NDE di Howard Storm

 

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Una NDE che modificò radicalmente le sintonie della psiche del protagonista

L'inizio di questa NDE presenta tutte le caratteristiche delle esperienze angoscianti, per evolversi poi in una classica NDE positiva e luminosa. Per sua stessa ammissione, Howard Storm, insegnante d'arte all'Università del Kentucky, non era una persona molto gradevole. Ateo dichiarato, ostile a qualsiasi forma di religione ed a coloro che la praticavano, spesso usava la collera per controllare gli altri. Non credeva in nulla che non potesse essere visto, toccato o sentito con i sensi. Era certo che il mondo materiale rappresentasse tutto ciò che potesse esistere, e considerava i sistemi di fede associati alle religioni come fantasie utilizzate dalle persone per autoingannarsi. Al di là di ciò che diceva la scienza, non ci poteva essere altro. Nel giugno 1985, all'età di 38 anni, Storm ebbe una NDE in conseguenza di una perforazione allo stomaco, e la sua vita cambiò per sempre. Questo cambiamento fu così radicale da indurlo a dare le dimissioni dalla sua attività di professore ed a dedicarsi allo studio della teologia presso un seminario, fino a diventare pastore della United Church of Christ. Il racconto che segue è tratto dal suo libro My Descent into Death.

Un adescamento verso l'inferno

(Howard Storm era in intensa agonia e stava morendo). Nello sforzo di dire addio a mia moglie, stavo lottando con le mie emozioni. Averle detto che l'amavo tanto era l'ultimo saluto che ero riuscito a darle a causa della mia angoscia emotiva. Rilassandomi in qualche modo e chiudendo gli occhi restai in attesa della fine. Sentivo che si approssimava: ecco il grande nulla, il grande blackout, quello da cui non mi sarei più risvegliato, la fine dell'esistenza. Avevo l'assoluta certezza che non vi fosse nulla al di là di questa vita, perché era così che la pensavano le persone realmente intelligenti. Mentre mi trovavo in questo stato di tensione, non mi passò mai per la mente l'idea di pregare, o cose del genere. Se mai pensai al nome di Dio, fu solo con intento blasfemo. Per qualche tempo restai in uno stato di incoscienza o di sonno. Non sono sicuro di quanto sia durato, ma mi sentivo davvero strano, così aprii gli occhi. Con mia sorpresa mi ritrovai in piedi accanto al letto, mentre guardavo il mio corpo disteso davanti a me. La mia prima reazione fu: «È pazzesco! Non posso star qui a guardare me stesso. È impossibile». Non era ciò che mi aspettavo, non era vero. Come mai ero ancora vivo? Io volevo l'oblio, ed adesso stavo osservando qualcosa che era il mio corpo, e non riuscivo a raccapezzarmi.     

Non potendo sapere cosa stava succedendo, cominciai a preoccuparmi. Mi misi a gridare e ad urlare verso mia moglie, che però non si mosse, continuando a star seduta come impietrita. Non mi guardava, non si muoveva, mentre io continuavo ad urlare frasi blasfeme per attirare la sua attenzione. Confuso, preoccupato ed arrabbiato, cercai di farmi notare dal mio compagno di stanza, con lo stesso risultato: non reagì per niente. Volevo credere che si trattasse solo di un sogno, e continuavo a ripetermi: «Dev'essere solo un sogno». Ma sapevo che non era un sogno. Ero consapevole che, per quanto strano potesse sembrare, mi sentivo più sveglio, più cosciente e più vivo di quanto non fossi mai stato in tutta la mia vita. Tutti i miei sensi erano estremamente acuti. Ogni cosa era vibrante e viva. Il pavimento era freddo e sentivo i miei piedi nudi umidi per il sudore. Questo era reale. Strinsi i pugni e mi meravigliai di quanta sensibilità avessi nelle mie mani semplicemente chiudendole a pugno.      

Poi sentii il mio nome pronunciato da qualcuno che mi stava chiamando: «Howard, Howard, vieni qui». Mi chiesi da dove provenisse il richiamo, e scoprii che veniva da oltre la porta della stanza. C'erano diverse voci che mi chiamavano. Domandai chi erano, e dissero: «Siamo qui per prenderci cura di te. Ti rimetteremo a posto. Vieni con noi». Interrogandomi ancora su chi fossero, domandai loro se erano medici o infermiere. Risposero: «Presto, vieni a vedere, e lo scoprirai». Quando facevo loro delle domande, mi davano risposte evasive. Continuavano a trasmettermi un senso di urgenza, insistendo affinché andassi oltre la porta. Con una certa riluttanza, avanzai nel corridoio, e lì mi ritrovai in una nebbia, come una foschia leggermente colorata, non densa. Potevo vedere la mia mano, per esempio, ma quelli che mi chiamavano erano 5 o 6 metri più avanti, e non riuscivo a distinguerli chiaramente. Sembravano delle silhouettes o delle sagome, e quando andavo verso di loro si ritraevano nella foschia. Quando provai ad avvicinarmi per identificarli, penetrarono rapidamente nella nebbia. Così anch'io li seguivo addentrandomi sempre più nella foschia. Queste strane creature continuavano a sollecitarmi affinché andassi con loro. Più volte chiesi dove fossimo diretti, e rispondevano: «Avanti, coraggio, lo scoprirai da te». Non rispondevano a nessuna domanda, e l'unica risposta che mi davano era di affrettarmi a seguirli. Mi dessero più volte che il mio dolore era senza senso e non necessario: «Il dolore è un'idiozia», dicevano.      

Sapevo che avevamo percorso chilometri, ma di quando in quando avevo la strana capacità di voltarmi indietro e di vedere la camera dell'ospedale. Il mio corpo era ancora là, immobile nel letto. Era come se stessi fluttuando al di sopra della stanza, guardando verso il basso. Mi sembrava di essere a milioni di chilometri di distanza. Guardando giù nella stanza, vidi mia moglie ed il mio vicino di letto, e decisi che, siccome essi non erano stati in grado di aiutarmi, sarei andato con quelli che mi chiamavano. Dopo aver percorso quella che mi sembrava una considerevole distanza, questi esseri mi furono tutt'intorno. Mi stavano conducendo attraverso la nebbia, non saprei dire per quanto tempo. Sulle prime sembravano piuttosto giocosi ed allegri, ma dopo qualche tempo alcuni cominciarono a comportarsi in modo aggressivo. Più io mi mostravo inquisitivo e sospettoso, più essi diventavano rudi, scontrosi ed autoritari. Cominciarono a scherzare sul mio sedere nudo, che la camicia dell'ospedale non riusciva a coprire, e su quanto fossi patetico. Sapevo che stavano parlando di me, ma se cercavo di scoprire di cosa esattamente stessero parlando cominciavano a dire: «Silenzio, può sentirti, può sentirti». Inoltre, gli altri sembravano mettere in guardia quelli più aggressivi. Mi sembrava di riuscire a sentirli avvisare gli aggressivi di stare attenti, altrimenti mi sarei spaventato e sarei scappato via.       

