Testimonianze di una metamorfosi

 

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Limiti della memoria ordinaria

Nel fare riferimento al senso di identità che caratterizza la nostra esistenza in questa vita, abbiamo dovuto riconoscere come sia tutt'altro che semplice definire in modo preciso cosa noi siamo, dati i notevoli cambiamenti che avvengono nel tempo. Se per gli altri la percezione della nostra identità è legata al nostro corpo fisico ed al suo comportamento (con tutti i mutamenti che ne conseguono), per il nostro io l'identità è legata alla continuità degli eventi della psiche registrati dalla nostra coscienza, che con il loro fluire determinano la nostra storia personale. Ci siamo però resi conto del fatto che, mentre possiamo aver una percezione abbastanza precisa degli eventi mentali che passano nella coscienza nel momento presente, quello che ci è accaduto in passato in parte può essere richiamato alla memoria come ricordo più o meno sfumato, ed in parte viene completamente dimenticato. In determinate circostanze, tuttavia, si possono attivare sintonie mentali che riportano alla coscienza, con particolare chiarezza e ricchezza di dettagli, molti eventi della nostra vita, alcuni dei quali non più presenti nella nostra memoria.

Un caso di anamnesi (revisione della propria vita)

Esaminando le testimonianze relative alle NDE, abbiamo visto come in alcuni casi venga sperimentata una revisione della propria vita attraverso una serie di scene complete e dettagliate. Un esempio particolarmente significativo di tale revisione, data l'epoca in cui si verificò (1795), fu offerto dall'ammiraglio inglese Sir Francis Beaufort (1774-1857) – noto per aver ideato la scala di forza del vento che porta il suo nome – il quale raccontò, in una lettera inviata al suo amico Dr. Wollaston, che all'età di vent'anni stava per annegare nel porto di Portsmouth dopo esser caduto in mare per un incidente: nonostante fosse già un esperto marinaio, non sapeva nuotare, e dopo essersi agitato un po' in acqua cominciò ad andare sotto la superficie, finché non fu riportato a galla, dopo un paio di minuti, da alcuni compagni accorsi in suo aiuto. Nella sua lettera Beaufort notava come ci si aspetterebbe che una persona in procinto di annegare sia troppo occupata ad agitarsi nel tentativo di salvarsi, o troppo coinvolta da sentimenti di speranza o di disperazione per la propria vita, per poter osservare e ricordare quello che passa per la sua coscienza. «Ma – scriveva nella lettera a Wollaston – ogni speranza era svanita, ogni sforzo era cessato, ed io sentivo che stavo per morire annegato. La mia mente fu assoggettata a quella subitanea rivoluzione che vi è sembrata così importante, e della quale conservo ancora una memoria così vivida, come se non fosse accaduta più tardi di ieri».

«Dal momento in cui avevo cessato ogni sforzo per la mia salvezza – per effetto, immagino, del completo soffocamento – mi sentii pervadere da un sentimento di calma e di assoluta tranquillità, che subentrò alle tumultuose sensazioni di un attimo prima. Lo si potrebbe definire apatia, ma di certo non rassegnazione, in quanto l'annegare non mi sembrava più un male: non pensavo più ad essere salvato, ed il mio corpo non provava più alcun dolore. Al contrario, le mie sensazioni avevano adesso il gradevole effetto che prova chi sta per addormentarsi col corpo stanco per la fatica. Ma se i sensi erano intorpiditi, non così la mente: la sua attività era accelerata a tal punto da sfidare ogni descrizione, ed i pensieri si succedevano l'uno all'altro con una rapidità inconcepibile per chi non ne abbia avuto esperienza diretta. Ancor oggi posso ricostruire in larga misura il corso di quei pensieri: dapprima rividi l'incidente appena accaduto, lo scompiglio che aveva prodotto, l'effetto che avrebbe avuto sul mio affezionato padre, il modo in cui egli avrebbe comunicato la disgrazia al resto della famiglia, e mille altre circostanze associate alla mia casa ed ai miei».   

Poi Beaufort ripercorse tutta la sua vita: «...la nostra ultima crociera, il naufragio nel corso di un viaggio precedente, il periodo scolastico, i progressi che avevo fatto negli studi, il tempo sprecato, e tutti i desideri e le avventure che avevo avuto da ragazzo. In questo modo, procedendo a ritroso nel tempo, ogni evento della mia vita trascorsa si ripresentò davanti a me, non già come un semplice abbozzo – come lo sto rievocando ora in questa lettera – ma come un quadro animato completo di ogni dettaglio e di ogni circostanza collaterale. In breve, tutta la mia vita fino a quel momento si ripresentò ai miei occhi in una sorta di visione panoramica, e ad ogni quadro sembrava essere associata la consapevolezza di ciò che vi era di giusto o di sbagliato, o una riflessione sulle sue cause e sulle conseguenze. Ed invero molti eventi irrilevanti e da me completamente dimenticati si affollarono di nuovo nella mia mente, con la freschezza e la familiarità di un ricordo molto recente». 

