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Il confine della morte

L'interesse nei confronti della morte

Come esseri umani, possiamo anche rimuovere il pensiero della morte, in accordo con quanto ci suggeriscono alcuni programmi di condizionamento culturale attivi in questa nostra epoca, che attribuiscono un'importanza assoluta alla vita organica, identificando (e limitando) l'esistenza dell'io cosciente al periodo di vita del suo organismo, fintanto che quest'ultimo è in grado di funzionare in modo più o meno decente. Nello stesso tempo, nei media divulgativi nel campo delle NDE, della medianità, o del cosiddetto channelling (una forma di medianità che – nella migliore delle ipotesi – è poco sviluppata e, soprattutto, è intrisa di contenuti originati dalla psiche umana), appaiono titoli di libri o di programmi come «La morte non esiste», «I morti ritornano», e simili. Sarà dunque opportuno fare un po' di chiarezza su questo punto: la morte dell'organismo umano, intesa come cessazione definitiva del funzionamento di quell'organismo e progressiva decomposizione dello stesso, è una certezza, ed almeno fino ad oggi non può essere evitata. Se si considera l'evento della morte come un processo pressoché istantaneo, allora l'io cosciente potrebbe non rendersi nemmeno conto di cosa sta accadendo in quel momento, ma in genere facciamo riferimento alla morte come all'insieme di esperienze psichiche in cui l'io viene coinvolto nel periodo più o meno lungo che precede l'evento del morire. Nella pagina del mese scorso si è visto come la morte possa avvenire a qualsiasi età e nelle circostanze più diverse: in quei casi in cui avviene in modo traumatico, il processo del morire talvolta presenta per l'io cosciente il vantaggio – se così si può dire – di essere sufficientemente rapido da evitargli le pene fisiche di una lunga agonia, e la sofferenza derivante dalla consapevolezza della prossima morte, alla quale l'io non era ancora preparato. Ma il processo naturale del morire in età avanzata è spesso preceduto da un progressivo deterioramento delle facolta fisiche e mentali, che non solo può comportare sofferenze prolungate, ma finisce col compromettere la stessa autopercezione dell'io cosciente, sulla cui esistenza un osservatore esterno può avere molti dubbi, giudicando sulla base delle manifestazioni dell'organismo in agonia o in coma. Inoltre, in simili casi tutta la gestione dell'organismo – e di conseguenza tutte le dinamiche della psiche che ne derivano e che continuano a coinvolgere l'io in modo aleatorio, alternando fasi di coscienza più o meno confusa ad altre di completa incoscienza – è affidata ad altre persone, in particolare a quelle che lavorano nelle strutture di ricovero e di cura, e l'io perde ogni capacità e possibilità di autocontrollo. Dunque non solo non dovrebbe stupire, ma dovrebbe essere considerato più che ragionevole il fatto che l'io voglia prepararsi per tempo, per poter affrontare nel modo più dignitoso e nelle condizioni che ritiene gli siano più congeniali un evento così importante come il processo del morire.

I condizionamenti culturali che fanno il possibile per rimuovere l'interesse nei confronti della morte e del processo del morire, facendo ricorso alle dinamiche della psiche umana ed alimentando l'interpretazione collettiva della morte come la disgrazia più grande, alla quale ogni altra disgrazia dovrebbe essere preferibile, sono determinati dall'esigenza di far funzionare i miliardi di organismi umani che formano le nostre società nel modo più efficiente possibile, in modo che tutte le risorse siano concentrate sulle necessità imposte dalla vita organica, e sulla ricerca di soluzioni per i vari problemi che ne derivano. Ma nonostante questi condizionamenti, oltre all'attenzione nei confronti dell'evento del morire determinata dalle ragioni sopra esposte, possiamo osservare un altro processo che stimola la mente di alcune persone – quanto meno di quelle dotate di sufficienti risorse intellettive – a provare interesse per il fenomeno della morte dell'organismo e per le eventuali esperienze a cui l'io cosciente potrebbe andare incontro una volta che quell'evento sia avvenuto. Per descrivere questo processo dobbiamo tener presente il modo in cui la percezione del fluire del tempo può influenzare l'ampliamento e l'evoluzione della coscienza dell'io nel corso di una vita sufficientemente lunga. Procedendo lungo la linea unidirezionale del tempo, nella prima parte della vita la coscienza dell'io si amplia progressivamente sulla base delle esperienze del passato: se immaginiamo la vita umana come un segmento i cui estremi sono la nascita e la morte dell'organismo, e l'io cosciente come un punto che si sposta al di sopra di questo segmento, parallelamente ad esso, andando dalla nascita verso la morte, allora l'ampliamento della coscienza può essere visualizzato dall'incremento dell'angolo formato dalla perpendicolare dell'io al segmento del tempo (il momento presente), e dal segmento che collega l'io al punto iniziale del segmento del tempo (la nascita). Questo incremento della coscienza si riflette anche nei confronti del futuro, in termini di percezione, di immaginazione e di programmazione: di conseguenza, via via che l'io procede nella prima parte della sua vita, questa può essere percepita quasi come una serie di esperienze senza fine, piena di prospettive più o meno allettanti ed interessanti, in base a quanto è stato sperimentato nel passato. Ma una volta che ci si sposta nella seconda parte della vita, mentre l'espansione della coscienza continua, sulla base delle esperienze del passato, la proiezione della medesima verso il futuro incontra l'ostacolo del termine della vita organica, una specie di barriera che si avvicina sempre più col passare degli anni e che le impedisce di mettere a fuoco e, per quanto possibile, di programmare le future esperienze dell'io.