Chiedendomi cosa stesse accadendo continuai a porre domande, ed essi mi sollecitavano sempre più ad affrettarmi ed a smetterla di far domande. Sentendomi a disagio, specialmente di fronte alla loro aggressività, pensai di tornare indietro, ma non sapevo ritrovare la strada: mi ero perso. Non vi erano segnali di sorta cui fare riferimento. Non c'era altro che la nebbia intorno a me ed il terreno umido e fangoso sotto i miei piedi, ed io non riuscivo ad orientarmi. Tutte le mie comunicazioni con quegli esseri si svolgevano a parole, proprio come quelle tra gli esseri umani. Non sembrava che potessero conoscere i miei pensieri, né io conoscevo i loro. Era sempre più evidente che si trattava di bugiardi, e più stavo con loro più le mie speranze di ricevere aiuto diminuivano. Ore prima avevo sperato di morire e di por fine al tormento della vita. Adesso le cose andavano anche peggio, costretto com'ero da quella folla di creature ostili e crudeli ad andare verso un'ignota destinazione nelle tenebre. Essi cominciarono a gridare e ad insultarmi, spingendomi a fare più in fretta, e rifiutarono di rispondere alle mie domande. Alla fine, dissi loro che non sarei più andato avanti. Diventarono allora molto più aggressivi, insistendo che dovevo andare con loro. Un certo numero di loro cominciò a spingermi e ad urtarmi, ed in risposta io reagii. Ne seguì un tumulto selvaggio di insulti, grida e percosse: io lottai come un ossesso, e nello stesso tempo era ovvio che loro si stavano divertendo. Sembrava che per loro fosse una specie di gioco, e che io fossi il pezzo forte del loro divertimento: la mia pena diventava il loro piacere. Sembrava che mi volessero far del male, mordendomi e graffiandomi, e non appena riuscivo a liberarmi di uno, altri cinque mi assalivano.      

A quel punto si era fatto quasi completamente buio, e mi sembrava che invece di venti o trenta, quegli esseri fossero diventati un'orda. Ognuno sembrava pronto a farsi avanti per il piacere di farmi del male. I miei tentativi di reagire provocavano solo una maggiore allegria. Cominciarono ad umiliarmi fisicamente nei modi più degradanti. Mentre io continuavo a battermi, mi rendevo conto che non avevano alcuna fretta di farla finita con me. Stavano giocando come il gatto col topo. Ogni nuovo assalto era annunciato da ululati stridenti. Ad un certo punto cominciarono a strappare brandelli della mia carne. Con orrore compresi che mi stavano facendo a pezzi e divorando vivo, lentamente, in modo che il loro divertimento potesse durare il più a lungo possibile. In nessun momento ebbi la sensazione che gli esseri che mi avevano ingannato ed attaccato fossero altro che esseri umani. Il modo migliore nel quale li posso descrivere è pensare alla peggiore persona che si possa immaginare spogliata di qualsiasi impulso a fare il bene. Alcuni di loro sembravano in grado di dire agli altri cosa fare, ma non riuscii a scorgere alcuna struttura gerarchica o organizzativa al loro interno. Non sembravano controllati o diretti da nessuno. In definitiva erano un'orda di esseri totalmente in balìa di incontrollabili crudeltà e passioni. Nel corso della nostra lotta mi accorsi che non sentivano alcun dolore. A parte questo, non mi sembrava che possedessero alcuna speciale abilità extraumana o superumana. Sebbene durante il mio iniziale approccio avessi dato per scontato che fossero vestiti, durante i nostri contatti fisici non incontrai vestiti di sorta.       

Sconfitta e rassegnazione

Dopo aver combattuto a lungo e duramente, alla fine ero esausto. Mentre giacevo senza forze in mezzo a loro, cominciarono a calmarsi, dato che non rappresentavo più quel sollazzo di prima. La maggior parte di quelle creature si ritirò delusa per il fatto che non li divertissi più, ma alcuni continuavano a punzecchiarmi e ad irritarmi, e mi prendevano in giro perché non ero più divertente. A questo punto ero stato sconfitto. Di quando in quando mi colpivano ancora, ma io ero a pezzi, incapace di opporre resistenza. Ciò che accadde esattamente fu… non tenterò nemmeno di spiegarlo: dentro di me sentii una voce, la mia voce, dire «Prega Dio». La mia mente rispose: «Io non prego, non so nemmeno pregare». Giacevo a terra nell'oscurità, circondato da dozzine se non centinaia di creature malefiche che mi avevano appena fatto a pezzi. La situazione sembrava del tutto senza via di scampo, ed io non avevo alcuna speranza di ricevere aiuto, credessi o meno in Dio. La voce di nuovo mi disse di pregare Dio. Era un bel dilemma dato che non sapevo come pregare. Per la terza volta la voce mi disse di pregare. Allora cominciai a dire cose come «Il Signore è il mio pastore, ed io non voglio… Dio benedica l'America» ed altre cose del genere che mi sembrava avessero qualche connotazione religiosa.         

Tutte quelle creature cominciarono ad agitarsi freneticamente, come se avessi versato su di loro dell'olio bollente. Cominciarono a gridare e a dare in escandescenze nei miei confronti, dicendo di smetterla, che non c'era alcun Dio, e nessuno che potesse ascoltarmi. Mentre gridavano ed urlavano oscenità, cominciarono ad indietreggiare e ad allontanarsi da me, come se fossi velenoso. Mentre si ritiravano, diventavano ancor più rabbiosi, maledicendomi e gridando che quel che dicevo non aveva alcun valore e che io ero un vigliacco. Allora gridai verso di loro: «Padre nostro, che sei nei cieli», e frasi del genere. Questo continuò per qualche tempo finché, d'improvviso, mi accorsi che se n'erano andati. Era buio, ed io ero lì da solo, gridando cose che sapevano di chiesa. Fu per me una gradita sorpresa vedere che queste frasi avevano avuto la meglio su quelle orribili creature. Dopo aver giaciuto lì a lungo, ero in un tale stato di disperazione, di angoscia e di oscurità, che non avevo la minima idea di quanto tempo fosse trascorso. Giacevo semplicemente in quel luogo sconosciuto, dopo esser stato sbranato e fatto a pezzi. Non avevo un briciolo di forza: le forze mi avevano abbandonato. Sembrava come se fossi in uno stato di dissolvenza, che qualsiasi sforzo da parte mia avrebbe drenato completamente le mie energie. La mia consapevolezza mi diceva che stavo morendo, o affondando nelle tenebre.      