La registrazione degli eventi

Questo caso, al pari di altri ad esso simili, è significativo perché dimostra che gli eventi della nostra vita vengono registrati da qualche parte, anche se di norma noi non abbiamo accesso a queste registrazioni. Possiamo anche ritenere che la registrazione avvenga tramite il nostro cervello, ma non necessariamente nel nostro cervello: in quest'ultimo caso saremmo in grado di rivivere gli episodi della nostra storia personale con relativa facilità. Va inoltre osservato che l'ammiraglio Beaufort non faceva riferimento agli eventi che passavano davanti a lui come a dei ricordi, ma come a delle visioni plastiche e probabilmente anche animate, stando alla sua descrizione: mentre infatti il ricordo è un fatto essenzialmente mentale, che per essere anche solo parzialmente visualizzato richiede una discreta capacità immaginativa, una visione rientra nel campo della percezione, tanto visiva quanto auditiva, anche quando se ne riconosca il carattere allucinatorio. La visualizzazione immaginativa di un ricordo si presenta alla nostra mente come più o meno sfumata, mobile, incostante ed incerta, mentre una visione allucinatoria presenta tutti i requisiti della realtà: è stabile, coerente, e può essere esaminata con attenzione in ogni suo dettaglio.

Il mutamento delle sintonie della psiche

Vi è un altro aspetto particolarmente interessante che l'esperienza di Beaufort condivide con altre NDE: la continuità della coscienza individuale si associa ad un rapido cambiamento della sintonia della psiche registrata dalla coscienza. Infatti Beaufort non percepì un cambiamento di identità, e nemmeno uno sdoppiamento rispetto al suo corpo fisico, il quale semplicemente smise di provare dolore. Ma gli eventi mentali messi a fuoco dalla sua coscienza avevano caratteristiche completamente diverse rispetto a quelli precedentemente registrati: al posto dell'affanno e del dolore derivanti dall'impossibilità di respirare e dagli sforzi compiuti per restare a galla, subentrò uno stato di calma interiore ed una ridda di pensieri sulle conseguenze che l'evento della sua morte avrebbe comportato per i suoi familiari. Inoltre, in un periodo di tempo valutabile in uno o due minuti secondo il metro ordinario, la visione panoramica di tutta la sua vità si ripresentò davanti ai suoi occhi con l'evidenza e la ricchezza di particolari che abbiamo sottolineato. È come se la percezione della prossimità e dell'inevitabilità della morte del corpo avesse attivato in tempi rapidi un programma operativo completamente diverso, per effetto del quale la sua coscienza fu in grado di registrare sintonie anomale rispetto alla percezione degli elementi fondamentali sui quali si basa la nostra ordinaria esperienza umana, come il trascorrere del tempo ed il movimento nello spazio.

Questo cambiamento di programma è del tutto indipendente dalla volontà e dalla capacità di controllo dell'io: nelle esperienze come quella testimoniata da Beaufort, è qualcosa che semplicemente accade, senza essere né previsto, né desiderato, né temuto. All'epoca in cui Beaufort rischiò di annegare (nel 1795) non vi era una ricca letteratura sulle NDE, né si parlava frequentemente dei fenomeni paranormali: la vita era dura e quasi tutte le energie erano assorbite dalla lotta per la sopravvivenza. Le informazioni e le comunicazioni umane avevano come veicoli esclusivi le parole dette a voce o scritte, nelle lettere, nei giornali o nei libri. Il ventenne Beaufort aveva iniziato la sua vita di marinaio a tredici anni e, sebbene fosse un giovane sveglio ed intelligente, la sua cultura era limitata alle esigenze pratiche della vita e del suo mestiere. Concetti come psiche ed inconscio erano ancora del tutto estranei all'orizzonte culturale più avanzato della sua epoca, e tuttavia egli sperimentò una metamorfosi di tutto rispetto e riuscì a lasciare una testimonianza scritta di questa sua notevole esperienza.

Un'altra testimonianza

Un altro interessante esempio di metamorfosi delle sintonie mentali registrate dalla coscienza in condizioni critiche prossime alla morte – accaduto molti anni prima che fossero condotte ricerche sistematiche sulle NDE – fu pubblicato nel numero di novembre del 1889 del St. Louis Medical and Surgical Journal, e venne citato da Myers in un articolo dal titolo On indications of continued terrene knowledge on the part of phantasms of the dead (Indizi sulla continuità della conoscenza delle cose terrene da parte dei fantasmi dei morti) nel vol. VIII (pag. 180 e seguenti) dei Proceedings of the SPR. L'autore della testimonianza fu un certo Dr. A. S. Wiltse, un medico americano di Skiddy (Kansas), il quale, ammalato di febbre tifoide, nell'agosto 1889 era stato ricoverato in fase terminale nell'ospedale di Kismet (Tennessee). In seguito (nel 1890) Richard Hodgson condusse un'indagine su questo caso ed ottenne la testimonianza di alcune persone che avevano assistito l'infermo (familiari ed amici del Dr. Wiltse), compresa quella del medico di guardia dell'ospedale, il Dr. S. H. Raynes, il quale così si espresse: «Ero il medico di guardia, ed ero presente quando il Dr. Wiltse giaceva a letto, apparentemente morto, nell'agosto 1889. Osservai attentamente tutti i sintomi, e se mai vi fosse stato qualche sintomo, tra tutti quelli che caratterizzano un paziente in articulo mortis, non presente nel caso in esame, io non ne sono a conoscenza. Ad un certo punto io riconobbi che il paziente era certamente morto, al pari di ogni altra persona di cui io abbia riconosciuto la morte. Infilando un ago in profondità nei tessuti di diverse parti del corpo, non ottenni alcun segno di sensibilità. Il polso non batteva, e non si udiva alcun percettibile suono cardiaco. La respirazione, in base a quanto osservabile, era del tutto assente».