È vero che la coscienza può sempre concentrare l'attenzione sul futuro dell'umanità in generale, o su quello delle persone che ci sono care e che probabilmente sopravviveranno alla morte del nostro organismo, ma il fluire del tempo pone un termine certo alle esperienze dell'io in questa dimensione fisica, con cui interagiamo mediante un organismo, e l'utilità operativa della coscienza è determinata dalla presenza di un soggetto cosciente – l'io, per l'appunto – in assenza del quale ogni proiezione verso il futuro diventa vuota e priva di significato. Per evitare che la barriera della morte impedisca alla coscienza di continuare ad ampliare il proprio raggio d'azione anche in direzione del futuro, è logico che l'io cominci ad interessarsi al destino che lo attende dopo la morte del suo organismo: sotto quest'aspetto, la posizione di coloro che ritengono un fatto ineluttabile e certo l'annientamento dell'io cosciente quando il suo organismo muore, e si arrendono tranquillamente a quella che considerano l'evidenza, appare quanto meno bizzarra, proprio perché non ha senso che l'io – una volta divenuto cosciente della propria esistenza – metta la propria firma, per così dire, all'atto di accettazione del proprio annientamento. Questo non significa che, date le strane caratteristiche di questa dimensione in cui l'io cosciente sperimenta la vita umana, non sia possibile anche l'annientamento dell'io, ma solo che tale annientamento dovrebbe essere considerato dallo stesso io come un atto di sopraffazione, lesivo del proprio diritto ad esistere: un diritto che andrebbe sempre rivendicato e difeso dall'io con dignità, integrità e coerenza. Poiché l'evidenza dimostra che l'organismo a cui l'io è vincolato durante la sua esperienza della vita umana è in ogni caso destinato a smettere di funzionare – almeno per quanto ne so io – la coscienza dell'io può proiettarsi oltre questo evento per cercare informazioni in merito all'eventuale continuazione dell'esistenza dell'io una volta che l'attuale vita si sia conclusa. Come ampiamente riportato nelle pagine di questo sito, le principali fonti di queste informazioni sono le varie comunicazioni medianiche e le NDE. Una volta ottenute e vagliate tali informazioni – che ai nostri giorni sono diventate disponibili in quantità davvero consistente grazie ai media divulgativi di cui possiamo disporre – l'io deve fare ricorso alle proprie risorse intellettive per valutarne l'affidabilità e l'attendibilità: infatti ogni verifica diretta di quanto può essere sperimentato dal nostro io cosciente dopo la morte del suo organismo richiede che tale evento sia già accaduto nel tempo, e dunque non può essere anticipata con sufficiente certezza. Inoltre va tenuto presente che le informazioni disponibili sono sempre relative all'esperienza dell'io cosciente di un'altra persona, tanto nel caso delle NDE – nel quale tali esperienze sono per loro natura esclusivamente soggettive – quanto per le comunicazioni di origine medianica, nelle quali – come si è visto – le informazioni ottenute sono sempre contaminate in qualche misura dalle sintonie della psiche dei medium e dei partecipanti alle sedute. Non possiamo avere dunque la certezza che quello che è stato sperimentato dall'io di qualcun altro sarà sperimentato anche dal nostro io: possiamo solo desiderare e sperare che questo accada, nel caso in cui le esperienze di cui veniamo a conoscenza ci sembrino interessanti, affascinanti ed emotivamente intense a gradevoli.