Salvato da un essere di luce e di amore

Non sapevo nemmeno se ero al mondo. Ma sapevo di esserci. Ero reale: tutti i miei sensi funzionavano troppo dolorosamente bene. Non sapevo com'ero arrivato laggiù. Non c'era nessuna direzione da seguire, quand'anche fossi stato in grado di muovermi fisicamente. L'agonia che avevo sofferto durante il giorno (all'ospedale) non era nulla paragonata a quello che stavo provando adesso. Ora capivo che quella era la fine assoluta della mia esistenza, e mi sembrava più orribile di qualsiasi cosa avessi mai potuto immaginare. Ma poi accadde un fatto sconcertante: udii molto chiaramente, recitato dalla mia voce, qualcosa che avevo appreso da bambino alla scuola domenicale. Era quella canzoncina «Gesù mi ama, sì lo so…» che veniva ripetuta. Non so perché, ma d'improvviso mi venne voglia di crederci. Non essendomi rimasto nient'altro, volevo aggrapparmi a quel pensiero, e così, dentro di me, gridai: «Gesù, per favore, salvami». Fu un pensiero gridato con ogni residua oncia di forza e di sentimento che ancora mi restava. Allora vidi, laggiù da qualche parte nelle tenebre, una minuscola stellina. Non sapendo cosa fosse, immaginai che si trattasse di una cometa o di una meteora, dato che si muoveva rapidamente. Poi compresi che si dirigeva verso di me, diventando rapidamente sempre più brillante. Quando mi fu vicina, la luce si riversò su di me, ed io mi alzai senza alcuno sforzo, come se fossi tirato su. Allora potei vedere senza alcun dubbio che tutte le mie ferite, tutte le mie lacrime, tutte le mie fratture erano svanite. Ed in quello splendore io tornai intero. Quello che feci fu scoppiare in un pianto dirotto. E piangevo non perché mi sentissi triste, ma perché sentivo in me cose che non avevo mai sentito prima nella mia vita.      

Accadde un'altra cosa: d'improvviso conoscevo un intero nucleo di cose. Le sapevo… sapevo che quella luce radiosa mi conosceva. Non so come spiegarvi il fatto che sapevo che mi conosceva: lo sapevo e basta. Senza dubbio, sapevo che mi conosceva meglio di mia madre e di mio padre. L'entità luminosa che mi abbracciava mi conosceva nell'intimo e cominciò a comunicarmi un formidabile senso di conoscenza. Sapevo che conosceva tutto di me e che ero incondizionatamente amato ed accettato. La luce mi comunicava che mi amava in un modo che non posso neanche tentare di esprimere. Mi amava di una qualità di amore che non avrei neanche immaginato potesse esistere. Era un campo intenso di energia radiante di splendore indescrivibile, in cui si riconoscevano solo bontà ed amore. C'era più amore di quanto non riuscissi ad immaginare.       

Capivo che questo essere radiante era pieno di potere. Mi faceva sentire benissimo in ogni senso. Potevo sentire la sua luce su di me, come se delle mani molto gentili mi circondassero. Potevo sentire che mi sosteneva, ma soprattutto mi amava di un amore straboccante. Dopo tutto quello che avevo passato, l'essere completamente conosciuto, accettato ed amato intensamente da questo essere di luce andava oltre qualsiasi cosa io avessi mai conosciuto o potuto immaginare. Cominciai a piangere e le lacrime continuavano a sgorgare sempre più copiose. E noi, io e l'essere di luce, cominciammo a salire allontanandoci da quel luogo. Andavamo sempre più veloci, uscendo dall'oscurità. Abbracciato dalla luce, sentendomi magnificamente e piangendo, cominciai a scorgere in lontananza qualcosa che somigliava alla fotografia di una galassia, sebbene fosse più grande e contenesse più stelle di quante se ne possono vedere dalla Terra. Al centro c'era un grande splendore, una concentrazione di luce enormemente brillante. All'esterno del centro milioni di sfere di luce fluttuavano, entrando ed uscendo da quella che era la grande presenza nel centro. Tutto avveniva in lontananza.    

Timore e speranza

Allora… non che lo dicessi a parole, ma col pensiero io dissi: «Riportami indietro». Ciò che intendevo, dicendo alla luce di riportarmi indietro, era di riportarmi nel pozzo oscuro dal quale ero stato salvato. Mi vergognavo talmente di ciò che ero, e di quello che ero stato per tutta la vita, che tutto ciò che volevo era nascondermi nell'oscurità. Non volevo più andare oltre verso la luce: cioè lo desideravo, e nello stesso tempo non lo volevo. Quante volte nella mia vita avevo negato e ridicolizzato la realtà che ora era davanti a me, e quante migliaia di volte l'avevo usata come un'imprecazione! Quale incredibile arroganza dell'intelletto usare quel nome come un insulto! Avevo timore di avvicinarmi. Ero inoltre consapevole che l'incredibile intensità delle emanazioni potesse disintegrare quello che ancora stavo sperimentando come l'integrità del mio corpo fisico.      