Se pure il Dr. Wiltse non era definitivamente morto (dato che poi si riprese e sopravvisse), tuttavia si trovava certamente in uno stato comatoso, con pulsazioni debolissime e praticamente impercettibili e con una temperatura corporea ben al di sotto del normale: nonostante ciò sperimentò una serie continua di vivide impressioni mentali, da lui stesso raccontate subito dopo aver ripreso conoscenza e poi trascritte. Eccone la testimonianza: Domandai (al medico) se riteneva che fossi nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, in modo da poter considerare affidabile e degno di fede quello che avrei potuto dire in quel frangente. Ottenuta da lui una risposta del tutto affermativa, detti un ultimo addio alla mia famiglia ed ai miei amici, rivolgendo a ciascuno quei consigli e quelle parole di conforto che mi sembravano più appropriate, e dopo aver conversato per qualche tempo sulle prove pro e contro l'immortalità, chiesi a tutti loro di osservare attentamente e di testimoniare l'attività della mia mente, pur nello stato fisico in cui si trovava il mio corpo. Infine, mentre le pupille si dilatavano, la mia vista cominciò ad annebbiarsi e la voce ad indebolirsi, e sentendo che uno stato di sonnolenza calava su di me, con un ultimo sforzo allungai le gambe ormai rigide, misi le braccia sul petto, intrecciai le dita, e rapidamente piombai in uno stato di totale incoscienza

Trascorsi circa quattro ore senza pulsazioni o battito cardiaco percepibile, stando a quanto mi riferì in seguito il Dr. Raynes, che era l'unico medico presente. Ad un certo punto diversi tra coloro che mi assistevano pensarono che fossi morto, e la notizia si diffuse anche fuori dall'ospedale, tanto che la campana della chiesa del paese suonò a morto. Tuttavia il Dr. Raynes mi disse che, se guardava il mio viso molto da vicino, poteva osservare ogni tanto un debolissimo sussulto, a mala pena percepibile, e che era stato diverse volte sul punto di dichiararmi morto, quando un nuovo sussulto lo induceva ad aspettare. Affondò un ago in profondità in diversi punti dai miei piedi alle anche, ma non ottenne alcuna reazione. Questo stato di morte apparente durò circa mezz'ora: credo di aver perso ogni facoltà di pensare e la coscienza di esistere, sprofondando in uno stato di completa incoscienza. Ovviamente non posso stabilire quanto sia durato questo stato, nell'ambito del quale un minuto o mille anni si equivalgono. Tornai poi ad essere cosciente e mi accorsi di essere ancora nel corpo, ma il mio corpo ed io non avevamo più alcun interesse in comune. Per la prima volta osservai con meraviglia e con gioia me stesso, il mio vero io, mentre il corpo – quello che io non ero più – si chiudeva da ogni lato come un sepolcro di argilla

L'uscita dal corpo

Con tutto l'interesse di un medico, osservai la fantastica anatomia del corpo col quale io, l'anima vivente di quel corpo morto, ero intimamente interconnesso in ogni organo ed in ogni tessuto. Vidi che l'epidermide era il confine più esterno del tessuto dell'anima, se così mi posso esprimere. Compresi allora la mia condizione e mi misi a ragionare con calma: sono morto, pensai, stando al modo in cui gli esseri umani considerano la morte, e tuttavia mi sento più che mai un vero uomo, e sto per uscire dal corpo. Osservai attentamente l'interessante processo di separazione dell'anima dal corpo: per effetto di una forza che, a quanto mi sembrò, agiva al di fuori del mio controllo, il mio vero io cominciò a scuotersi lateralmente da una parte all'altra (come una culla che dondola), finché la connessione con i tessuti del corpo venne meno. Dopo un po' lo scuotimento laterale terminò, ed in corrispondenza delle piante dei piedi, a partire dalla punta delle dita e fino alle caviglie, mi sembrò di percepire e di udire lo schioccare di innumerevoli cordicelle che si spezzano. Una volta effettuata quest'operazione, cominciai a ritirarmi lentamente dai piedi verso la testa, come una corda elastica che si accorcia. Mi ricordo che, quando fui all'altezza del bacino, dissi a me stesso: ora non c'è più vita dalle anche in giù. Non ho alcuna memoria del passaggio attraverso l'addome ed il torace, ma ricordo bene – quando tutto il mio sé fu racchiuso nella testa – di aver pensato: ora sono tutto dentro la testa, e fra poco sarò completamente libero. Passai intorno al cervello come se fosse stato cavo, comprimendo delicatamente verso il centro da ogni lato l'organo e le sue membrane, sbirciai fuori attraverso le linee di sutura del cranio, e ne emersi come un pacco di membrane dai bordi appiattiti. Ricordo distintamente che, quanto a forma e a colore, vedevo me stesso come una specie di medusa.    

