzionamento dell'organismo. Inoltre, come ho più volte evidenziato, non per tutte le NDE il trasferimento nella dimensione dello Spirito avviene in modo armonioso e privo di elementi negativi, ed in qualche caso l'io dello sperimentatore si trova ricollegato al proprio organismo senza aver avuto accesso a quella dimensione. Vorrei ancora una volta sottolineare che io mi riferisco alla dimensione dello Spirito come a quella condizione nella quale l'io cosciente sperimenta la presenza di un'entità da cui irradia un amore assoluto, incondizionato e diretto verso l'io, che lo accoglie e dal quale esso si sente intensamente attratto, al punto dal non provare più alcun altro desiderio o bisogno se non quello di poter dimorare per sempre in quella dimensione, alla quale sente di appartenere per la sua stessa autentica essenza. Quest'intensa esperienza della realtà della dimensione dello Spirito viene riportata, in modo molto preciso e coerente, in circa la metà delle NDE di cui abbiamo una testimonianza. In alcuni casi l'accesso alla dimensione dello Spirito è preceduto da una serie di esperienze mentali, tra cui la percezione esterna del proprio corpo (OBE), la visione di luoghi reali o immaginari e di persone conosciute o ignote, o l'interazione con entità maligne e tormentanti: questi vagabondaggi in dimensioni psichiche che l'io cosciente percepisce come reali sono caratteristici delle esperienze psichedeliche, nel corso delle quali l'io deve esplorare qualsiasi sintonia mentale nella quale può venire coinvolto, spesso senza avere la possibilità di controllare e dirigere intenzionalmente l'evoluzione di tali esperienze. Un altro libro molto interessante sulle esperienze psichedeliche indotte dalla ketamina è Ketamine: Dreams and Realities (Ketamina: Sogni e realtà), scritto dallo psichiatra inglese Karl Jansen e pubblicato nel 2000 dalla Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies (www.maps.org). La ketamina è un farmaco anestetico di breve durata (meno di mezz'ora) la cui molecola ha una struttura diversa da quella delle triptamine o della mescalina, ma meno complessa rispetto all'LSD. A dosi di circa un quarto rispetto a quella necessaria per ottenere un effetto anestetizzante, produce esperienze psichedeliche – a volte positive ed altre negative – di cui il libro di Jansen offre un'ampia documentazione. Poiché alcuni degli effetti psichedelici prodotti dalla ketamina presentano delle analogie con certi aspetti delle NDE (per esempio il viaggio all'interno di un tunnel, la luce, la percezione di un'entità divina o l'identificazione con Dio o col cosmo), alcuni ricercatori hanno avanzato l'ipotesi che le NDE possano essere causate dalla presenza di ketamina nel cervello degli sperimentatori. Tuttavia, a differenza della DMT, la ketamina non viene prodotta dall'organismo umano, e non viene di solito utilizzata come anestetico chirurgico a causa della breve durata del suo effetto anestetizzante, ma dato che la sua azione è molto rapida, viene talvolta utilizzata come anestetico preliminare prima della somministrazione dell'anestetico primario. Comunque, per quanto riguarda le NDE, va ricordato che in tutti i casi di rianimazione in conseguenza di arresto cardiaco il paziente non viene anestetizzato, e dunque non gli viene somministrata ketamina, anche se non è escluso che l'organismo umano possa produrre altre sostanze con struttura molecolare simile a quella della ketamina per preservare più a lungo l'integrità del sistema nervoso in condizioni di anossia. Il capitolo 4 del libro di Jansen è dedicato alle analogie tra le NDE e le esperienze indotte dalla ketamina: il libro è stato scritto oltre vent'anni fa, e da allora i report e le ricerche sulle NDE – grazie soprattutto all'impegno dello IANDS – ci consentono di avere un quadro conoscitivo più soddisfacente. Di fronte all'obiezione che le esperienze con la ketamina possono essere non di rado sgradevoli e talvolta terrificanti, Jansen afferma non solo che anche alcune NDE possono essere angoscianti (il che è vero), ma anche che coloro che hanno avuto una NDE angosciante sono poi restii a parlarne, perché preferiscono rimuoverla dalla memoria: questa è una supposizione per la quale mancano prove. Le testimonianze delle molte migliaia di casi di cui oggi disponiamo ci mostrano che le NDE che restano al livello angosciante per tutta la loro durata sono meno del 10%, mentre – per quanto se ne può sapere – la percentuale di esperienze negative indotte dalla ketamina è molto maggiore. Quando poi Jansen mette in risalto le analogie tra alcune esperienze indotte dalla ketamina e le NDE, non prende in considerazione quella percezione, da parte dell'io cosciente, di essere accolto e pervaso da un amore infinito, assoluto ed incondizionato emanante da un'entità divina, che costituisce il nucleo di molte NDE, ma di cui non si trova traccia nelle esperienze raccolte dall'autore tra coloro che hanno fatto uso di ketamina. Esaminando bene, nel loro complesso, le migliaia di testimonianze di NDE di cui oggi disponiamo, ed in particolare quelle che si sono verificate in condizioni critiche per l'organismo, si ha l'impressione che alcuni ricercatori, pur impegnandosi in un'attività di indagine e di informazione di notevole interesse in merito agli effetti delle sostanze psichedeliche, vogliano poi concludere in modo affrettato che qualsiasi esperienza spirituale debba essere necessariamente collegata ad un'alchimia cerebrale: il che potrebbe anche essere vero, ma tanto poco conosciamo del funzionamento del cervello – soprattutto come sintonizzatore delle esperienze psichiche – che questa o quell'ipotesi sul cocktail di sostanze necessario per ottenere una certa esperienza spirituale non ci è di nessun aiuto, sotto il profilo conoscitivo, per la comprensione del significato dell'esperienza stessa.
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