L'essere che mi stava sostenendo, il mio amico (lo chiamerò così d'ora in avanti), conosceva la mia paura, la mia riluttanza e la mia vergogna. Per la prima volta parlò alla mia mente con una voce maschile, e disse che se non mi sentivo a mio agio non era necessario che ci avvicinassimo di più. Così ci fermammo lì dove eravamo, ancora lontani innumerevoli chilometri dal grande Essere. Per la prima volta il mio amico mi disse: «Tu appartieni a questo luogo». Di fronte a tutto quello splendore divenni acutamente consapevole della mia misera condizione. La mia risposta fu: «No, dev'esserci un errore, rimandami indietro». E lui disse: «Noi non facciamo errori. Questo è il tuo posto». Allora lanciò un richiamo con un tono di voce musicale verso le entità luminose che circondavano il grande centro. Molte accorsero e si posero in cerchio attorno a noi. Nel periodo seguente alcune andavano e venivano, ma in genere cinque o sei, ed in certi casi anche otto, restavano sempre accanto a noi. Io continuavo a piangere. Una delle prime cose che questi esseri meravigliosi fecero fu di chiedermi, sempre col pensiero: «Hai paura di noi?». Dissi loro di no. Essi dissero che potevano ridurre la loro luminosità in modo da apparirmi come persone, ed io risposi di restare così com'erano. Essi erano così belli, così…      

La gloria del colore

Per inciso, io sono un artista, e so che ci sono tre colori primari, tre colori composti e sei colori derivati nello spettro della luce visibile. In quel luogo, io stavo vedendo uno spettro di luce con almeno 80 nuovi colori primari. Ne percepivo anche lo splendore. È frustrante per me tentare di descriverlo, perché non ci riesco: c'erano colori che non avevo mai visto prima. Ciò che quegli esseri mi mostravano era la loro gloria. Non stavo guardando direttamente la loro essenza, e ne ero perfettamente contento. Poiché provenivo da un mondo di forme e figure, ero deliziato da questo nuovo mondo senza forme. Gli esseri mi stavano dando ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Con mia sorpresa, ed anche con un senso di disagio, mi accorsi che sembravano capaci di conoscere qualsiasi cosa stessi pensando. Non sapevo se sarei stato in grado di controllare i miei pensieri e di mantenere segreto qualcosa.      

Iniziammo a cimentarci nello scambio dei pensieri, in una conversazione che procedeva in modo molto naturale, semplice e casuale. Udivo la voce di ciascuno di loro con molta chiarezza. Ognuno aveva una distinta personalità con la propria voce, ma parlavano direttamente alla mia mente, non alle mie orecchie. Ed usavano la normale lingua inglese in forma colloquiale. Qualsiasi cosa pensassi, la sapevano. Tutti loro sembravano conoscermi e capirmi molto bene, ed avevano piena familiarità con i miei pensieri e col mio passato. Non sentivo alcun desiderio di chiedere di qualcuno che avessi conosciuto, perché tutti loro mi conoscevano. Nessuno avrebbe potuto conoscermi meglio. Non mi passò nemmeno per la mente di tentare di identificarli come mio zio o mio nonno. Era come se voi vi trovaste ad un grande raduno di parenti per Natale, senza essere in grado di ricordare i loro nomi o con chi sono sposati o in che relazione di parentela sono con voi. Nonostante ciò, sapete di essere con la vostra famiglia. Io non sapevo se essi fossero o meno miei parenti, ma sentivo che erano più vicini a me di chiunque altro avessi mai conosciuto.        

Durante la mia conversazione con gli esseri luminosi, che si protrasse per quello che mi sembrò un tempo lunghissimo, io ero fisicamente sostenuto dall'essere di luce nel quale ero stato avvolto. Eravamo in un certo senso completamente fermi, sebbene fossimo sospesi nello spazio. Ovunque intorno a noi c'erano innumerevoli esseri radiosi. come stelle nel cielo, che andavano e venivano. Era come un super ingrandimento di una galassia piena zeppa di stelle, e il gigantesco splendore del suo centro era così densamente fitto che i singoli individui non potevano essere distinti l'uno dall'altro. Le loro entità erano in tale armonia col creatore da sembrare in realtà una cosa sola. Mi fu detto che una delle ragioni per cui tutti quegli innumerevoli esseri dovevano tornare indietro alla loro sorgente era di essere rinvigoriti da questo senso di armonia e di unificazione. Restare lontano troppo a lungo li indeboliva e li faceva sentire separati. Il piacere più grande era costituito dal tornare alla sorgente di ogni vita. 

La revisione della vita

La nostra conversazione iniziale comportava che essi semplicemente cercassero di confortarmi. Una cosa che mi dava fastidio era il fatto di essere nudo. Da qualche parte nell'oscurità avevo perduto il mio camice ospedaliero. Ero un essere umano ed avevo un corpo. Mi dissero che andava tutto bene, e che loro avevano piena confidenza con la mia anatomia. Pian piano mi rilassai e smisi di cercare di coprire le parti intime con le mani. In seguito, vollero parlare della mia vita. Con mia sorpresa la mia vita stava andando in scena davanti a me, a circa due o tre metri di distanza, dall'inizio alla fine. La revisione era quasi del tutto sotto il loro controllo, e mi veniva mostrata secondo un punto di vista diverso dal mio. Vedevo me stesso all'interno della mia vita, e questo fatto in sé rappresentava per me una lezione, anche se al momento non ne ero consapevole. Stavano cercando di insegnarmi qualcosa, ma io non sapevo che si trattasse di un'esperienza di apprendimento, perché non immaginavo che sarei ritornato.       

Osservammo la mia vita dal principio alla fine. In certi punti essi rallentavano ed ingrandivano le immagini, mentre in altre parti tiravano via. La mia vita mi veniva mostrata in un modo che non avrei mai immaginato prima: tutte le cose per ottenere le quali mi ero impegnato ed affaticato, i riconoscimenti che avevo conseguito nelle scuole elementari, al liceo, all'università e nel corso della mia carriera, non avevano alcun valore su quel palcoscenico. Potevo percepire i loro sentimenti di tristezza e di sofferenza, o di gioia, mentre la revisione della mia vita scorreva davanti a noi. Essi non dicevano che qualcosa era buono o cattivo, ma io potevo sentirlo. E potevo anche sentire tutte quelle cose alle quali erano indifferenti. Per esempio, non fecero alcun caso agli ottimi risultati delle mie gare sportive al liceo. Semplicemente non provavano niente al riguardo, così come nei confronti di altre cose di cui io mi ero sentito molto orgoglioso.      

Opportunismo e amore

Ciò a cui reagivano era il modo in cui avevo interagito con altre persone. Questo stava alla base di tutto. Sfortunatamente, la maggior parte delle mie interazioni con gli altri non erano adeguate al modo in cui avrei dovuto interagire, vale a dire con amore. Ogni volta in cui nella mia vita avevo reagito con amore essi mostravano grande gioia. Nella maggior parte dei casi mi accorsi che le mie interazioni con altre persone erano state opportunistiche. Durante la mia carriera professionale, per esempio, mi vidi seduto nel mio ufficio, recitando il ruolo del professore del college, mentre uno studente era venuto da me per parlarmi di un suo problema personale. Stavo là seduto con aria di partecipazione, in atteggiamento paziente ed amabile, mentre dentro di me ero annoiato a morte. Guardavo spesso il mio orologio da polso, sotto la scrivania, mentre aspettavo con impazienza che lo studente se ne andasse. Dovetti rivivere tutte quelle esperienze in compagnia di quegli esseri magnifici.      