Uscendo dal corpo, vidi due signore sedute accanto al letto: dopo aver valutato la distanza tra la testa del letto e le ginocchia della signora seduta dall'altra parte, conclusi che c'era spazio sufficiente per alzarmi in piedi, ma sentii un forte imbarazzo quando pensai che mi avrebbe visto nudo davanti a lei, anche se poi mi confortò il pensiero che, con ogni probabilità, i suoi occhi non mi avrebbero visto, dato che ormai ero uno spirito incorporeo. Emergendo dalla testa del corpo, cominciai a fluttuare su e giù e lateralmente, come una bolla di sapone ancora attaccata alla cannuccia in cui si soffia, finché il legame col corpo non si spezzò del tutto ed io caddi dolcemente sul pavimento, dal quale mi alzai ergendomi in tutta la statura di un essere umano. Mi sembrava di essere semitrasparente, di colore bluastro e completamente nudo. Con un penoso senso di imbarazzo mi diressi verso la porta semiaperta per sfuggire allo sguardo delle due signore, di fronte alle quali mi trovavo, e delle altre persone presenti nella stanza. Tuttavia, una volta raggiunta la porta, mi accorsi di essere vestito, e così tornai indietro per confrontarmi con il gruppo di persone presenti. Mentre mi giravo, il mio gomito sinistro venne in contatto col braccio di uno dei due signori che stavano presso la porta, e con mia sorpresa il suo braccio passò attraverso il mio senza opporre alcuna resistenza, mentre le parti divise si riunivano in modo indolore, come se fossero fatte d'aria. Mi rivolsi subito verso il suo viso per vedere se aveva notato il contatto, ma non si era accorto di niente: stava lì fermo, guardando verso il letto che avevo lasciato da poco. Dirigendo il mio sguardo nella stessa direzione, vidi il mio corpo come morto, nella stessa posizione in cui l'avevo messo con tanta fatica, leggermente girato sul fianco destro, con le gambe distese, i piedi uniti e le mani giunte sul petto. Il pallore del viso mi sorprese: da diversi giorni non mi ero guardato in uno specchio e non pensavo di avere quel pallore cadaverico caratteristico di molte persone in fin di vita. Mi complimentai con me stesso per il modo decoroso in cui avevo disposto il mio corpo, pensando che così i miei amici avrebbero avuto meno problemi a sistemarmi nella bara.         

Tra le persone che stavano in piedi o sedute accanto al mio corpo notai due donne inginocchiate, e mi accorsi che piangevano: in seguito venni a sapere che si trattava di mia moglie e di mia sorella, ma in quel momento non avevo alcuna idea dell'identità delle persone. Moglie, sorella, o amico, per me erano una cosa sola: non ricordo alcun dettaglio sulle relazioni umane, né mi sembra di averci pensato. Potevo distinguere le persone secondo il sesso, ma niente di più. Cercai poi di attirare l'attenzione dei presenti per confortarli e per rassicurarli in merito all'immortalità. Feci un inchino scherzoso e li salutai con la mano destra, passai diverse volte in mezzo a loro, ma compresi che non si accorgevano di me: fui colpito dal lato comico di questa situazione e cominciai a ridere senza ritegno. Pensavo che certamente avrebbero udito le mie risate, ma mi sbagliavo, e nessuno distolse il suo sguardo dal mio corpo morto. Non mi venne mai in mente di mettermi a parlare, e chiusi la faccenda dicendo a me stesso: "Possono vedere solo con gli occhi del corpo, e dunque non vedono gli spiriti. Guardano ciò che credono sia io, ma si sbagliano: non è quello il mio io, io sono quello che sono adesso, più vivo che mai”

Una passeggiata per aria

Mi girai, passai attraverso la porta aperta, inclinando la testa per guardare dove mettevo i piedi mentre scendevo verso l'atrio. Attraversai l'atrio, scesi i gradini che portavano al sentiero di accesso e poi mi ritrovai in strada, dove mi fermai per guardarmi intorno: non avevo mai visto quella strada così nitidamente come la vedevo ora. Osservai il colore rosso del suolo dilavato dalla pioggia, e rivolsi a me stesso uno sguardo commosso, come nei confronti di qualcuno in procinto di lasciare la sua casa per un lungo periodo. Poi scoprii che ero diventato più grande di quanto non fossi stato in vita, e me ne rallegrai: nel mio corpo mi sentivo più piccolo di quanto avrei voluto essere, ma in questa vita futura – pensai – potevo essere come desideravo. Notai che i vestiti si erano ben adattati alla mia nuova statura, e cominciai a chiedermi da dove provenissero e come me li fossi trovati addosso così rapidamente e senza accorgermene. Esaminai il tessuto e giudicai che fosse qualche tipo di stoffa scozzese, di buona qualità e di gusto sobrio, anche se non particolarmente elegante. Il soprabito era ampio, e questo andava bene dato che eravamo in estate. “Come mi sento bene! – pensai –. Solo pochi minuti fa ero terribilmente malato e sofferente, e adesso, dopo questa metamorfosi così temuta chiamata morte, eccomi qua: sono ancora un uomo, sono vivo e penso, sì, riesco a pensare con una chiarezza mai provata, e mi sento così bene, non mi ammalerò mai più e non dovrò morire di nuovo". Ed in un impeto di esuberanza feci qualche passo di danza, poi rivolsi di nuovo lo sguardo alla mia nuova forma ed ai miei abiti.