Quando ero un adolescente mio padre, per esigenze di carriera, dovette assoggettarsi ad un ritmo di lavoro molto stressante per 12 ore al giorno. Amareggiato e risentito perché non si occupava di me quando tornava a casa dal lavoro, mi mostravo freddo e scostante nei suoi confronti. Questo lo faceva arrabbiare, e mi dava ulteriore motivo per detestarlo. Lui ed io litigavamo, e mia madre diventava sempre più infelice. Per quasi tutta la vita avevo considerato mio padre come il cattivo e me stesso come la vittima. Quando ripassai la mia vita mi toccò constatare che io stesso avevo contribuito a che le cose andassero così. Anziché salutarlo con gioia alla fine di una dura giornata, lo punzecchiavo continuamente, per giustificare il mio risentimento. Mi capitò anche di rivedermi, una notte in cui mia sorella aveva passato un brutto momento, andare nella sua stanza ed abbracciarla. Senza dire nulla, stavo semplicemente là con le mie braccia intorno a lei. Come poi risultò, quell'esperienza era stata uno dei maggiori trionfi della mia vita.      

La rivisitazione di tutta la mia vita sarebbe stata emotivamente devastante, e mi avrebbe reso uno psicopatico, se non fosse stato per il fatto che il mio amico e gli amici del mio amico mi manifestavano il loro amore durante la rappresentazione. Era un amore percepibile. Ogni volta che mi deprimevo essi sospendevano per un po' la revisione, e mi offrivano il loro amore, un amore tangibile. Potevo sentirlo nel mio corpo e dentro di me: quell'amore mi passava direttamente attraverso. Vorrei potermi esprimere meglio, ma non ci riesco. La terapia era il loro amore, dato che la revisione della mia vita era per me come un castigo: era penoso osservarla, semplicemente penoso. Non potevo crederci, ed il fatto era che le cose peggioravano via via che si andava avanti. La mia stupidità ed il mio egocentrismo di adolescente aumentarono a dismisura quando fui adulto, sempre sotto la vernice di un marito, di un padre e di un cittadino modello. L'ipocrisia di tutto ciò era nauseante. Ma al di là di tutto ciò c'era il loro amore.      

Quando la revisione fu terminata mi chiesero: «Hai qualche domanda da fare?». Ne avevo un milione. Domandai, per esempio: «Che mi dite della Bibbia?» Domandai se diceva la verità, e risposero di sì. Quando chiesi come mai, se tentavo di leggerla, non vi trovavo altro che contraddizioni, mi riportarono indietro alla revisione della mia vita, in un punto al quale non avevo prestato attenzione. Mi mostrarono che quelle poche volte in cui avevo aperto la Bibbia, l'avevo letta con l'idea di trovarvi contraddizioni e problemi. Cercavo di provare a me stesso che non valeva la pena di leggerla. Feci loro notare che per me la Bibbia non era chiara, che non aveva senso. Mi dissero che ciò che conteneva era la verità spirituale, e che dovevo leggerla dal punto di vista dello spirito per comprenderla. Doveva esser letta in raccoglimento. Mi informarono che non era come gli altri libri. Mi dissero inoltre, ed in seguito potei verificarlo, che quando viene letta con raccoglimento parla al cuore. Si rivela apertamente, e non è più necessario pensarci sopra.      

Le risposte

I miei amici risposero ad un sacco di domande in modo divertente. Essi sapevano davvero l'esatto senso di ciò che chiedevo loro, prima ancora che io formulassi la domanda. Quando pensavo alle domande nella mia mente, essi le comprendevano immediatamente. Chiesi loro, per esempio, quale fosse la migliore religione. Mi aspettavo una risposta come: «La presbiteriana». Supponevo infatti che quei tipi fossero tutti cristiani. La risposta che ottenni fu: «La miglior religione è quella che ti avvicina di più a Dio». Avendo chiesto loro se c'era vita su altri mondi, la sorprendente risposta fu che l'universo era pieno di vita. A causa del mio timore per un olocausto nucleare, domandai se ci sarebbe stata una guerra atomica nel nostro mondo, e dissero di no. Questa risposta mi sorprese, e diedi loro una lunga spiegazione di come avessi trascorso la vita sotto la minaccia di una guerra nucleare. Questa era una delle ragioni per le quali ero quel che ero: immaginavo, mentre ero in vita, che tutto fosse senza via di scampo. Il mondo sarebbe comunque esploso, e nulla poteva aver senso. In un simile contesto sentivo di poter fare quel che mi pareva, tanto nulla aveva importanza.       

Mi dissero: «No, non ci sarà nessuna guerra nucleare». Chiesi loro se ne erano assolutamente certi. Mi riassicurarono di nuovo, ed io domandai come potessero esserne così sicuri. La risposta fu: «Dio ama il mondo». Mi dissero che tutt'al più una o due armi nucleari potevano esplodere accidentalmente, se non venivano distrutte, ma non vi sarebbe stata una guerra atomica. Allora chiesi come mai nella storia erano scoppiate così tante guerre. Dissero che consentivano che qualche guerra ci fosse, ma queste erano poche in confronto a tutte quelle che l'umanità cercava di iniziare. E quelle poche che essi permettevano che avessero luogo, servivano per riportare i popoli alla ragione, afffinché smettessero di combattersi. La scienza e la tecnologia, con i loro vantaggi, mi dissero, erano doni da loro conferiti all'umanità mediante l'ispirazione. Gli uomini erano stati letteralmente guidati verso quelle scoperte, molte delle quali erano state poi utilizzate in modo sbagliato dall'umanità, che se ne era servita a fini di distruzione. Noi potremmo fare troppi danni al nostro pianeta, e col termine pianeta intendevano tutta la creazione divina: non solo la gente, ma anche gli animali, gli alberi, gli uccelli, gli insetti, ogni cosa. Mi spiegarono che loro si preoccupavano per tutti gli esseri umani. Non erano interessati a che un gruppo sopravanzasse gli altri. Essi vogliono che ciascuno consideri ogni altro individuo più importante della propria carne. Desiderano che ognuno ami gli altri, completamente, perfino più di quanto non ami se stesso. Se alcune creature, in qualche parte del mondo, soffrono, anche noi dovremmo soffrire, dovremmo sentire il loro dolore. E dovremmo aiutarle. Il nostro mondo, per la prima volta nella nostra storia, si è evoluto al punto che noi abbiamo il potere di farlo. Noi siamo globalmente collegati gli uni agli altri, e possiamo diventare un solo popolo.       

Verso un mondo ideale?

La nazione a cui avevano offerto il privilegio di guidare il mondo verso un'epoca migliore ha fallito quest'obiettivo. Quel popolo eravamo noi, gli Stati Uniti. Quando parlai con loro riguardo al futuro, e questo può suonare come una scusa da parte mia, mi dissero in modo chiaro che noi abbiamo una libera volontà. Se noi modifichiamo il nostro modo di essere, allora potremo modificare anche il futuro che mi mostrarono. Durante quell'esperienza mi fu mostrata una visione del futuro basata su come noi, negli Stati Uniti, ci stavamo comportando. Era un futuro nel quale una grande depressione globale si sarebbe verificata. Se noi modificassimo i nostri comportamenti, però, il futuro sarebbe diverso. Mentre chiedevo loro come poteva essere possibile modificare le abitudini di tante persone, osservai che era molto difficile, se non impossibile, cambiare ogni cosa sulla Terra: manifestai l'opinione che fosse come tentare un'impresa senza speranza. I miei amici mi spiegarono in modo chiaro che tutto quel che ci vuole per realizzare un cambiamento è una persona sola. Una persona che ci provi, e poi, per effetto di quella persona, un'altra persona cambierà in meglio. Dissero che il solo modo per cambiare il mondo era iniziare con una persona: una sarebbe diventata due, due sarebbero diventate tre, e così via. Questo è l'unico modo di ottenere un cambiamento di rilievo.         

Cercai di sapere come il mondo si sarebbe presentato in un futuro ottimista, nel quale i mutamenti da essi auspicati avessero avuto luogo. L'immagine del futuro che mi fecero vedere, ed era la loro immagine, non una creata da me, mi sorprese. Mi sarei aspettato qualcosa del tipo Guerre stellari, un futuro pieno di plastica, tecnologia ed era spaziale. Nel futuro che mi mostrarono la tecnologia era ridotta al minimo. Ciò in cui tutti, veramente tutti, impegnavano la maggior parte del tempo era la cura dei bambini e dei ragazzi. La maggiore preoccupazione di ognuno era rivolta ai figli, ed ognuno considerava i bambini come la cosa di maggior valore al mondo. E quando una persona diventava adulta, non c'era in lei alcun senso di ansietà, di odio o di competizione. C'era un enorme sentimento di fiducia e di rispetto reciproco. Se qualcuno, in questa visione del futuro, manifestava dei problemi, allora la comunità tutta si interessava della persona in crisi affinché non fosse emarginata rispetto all'armonia del gruppo. Spiritualmente, mediante la preghiera e l'amore, gli altri risollevavano la persona afflitta. Quel che la gente faceva nel tempo restante era giardinaggio, quasi senza alcuno sforzo fisico. Mi mostrarono che le piante, tramite la preghiera, avrebbero prodotto frutti e verdure giganti. Le persone, tutte insieme, potevano controllare il clima del pianeta tramite la preghiera. Ognuno avrebbe lavorato nella fiducia reciproca, e la gente avrebbe chiamato la pioggia quando serviva, ed il sole splendente. Gli animali vivevano con gli uomini, in armonia. La gente, in questo mondo migliore, non aveva interesse per la conoscenza, ma per la saggezza. Questo era possibile perché, nella posizione in cui si trovavano, tutto quello che avevano bisogno di sapere nel campo della conoscenza potevano riceverlo semplicemente attraverso la preghiera. Ogni cosa, per loro, aveva una soluzione, e potevano fare tutto ciò che volevano. In questo futuro la gente non aveva un desiderio intenso di viaggiare, perché potevano comunicare spiritualmente con chiunque altro al mondo. Non c'era nessun bisogno di andare in altri posti. Tutti erano così assorbiti ed interessati dal luogo in cui si trovavano e dalla gente intorno a loro che non sentivano il bisogno di andare in vacanza. Vacanza da cosa? Erano completamente realizzati e felici!         

La morte felice

La morte, in questo mondo, era il momento in cui una persona aveva sperimentato tutto ciò che aveva avuto bisogno di sperimentare. Morire significava mettersi sdraiati e lasciarsi andare: allora lo spirito si sarebbe sollevato, mentre tutta la comunità si raccoglieva intorno al morente. Ci sarebbero state manifestazioni di gioia, poiché ciascuno aveva una visione interiore del regno celeste, e lo spirito andava a riunirsi con gli altri spiriti che scendevano per andargli incontro. Si poteva vedere lo spirito che abbandonava il corpo e sapere che era venuto il momento per lui di lasciare questo mondo: aveva superato il bisogno di crescere quaggiù. Coloro che morivano avevano conseguito in questa vita tutto ciò di cui erano capaci in termini di amore, gratitudine, comprensione e lavoro in armonia con gli altri. La sensazione che ricevetti in questa visione del futuro del mondo fu quella di un giardino, il giardino di Dio. Ed in questo giardino terrestre, pieno di ogni bellezza, c'erano gli esseri umani. Le persone nascevano in questo mondo per accrescere la loro comprensione del creatore. Poi avrebbero lasciato qui nel mondo fisico questo corpo, questa conchiglia, per progredire e passare nel regno celeste, lassù, per avere una relazione più intima ed evoluta con Dio.       

Quel che accade dopo la morte

Chiesi al mio amico e ai suoi amici, a proposito della morte, cosa accade quando moriamo. Mi risposero che quando una persona buona muore, gli spiriti le vanno incontro e la portano verso il cielo, gradualmente, perché quell'anima non potrebbe sopportare di essere esposta istantaneamente alla presenza di Dio. Sapendo bene cosa c'è dentro ognuno di noi, gli spiriti angelici non hanno bisogno di esibire niente. Sanno ciò di cui ognuno di noi ha bisogno, e glielo danno. In certi casi può essere un prato paradisiaco, oppure qualcosa d'altro. Se qualcuno ha bisogno di incontrare un parente, gli spiriti lo portano da lui. Se una persona ha davvero bisogno di gioielli, le mostreranno i gioielli che desidera. Noi vediamo ciò che ci è necessario per accedere al mondo degli spiriti, e quelle cose sono reali, nella dimensione celeste.      