Improvvisamente mi accorsi che stavo esaminando la cucitura diritta che chiudeva, in basso, la parte posteriore del soprabito. Com'è possibile, pensai, che io possa vedermi da dietro? E osservai di nuovo, dal bordo del soprabito in giù, la parte posteriore delle mie gambe fino ai talloni: tutto era al suo posto. Sono forse come un gufo, pensai, che può girare la testa a 180 gradi? Provai a farlo, ma senza successo. Forse, essendo rimasto per poco tempo fuori dal corpo, avevo ancora la capacità di usare gli occhi fisici. Tornai allora indietro e, attraverso la porta della stanza in cui era rimasto il mio corpo, vidi la mia testa e mi accorsi di una piccola corda, come il filo di una ragnatela, che collegava un punto tra le scapole del mio corpo attuale con la base del collo del corpo fisico. Ne conclusi che, per mezzo di quel filo, potevo usare gli occhi del corpo, e – soddisfatto – mi girai e mi diressi di nuovo in strada. Non avevo fatto che pochi passi quando persi di nuovo conoscenza, e quando mi risvegliai stavo sospeso per aria, sostenuto da un paio di mani che mi premevano delicatamente ai fianchi. Colui a cui le mani appartenevano, chiunque fosse, stava dietro di me, e mi trasportava attraverso l'aria velocemente, ma in modo gradevole. Avevo appena compreso la situazione, quando fui lanciato in avanti e fluttuai dolcemente per qualche metro, scendendo all'inizio di una strada stretta ma ben costruita, inclinata verso l'alto con una pendenza di quasi 45 gradi.

La strada in salita

Guardando in su, vidi il cielo e le nuvole sopra di me, ad un'altezza naturale. Sotto di me vidi le cime verdeggianti di tanti alberi, e pensai: la distanza tra me e gli alberi in basso è uguale a quella che mi separa dalle nuvole in alto. Mentre salivo lungo la strada, mi sembrava di dirigermi verso nord. Guardando giù dal lato destro potei vedere la foresta, ma mi accorsi che la strada non poggiava su alcuna struttura di sostegno, e tuttavia non ebbi alcun timore che potesse cadere. Esaminai il materiale con cui era stata costruita: si trattava di quarzo bianco e di sabbia fine. Raccolsi un sassolino dalla ghiaia e lo guardai attentamente: ricordo distintamente che aveva una macchia scura al centro. Accostandolo ai miei occhi, scoprii che si trattava di un piccolo foro, causato forse dall'azione chimica di un metallo. Di recente aveva piovuto, e l'aria fresca era gradevole. Notai che, sebbene la salita fosse ripida, non facevo nessuna fatica nel camminare: i miei piedi mi sembravano leggeri e i miei passi erano agili come quando ero un ragazzo. Mentre salivo, tornando col pensiero al mio recente stato di grave infermità, mi rallegrai ancora per la mia forza e la perfetta salute di cui godevo adesso.

Dopo un po' fui pervaso da un senso di grande solitudine e da un intenso desiderio di compagnia. Allora pensai: ogni minuto qualcuno muore, e se aspetto una ventina di minuti è molto probabile che nelle montagne una persona muoia e venga a farmi compagnia. Mi fermai ad aspettare, e nel frattempo osservavo lo scenario intorno a me. Ad est si stendeva una lunga catena di montagne, e la foresta sotto di me copriva tutto il terreno, salendo sui fianchi dei monti fin quasi alla loro sommità. Sotto di me vidi una valle ricoperta di boschi, attraversata da un bel torrente dai bassi fondali, le cui acque scorrevano in bianchi spruzzi. Pensai che il torrente somigliava molto al fiume Emerald, e le montagne erano come la catena di Waldron. Sul lato sinistro della strada si stagliava un'alta rupe di roccia nera, che mi fece venire in mente il monte Lookout, come lo si vede nel tratto in cui la ferrovia passa tra esso ed il fiume Tennessee. Dunque la memoria, il ragionamento e l'immaginazione – queste tre importanti facoltà che caratterizzano l'attività metale – erano in me del tutto integre e pienamente attive.