Con gradualità, ci istruiscono come esseri spirituali, e ci portano in paradiso. Noi progrediamo e cresciamo sempre di più, ed abbandoniamo le preoccupazioni, i desideri e la nostra natura animale che abbiamo combattuto per la maggior parte della nostra vita. Gli appetiti terreni si sciolgono e se ne vanno. Non si deve più lottare per combatterli. Diveniamo ciò che siamo veramente, cioè parte della divinità. Questo è quanto acccade alle persone amorevoli, che sono buone ed amano Dio. Mi fu insegnato che noi non abbiamo nessuna conoscenza o diritto per giudicare qualcuno, riguardo alla sua relazione profonda con Dio. Solo Dio conosce davvero il cuore di una persona. Alcuni, che noi riteniamo esseri riprovevoli, sono agli occhi di Dio persone magnifiche, e parimenti persone che noi riteniamo buone sono da Dio viste come ipocriti dal cuore scuro. Solo Dio conosce la verità su ogni individuo. Alla fine Dio giudicherà ogni individuo, e permetterà che alcuni siano trascinati nelle tenebre in compagnia dei loro simili. Vi ho raccontato, in base alla mia personale esperienza, cosa succede nelle tenebre. Non so altro al di là di quello che ho visto e sperimentato, ma ho il sospetto di aver visto solo la punta dell'iceberg. Io meritavo di essere lì dov'ero, al posto giusto nel momento giusto: era il posto per me, e la gente che mi circondava rappresentava una perfetta compagnia. Dio permise che avessi quest'esperienza, e poi me ne liberò, perché vide che farmi sperimentare quei tormenti era un modo per redimermi. Era un modo di purgarmi. Coloro che non devono passare attraverso le tenebre, data la loro natura amabile, sono attirati in alto, verso la luce.      

Nei sobborghi del paradiso

Io non vidi mai Dio, e non ero in paradiso. Ero nei lontani sobborghi, e queste sono le cose che mi furono mostrate. Parlammo a lungo, di tante cose, e ad un certo punto mi guardai: stavo splendendo, ero radioso. Stavo diventando bello, naturalmente non come loro, ma avevo un certo scintillio che non avevo mai avuto prima. Non essendo pronto a far fronte di nuovo alla vita terrena, dissi loro che desideravo stare con loro per sempre. Dissi: «Sono pronto, son pronto ad essere come voi ed a stare qui per sempre. È magnifico, mi piace. Vi amo. Siete meravigliosi». Sapevo che mi amavano e che sapevano tutto di me. Sapevo che tutto sarebbe andato bene da allora in poi. Chiesi se potevo liberarmi del mio corpo, che era diventato davvero un impiccio, per diventare come loro, un essere dotato dei poteri che mi avevano mostrato.      

Mi dissero: «No, tu devi tornare indietro». Mi spiegarono che io ero ancora poco evoluto e che mi sarebbe stato di gran beneficio ritornare alla mia esistenza fisica per imparare. Nella vita umana avrei avuto un'opportunità di crescere così che la prossima volta che mi fossi trovato con loro sarei stato più in armonia. Avevo bisogno di sviluppare importanti caratteristiche per diventare come loro e per essere coinvolto nel lavoro in cui erano impegnati. Rispondendo che non potevo tornare indietro, cercai di far valere le mie ragioni, ed osservai che se dovevo sopportare quel pensiero (il pensiero di dover finire di nuovo nel pozzo) li pregavo coon tutto il cuore di poter restare. Allora i miei amici dissero: «Credi che noi ci aspettiamo che tu sia perfetto, dopo tutto l'amore che ti abbiamo manifestato perfino dopo che tu, sulla Terra, imprecavi contro Dio e trattavi chiunque ti stava vicino come se fosse polvere? E questo nonostante il fatto che noi inviavamo persone per cercare di aiutarti, per insegnarti la verità? Credi davvero che noi ti lasceremmo solo adesso?».       

Io domandai: «E cosa mi dite del mio senso di fallimento? Voi mi avete mostrato come posso essere migliore, ed io sono sicuro che non ne sarò all'altezza. Non sono abbastanza buono». Parte del mio egocentrismo riemerse ed io dissi: «Niente da fare. Non tornerò indietro». Essi mi spiegarono: «Ci sono persone a cui importa di te, tua moglie, i tuoi figli, tua madre e tuo padre. Dovresti tornare per loro. I tuoi figli hanno bisogno del tuo aiuto». Ed io risposi: «Li potete aiutare voi. Se mi fate tornare indietro ci sono cose che senza dubbio non funzioneranno. Se torno indietro e faccio degli errori non riuscirò a sopportarlo perché mi avete mostrato che io potrei essere più amorevole e compassionevole ed io me ne dimenticherò: sarò egoista verso qualcuno e farò qualcosa di spiacevole a qualcun altro. Sono sicuro che le cose andranno così perché sono un essere umano. Fallirò nel mio compito e non riuscirò a sopportarlo. Mi sentirò così malvagio che vorrò suicidarmi e non potrò farlo perché la vita è preziosa. Potrei fiinire in uno stato catatonico, perciò non potete rimandarmi indietro».     

Gli errori fanno parte dell'esperienza umana

Essi mi assicurarono che gli errori sono parte integrante dell'esperienza umana. «Vai – dissero – e fai tutti gli errori che vuoi. È attraverso gli errori che si impara». Fintanto che avessi cercato di fare quello che sapevo essere giusto, dissero, sarei stato sulla buona strada. Se facevo un errore, avrei dovuto riconoscerlo senza riserve come errore, e poi lasciarmelo alle spalle e semplicemente avrei dovuto cercare di non farlo una seconda volta. L'importante è di cercare di fare del proprio meglio, di mantenere fede ai propri principi di bontà e di verità e di non tradirli per ottenere l'approvazione degli altri. «Ma – dissi io – gli errori mi fanno stare male». Ed essi dissero: «Noi ti amiamo così come sei, errori e tutto il resto. E tu puoi sentire la nostra indulgenza. Tu potrai sentire il nostro amore ogni volta che vorrai». Io dissi: «Non capisco. Come potrò farlo?». «Basta che ti rivolgi dentro di te – dissero – e semplicemente chiedi il nostro amore e noi tre lo daremo, se lo chiederai dal profondo del tuo cuore».    

Mi consigliarono di riconoscere i miei errori e di chiedere perdono. Prima ancora che le parole fossero uscite dalla mia bocca, sarei stato perdonato, ed avrei dovuto accettare il perdono. La mia fede nella sorgente primaria del perdono doveva essere reale, ed io dovevo sapere che il perdono mi era stato concesso. Confessando, in pubblico o in privato, che avevo commesso un errore, dovevo poi chiedere perdono. Dopo di che, sarebbe stato un insulto nei loro confronti se non lo avessi accettato. Non avrei dovuto continuare ad andare in giro con un senso di colpa, e non avrei dovuto ripetere gli errori: dovevo imparare dai miei errori. «Ma – dissi – come posso sapere qual è la scelta giusta? Come farò a sapere cosa volete che io faccia?» Mi risposero: «Noi vogliamo che tu faccia ciò che vuoi. Questo comporta fare delle scelte, e non è detto che ci sia una scelta giusta: c'è uno spettro di possibilità, e tu dovrai fare la scelta migliore che potrai nell'ambito di queste possibilità. Se tu agirai così, noi saremo là per aiutarti».       

Il mondo come occasione di sperimentare la psiche

Non mi arresi facilmente. Cercai di persuaderli che nel mondo c'erano una quantità di problemi, mentre là c'era tutto ciò di cui avevo bisogno. Misi in dubbio la mia abilità di compiere le cose che essi consideravano importanti nel mio mondo. Essi dissero che il mondo è una bella manifestazione dell'essere supremo. Ciascuno vi può trovare la bellezza o la bruttezza in accordo con la direzione che dà alla sua mente. Mi spiegarono che la sottile e complessa evoluzione del mondo andava al di là della mia comprensione, ma io sarei stato uno strumento adeguato al creatore. Ogni parte della creazione, mi spiegarono, è infinitamente interessante perché è una manifestazione del creatore. Esplorare questo mondo con meraviglia e gioia sarebbe stata per me un'opportunità molto importante.      

Non mi assegnarono mai una missione precisa o uno scopo definito. Avrei potuto costruire un santuario o una cattedrale dedicata a Dio? Dissero che quelli erano monumenti per l'umanità. Volevano che vivessi la mia vita per amare gli esseri umani, non le cose. Dissi loro che non ero abbastanza in gamba da rappresentare ad un livello umano ciò che stavo sperimentando con loro. Mi assicurarono che mi sarebbe stato dato l'aiuto necessario quando ne avessi avuto bisogno. Tutto quello che dovevo fare era chiederlo. Gli esseri luminosi, i miei insegnanti, furono molto convincenti. Io ero inoltre acutamente consapevole del fatto che non molto lontano c'era la grande luce, che io sapevo essere il creatore. Loro non affermavano mai: «Egli vuole così», ma quest'idea era implicita in tutto ciò che dicevano. Io non volevo presentare troppe obiezioni, perché la grande Entità era davvero meravigliosa ed ammirabile. L'amore che emanava era straordinario. Avanzando la mia maggiore obiezione al fatto di tornare indietro nel mondo, dissi loro che il mio cuore non avrebbe retto, e che sarei morto, se avessi dovuto lasciare loro ed il loro amore. Tornare in questo mondo sarebbe stato così crudele che non sarei riuscito a sopportarlo. Ricordai loro che il mondo era pieno di odio e di competizione, ed io non volevo tornare in quel gorgo. Non potevo sopportare il fatto di lasciarli.      

Il ritorno nel corpo

I miei amici osservarono che essi non si erano mai separati da me. Spiegai loro che io non ero mai stato consapevole della loro presenza e, se fossi tornato indietro, mi sarei di nuovo dimenticato della loro esistenza. Spiegandomi come comunicare con loro, mi dissero di raccogliermi nella quiete interiore e di chiedere il loro amore: quell'amore sarebbe arrivato, ed io avrei saputo che essi erano con me. Dissero: «Non sarai lontano da noi. Noi siamo con te. Siamo stati sempre con te. Saremo sempre accanto a te fino alla fine». Io dissi: «Ma come farò a saperlo? Voi ora mi dite così, ma quando sarò tornato indietro tutto questo sarà solo una graziosa teoria». Dissero di nuovo: «Ogni volta che avrai bisogno di noi, saremo lì per te». Ed io: «Significa che mi apparirete?» «No, no – dissero – Non interverremo nella tua vita in alcun modo particolare a meno che tu non abbia bisogno di noi. Noi saremo semplicemente vicino a te e tu sentirai la nostra presenza ed il nostro amore». Dopo quella spiegazione, restai a corto di argomenti, e dissi loro che pensavo di poter tornare. Ed in quel momento fui di nuovo qui. Ritornai nel mio corpo, e ritrovai il dolore, ancora peggiore di prima.  

Epilogo

Qui termina la NDE di Howard Storm. Il suo ritorno alla vita non fu facile: oltre ai problemi fisici dovette fronteggiare tutta l'usuale gamma di incomprensioni e di reazioni negative verso il suo nuovo orientamento spirituale. Questo cominciò già in ospedale. Howard afferma di essersi sentito pervaso d'amore nei confronti di chiunque. Avrebbe voluto abbracciare e baciare ogni persona, ma non riusciva neanche a mettersi a sedere. Si limitava a dire a tutti: «Oh, come sei bello/a!» Era diventato la favola del suo reparto. Tutti lo trovavano molto divertente. Il senso di empatia di Howard crebbe moltissimo, così come la sua capacità di compassione. Egli poteva sentire le emozioni degli altri perfino con più intensità delle proprie. Non c'è dubbio che l'esperienza di Storm sia affascinante e coinvolgente, anche se presenta troppi elementi utopici di natura fideistica, se confrontati con la complessità dei problemi di questo mondo, perché la si possa considerare una prova dell'esistenza reale di una dimensione oggettiva ultraterrena. Con questo non intendo togliere alcun valore alla realtà soggettiva dell'esperienza, dato che uno degli aspetti più sorprendenti della mente creativa è quello di poter rendere sperimentabile e reale ciò che rientra nell'ambito della coscienza del singolo essere umano. Non va però dimenticato che queste esperienze fanno sempre riferimento ad una dimensione che non è quella del nostro mondo fisico e della vita terrena, dunque trasferire automaticamente ed acriticamente le esperienze, le emozioni ed i sentimenti pertinenti a quella condizione ultraterrena alla dimensione fisica nella quale viviamo con il nostro corpo, potrebbe avere conseguenze diverse da quelle desiderate, nonostante le migliori intenzioni.


 

Pam Reynolds
Anonima francese
Howard Storm
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Evidenze mediche
Una metamorfosi
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