Dubbi, timore e sollievo

Attesi che arrivasse qualcuno per un tempo che valutai in una ventina di minuti, ma non venne nessuno. Allora pensai: è probabile che quando un essere umano muoia debba seguire un suo itinerario individuale, percorrendolo da solo. Dato che non vi sono due uomini identici, così non vi possono essere due persone che percorrono la stessa strada verso l'altro mondo. Riflettei poi che – ora che ero certo della vita eterna – non avevo alcun bisogno di affrettarmi, e così mi misi a passeggiare lentamente lungo la strada, fermandomi di quando in quando per guardare il panorama, o volgendomi indietro per vedere se per caso giungesse qualcuno, e talora tornando sui miei passi per meglio osservare la strada da me percorsa, sempre col desiderio di scorgere una presenza umana. Pensai che certamente qualcuno dall'altro mondo sarebbe venuto prima o poi ad accogliermi, sebbene – e questo era piuttosto strano – non riuscissi a pensare a qualche persona che desiderassi rivedere in particolare. Angelo o demonio che sia – dissi a me stesso –, qualcuno mi verrà incontro, e mi chiedo chi sarà. Riflettei sul fatto che in vita non avevo accettato tutti i dogmi della Chiesa, ma che avevo messo per iscritto ed insegnato una nuova fede, che a me sembrava migliore. Tuttavia, pensai, io non sapevo niente di certo, e dove c'è posto per il dubbio c'è anche lo spazio per l'errore: pertanto potrei stare andando dritto dritto verso un terribile destino. Ed a questo punto accadde una cosa difficile da descrivere: da vari punti intorno a me sgorgò un pensiero che così si esprimeva: "Non temere, tu sei al sicuro!" Non udivo alcuna voce, non vedevo nessuno, eppure ero perfettamente consapevole del fatto che in vari luoghi, ed a varie distanze da me, qualcuno esprimeva quel pensiero per mio beneficio, ma come io potessi esserne cosciente era un mistero tale da sfidare la mia fede nella sua realtà. Fui preso da timori e dubbi, e cominciavo a sentirmi davvero miserabile, quando un volto pieno di inesprimibile amore e tenerezza mi apparve per un istante e mi rassicurò definitivamente riguardo al mio destino.

La strada bloccata e la nube

Improvvisamente, ad una certa distanza, vidi che davanti a me la strada era ostruita da tre gigantesche rocce. Mi fermai, domandandomi perché mai una strada così ben costruita dovesse essere interrotta, e mentre mi interrogavo sul da farsi una grande nuvola scura prese forma al di sopra di me. Rapidamente l'interno della nube si animò, riempiendosi di globi di fuoco che si muovevano lampeggiando qua e là, come se fossero dotati di vita. Il contatto con il vapore umido delle nuvola non li estingueva, e potevo vederli mentre si muovevano, come si vedono i pesci nell'acqua profonda. La parte inferiore della nube divenne concava, come un tendone, e cominciò a ruotare lentamente intorno al suo asse perpendicolare al suolo. Aveva fatto tre giri, quando divenni consapevole di una presenza: non potevo vederla, ma sapevo che era penetrata nella nube dal lato sud. Questa presenza non aveva una forma definita, ma mi sembrò che riempisse la nube come una vasta essenza intelligente. Non è certo simile a me, pensai: io occupo un piccolo spazio con la mia forma, e quando mi muovo lo spazio che occupavo prima resta vuoto, ma lui può riempire, se vuole, l'immensità dello spazio, proprio come sta occupando questa nuvola. Allora dai lati destro e sinistro della nube vennero emanate due lingue di vapore scuro che si accostarono delicatamente ai lati della mia testa: appena mi toccarono, la mia mente fu pervasa di pensieri che non mi appartenevano. Questi, mi dissi, sono i suoi pensieri, non i miei: per quello che ne so io, potrebbero essere espressi in greco o in ebraico, ma mi vengono gentilmente comunicati nella mia lingua perché io possa comprendere la sua volontà

Tuttavia, sebbene la lingua usata fosse l'inglese, le espressioni erano talmente al di là delle mie capacità di riprodurle che ogni mio tentativo di esprimerle è ben lontano dall'originale, nello stesso modo in cui ogni traduzione di una lingua morta non è che una vaga rappresentazione del significato autentico del testo tradotto. Per esempio, l'espressione: «Questa è la strada verso il mondo eterno», non conteneva più di quattro parole, e non ci sarebbe stato alcun bisogno di chiudere con un punto ogni frase di quei pensieri, volendoli trascrivere, poiché il loro significato era in sé esauriente ed evidente. Comunque, ecco qua il risultato del mio sforzo di tradurre quei pensieri in parole: «Questa è la strada verso il mondo eterno. Quelle rocce segnano il confine tra i due mondi e le due vite. Una volta che tu sia passato oltre, non potrai tornare nel tuo corpo. Se il tuo compito era quello di scrivere le cose che ti sono state insegnate, lasciando al puro caso ogni eventuale pubblicazione dei tuoi scritti, e di parlarne, nella privacy dell'amicizia, con le persone che conosci, se il tuo compito era tutto qui, allora l'hai concluso, e puoi passare al di là delle rocce. Se invece, dopo un'attenta riflessione, ritieni che il tuo compito debba essere quello di pubblicare ciò che ti è stato insegnato, e di rivolgerti ad una moltitudine di persone per insegnare loro a tua volta, allora non l'hai finito e puoi ritornare nel tuo corpo». I pensieri terminarono e la nuvola andò via, muovendosi lentamente verso le montagne ad est. Mi volsi per guardarla mentre si allontanava, quando all'improvviso – senza che avessi percepito di essermi mosso – mi trovai vicinissimo alle tre rocce, che ora stavano proprio davanti a me. Fui preso allora da una viva curiosità di gettare uno sguardo nell'altro mondo.

I varchi verso l'altro mondo

C'erano quattro ingressi: il primo, molto scuro, era situato tra la parete di roccia nera ed il masso roccioso che ostruiva la strada sul lato sinistro; il secondo era costituito da un basso arco a volta tra la roccia a sinistra e quella in mezzo; il terzo, simile al precedente, stava tra la roccia di mezzo e quella di destra, mentre il quarto era uno stretto sentiero che girava intorno alla roccia di destra, sul margine della strada. Non esaminai l'apertura sul lato sinistro, forse perché mi appariva scura, ma mi inginocchiai vicino ad ognuno dei due archi a volta per guardare al loro interno: l'atmosfera era verde ed ogni cosa sembrava fresca, tranquilla e bella. Al di là delle rocce, la strada, la valle e la catena montuosa curvavano dolcemente verso sinistra, chiudendo la vista a breve distanza. Pensai che se fossi andato oltre avrei presto visto degli angeli o dei demoni, o entrambi, e mentre così pensavo vidi davvero le loro forme come me le ero spesso raffigurate mentalmente. Ma guardandoli attentamente da vicino mi accorsi che non si trattava di entità reali, bensì di forme fantasmatiche prodotte dai miei pensieri, e che allo stesso modo avrei potuto visualizzare qualsiasi altra forma. Che mondo meraviglioso è questo – esclamai mentalmente – dove il pensiero ha il potere di trasformarsi in forme visibili! Come sono felice di poter vivere in un simile regno del pensiero!

Mi fermai ad ascoltare se da quel mondo provenisse qualche musica o suono di voce, ma non udii nulla. Le sostanze solide, riflettei, trasportano i suoni meglio dell'aria, e così mi alzai per accostare l'orecchio alle rocce che stavano ai lati dei varchi, ma anche così non sentii nessun suono. Poi, ad un tratto, provai l'impulso di attraversare la linea di confine, ma esitando un poco ragionai così: "Sono già morto una volta e, se torno indietro, prima o poi dovrò morire di nuovo. Se io resto qui qualcun altro continuerà la mia opera, che alla fine sarà portata a termine ugualmente bene, e dunque perché dovrei morire un'altra volta? Ora che ci sono così vicino, attraverserò il confine e resterò qui". Dopo aver deciso, mi mossi con cautela verso il sentiero. C'era il pericolo di cadere oltre il bordo della strada, perché il sentiero addossato alla parete rocciosa era davvero stretto: mi misi con la schiena contro la roccia, avanzando a poco a poco lateralmente. Raggiunsi così il punto centrale della roccia: me ne accorsi perché c'era una protuberanza scolpita che marcava con precisione il confine. Come Cesare al Rubicone, mi fermai per discutere con la mia coscienza: mi sembrava di prendermi una grossa responsabilità, ma decisi di farlo comunque, e spostai il mio piede sinistro oltre il confine. Non appena lo feci, una piccola nuvola nera molto densa apparve davanti a me, dirigendosi verso la mia faccia. Seppi che avrei dovuto fermarla, e sentivo che il potere di muovermi o di pensare mi stava abbandonando: le mani mi cadevano ai fianchi senza che potessi muoverle, le spalle e la testa mi si reclinarono in avanti, la nuvola toccò la mia faccia ed io non seppi più nulla.

Il ritorno

Senza alcuna intenzione e senza nessuno sforzo da parte mia, gli occhi mi si aprirono. Guardai le mie mani e poi la piccola branda bianca sulla quale giacevo, e quando mi accorsi di essere di nuovo nel mio corpo, con stupore e disappunto esclamai: "Che diamine mi è accaduto? Dovrò dunque morire un'altra volta?" Sebbene mi sentissi debolissimo, trovai la forza per raccontare tutto quello che avevo appena vissuto, nonostante i richiami di coloro che volevano che stessi tranquillo. Subito dopo fui preso da dei conati di vomito, severi ed incontrollabili. In quel frangente un mio amico, il Dr. J. H. Sewel, di Rockwood, Tennessee, venne a farmi visita, senza sapere che ero gravemente infermo: avevo dei sussulti tremendi e, nel consulto, ebbe a dire: “Temo che ormai solo un miracolo possa salvarlo”.

La narrazione del Dr. Wiltse prosegue con la cronaca dei due mesi successivi, nel corso dei quali si riprese lentamente dalla sua infermità. Oltre alle risposte fornite alle diverse domande che gli erano state inviate da Richard Hodgson, che svolse un'accurata indagine su questo caso, il Dr. Wilson presentò le testimonianze giurate di altre tre persone presenti nella stanza in cui lui era infermo nel giorno in cui in cui si verificò l'esperienza da lui raccontata. Le testimonianze, redatte nel 1890, a meno di un anno dall'evento, furono poi firmate e giurate davanti ad un notaio nel marzo 1892. Inoltre Hodgson si procurò la testimonianza della sorella di Wiltse, Sara, e quella – precedentemente citata – del medico che aveva assistito l'infermo nella fase terminale della malattia, il Dr. Raynes. Tutte le testimonianze risultarono in accordo con le affermazioni di Wiltse in merito al suo presunto stato di pre-morte ed alla narrazione della sua esperienza subito dopo il suo risveglio.

L'interesse del caso

Ho citato questo caso non perché sia particolarmente interessante o rivelatore nell'ambito delle NDE, ma perché esso dimostra con particolare efficacia come, in prossimità della crisi della morte, la coscienza possa registrare un significativo cambiamento delle sintonie mentali, che non può essere negato o sminuito nella sua importanza. Infatti, se consideriamo la normale attività mentale di una persona gravemente inferma, osserviamo che le sintonie normalmente registrate dalla coscienza – anche nelle fasi di lucidità – ruotano intorno alle sofferenze patite dal corpo, agli affetti delle persone care vicine o lontane che stanno per essere lasciate, all'incertezza relativa a quanto sarà sperimentato nel corso del trapasso o dopo, ai ricordi degli eventi più importanti della propria vita: tutti aspetti che il morente può affrontare più o meno serenamente, a seconda del suo carattere personale, dimostrando il livello di forza d'animo al quale è pervenuto.

Anche il Dr. Wiltse si trovava in questa condizione, allorché – fino a poco prima di sperimentare una nuova sintonia mentale – ragionava con i familiari e con gli amici presenti sulla possibilità della sopravvivenza (nella quale credeva) e sulle entità che avrebbe incontrato nell'aldilà, che immaginava in termini molto tradizionali (angeli, demoni, anime beate, e simili). La nuova sintonia registrata dalla sua coscienza non annullò il suo senso di identità personale, dato che il suo io continuava a sentire il collegamento con la condizione precedente, ma gli fece percepire anzitutto il suo corpo come qualcosa di estraneo, privo di interesse, con il quale non aveva più niente in comune. Il suo nuovo io, pur non provando né dolore né sofferenza, era tuttavia ancora racchiuso nel corpo fisico, del quale osservava con meraviglia ed attenzione la complessa struttura dei tessuti e degli organi. Il corpo fisico non gli appariva più come lo strumento al quale era collegato indissolubilmente, in quanto gli consentiva di vivere, ma piuttosto come un sarcofago da cui era necessario uscire. Ed il processo di uscita dal corpo fu da Wiltse osservato con attenzione e descritto in dettaglio, come un'attività non dissimile da altre attività della nostra vita che comportano l'uso del corpo. La sua coscienza gli permise di registrare dunque degli eventi che accadevano, con una loro continuità e ed una sequenza temporale, in modo coerente e preciso: non si trattava di fantasie, dato che per Wiltse ciò che accadeva non aveva niente di immaginario. Nella nostra dimensione fisica chiunque, vedendo le condizioni in cui si trovava il corpo di Wiltse, avrebbe potuto supporre o uno stato di coscienza affaticato e sofferente, oppure una condizione di incoscienza, mentre invece la coscienza di Wiltse, non più dominata dalla condizione del corpo, era libera di sperimentare una condizione del tutto nuova ed inattesa.

Le domande per le quali dobbiamo cercare una risposta

Il carattere vagamente onirico (assimilabile ad un sogno lucido dotato di una buona coerenza intrinseca) degli eventi sperimentati coscientemente da Wiltse nel corso della sua avventura, non gli impedì di osservare e di memorizzare molti dettagli, e l'intensità con cui tutta l'esperienza rimase impressa nella sua mente è ben testimoniata dalla sua esigenza di raccontare ai presenti la sua avventura, non appena tornato alle normali sintonie della psiche umana, nonostante il suo stato di salute fosse ancora gravemente compromesso. In particolare va sottolineato l'entusiasmo con il quale Wiltse constatò a più riprese la propria condizione di benessere e di efficienza fisica, come saremmo tentati di dire, contrapposti allo stato di grave prostrazione, debilitazione e sofferenza sperimentato fino a poco prima, a causa della sua malattia terminale. Dobbiamo dunque riconoscere che le metamorfosi delle sintonie mentali sperimentate dalla coscienza e registrate dalla memoria sono un fatto incontestabile, e di conseguenza non possiamo fare a meno di porci alcune domande, che rivestono una fondamentale importanza per la comprensione della vita umana:

  • Le sintonie mentali, come quelle sperimentate da Wiltse (o che si presentano nel corso delle NDE), che risultano svincolate dalle condizioni in cui si trova il corpo umano, ed in particolare il sistema nervoso, sono determinate anch'esse dall'attività del cervello?
  • Nel caso in cui la risposta alla precedente domanda fosse affermativa, quali aree del cervello e quali reti neurali potrebbero determinare tali esperienze, e perché il funzionamento di tali circuiti si attiverebbe solo in condizioni critiche, sottraendosi alle nostre capacità di controllo volontario?
  • Sempre nel caso in cui la risposta alla prima domanda fosse affermativa, i circuiti cerebrali che determinano quel genere di sintonie mentali sarebbero presenti ed attivabili in tutti gli esseri umani dotati di un normale organo cerebrale, o solo in alcuni di loro, dotati di un cervello che presenta particolari caratteristiche?
  • Qualora non si riuscisse a dare una risposta affermativa alla prima domanda, non sarebbe lecito ipotizzare la presenza di un sistema di coscienza associato al nostro io, ma svincolato dal nostro cervello, che si attiverebbe quando il nostro strumento corporeo entrasse in una crisi terminale?

 

Pam Reynolds
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