I risultati del confrontarsi con le comunicazioni medianiche

Nelle pagine di questo blog sono state riportate in dettaglio, nei mesi scorsi, le comunicazioni medianiche ottenute nel 1853 dal giudice Edmonds mediante la scrittura automatica del dottor Dexter. Come ho già detto, ho scelto di dedicare una certa attenzione a queste comunicazioni non perché le ritenga particolarmente significative o più importanti rispetto ad altre, ma perché – pervenute nella fase iniziale della formazione di un movimento spiritualista ancora prevalentemente spontaneo e non organizzato sotto il profilo culturale e sociale – sono realmente interessanti come documentazione delle reazioni determinate dalla psiche umana a determinati eventi, che non solo non rientrano nella norma di ciò che viene ritenuto possibile o accettabile nella nostra dimensione fisica, ma mostrano anche una stretta relazione con quello che potrebbe accadere all'io cosciente dopo la morte del suo organismo umano. Inoltre vanno riconosciute alla personalità del giudice Edmonds, autore del libro Spiritualism in cui tali comunicazioni sono riportate, un'integrità morale, un'affidabilità ed una coerenza di tutto rispetto. Nelle pagine di questo sito sono state menzionate altre comunicazioni medianiche: quelle dovute alla medianità di Urbino Fontanelli (1913- 1995) sono state trattate in modo sufficientemente preciso nelle pagine dedicate alla Storia della vita di un medium italiano. Nel 2019, in questo blog, ho fatto anche riferimento alle comunicazioni ottenute da altri circoli medianici: il Cerchio Esseno (si veda La vita dello spirito), il Cerchio Firenze 77 (tramite la notevole medianità di Roberto Setti), ed il Centro Italiano di Parapsicologia (di Napoli) che ha registrato, e poi pubblicato, il cospicuo corpus di comunicazioni dell'entità Andrea ottenute per incorporazione dal medium Corrado Piancastelli. Altre informazioni di origine medianica, sempre relative alle condizioni di esistenza dell'io cosciente dopo la morte del suo organismo, sono riportate nelle pagine della sezione sui fenomeni medianici: in particolare, la pagina sullo Spirito alieno è dedicata all'interpretazione critica di alcune delle affermazioni della già citata entità Andrea in merito alla condizione esistenziale dello spirito ed alle sue relazioni con l'io cosciente quando quest'ultimo è ancora vincolato alla vita organica. Vorrei qui ricordare, per inciso, che molte persone interessate ai fenomeni di origine medianica pensano che le comunicazioni ottenute dal Cerchio Firenze 77 o dal Centro Italiano di Parapsicologia siano tra le più interessanti, profonde e convincenti informazioni ottenute fino ad oggi da noi umani in merito all'esistenza dello spirito ed al significato della vita umana.

Per quanto mi riguarda, posso solo confermare quello che avevo scritto alcuni anni fa nella parte introduttiva della pagina del Blog 2019 su La vita dello spirito, e che riporto di nuovo qui di seguito: «Le comunicazioni delle entità si concentrano essenzialmente sulle principali questioni intellettive, flosofiche e morali attinenti alla condizione umana, considerate dal punto di vista delle esigenze evolutive dello spirito, che non vengono tuttavia spiegate in dettaglio. Non di rado si ha l'impressione che i vari problemi della vita umana, ed i diversi aspetti della realtà di questo mondo così come noi umani la conosciamo, dato che non possono essere elusi o negati perché per noi sono un dato di fatto (e per l'io cosciente rappresentano il nocciolo della questione), vengano inseriti a forza in uno schema già predisposto, mediante forme di ragionamento che della logica hanno solo l'apparenza (e talvolta nemmeno quella), ma che prestano il fianco a molte critiche e lasciano molte questioni non risolte, e dunque non possono essere considerate convincenti sulla base di un'intrinseca coerenza logica. Questo problema si presenta anche nei confronti degli insegnamenti del Cerchio Firenze 77, mentre le comunicazioni dell'Entità A mi sembrano più coerenti ed esaurienti». Si tenga presente che in questo flusso di comunicazioni medianiche – che alcuni considerano di elevato livello intellettivo – si inserisce ad un certo punto l'idea, di matrice teosofica, che lo spirito sia un'entità astratta a sé stante, la quale deve passare attraverso un certo numero di incarnazioni (successive in relazione al tempo umano?) per potersi evolvere via via che impara qualcosa da tali esperienze di vita. Come si è visto esaminando le comunicazioni ottenute dal giudice Edmonds, quest'idea è in palese contrasto con il concetto di progressione su cui si fondava lo spiritualismo delle origini. Nella progressione infatti l'io cosciente compie solo la parte iniziale del proprio percorso evolutivo vincolato all'organismo mediante il quale, in un certo senso, viene creato: poi, a seconda del livello di evoluzione raggiunto nel corso della vita umana, prosegue il proprio percorso come io spirituale, sempre migliorando la propria condizione ad ogni passaggio da una sfera a quella successiva. Sebbene questo quadro lasci irrisolte, come ho già evidenziato, alcune questioni fondamentali, l'idea di uno spirito che debba passare attraverso una serie di incarnazioni umane, ciascuna dotata di un proprio io cosciente autonomo, mi sembra ancora più oscura ed inconcludente. L'io cosciente, infatti, è fortemente condizionato dal funzionamento del proprio organismo, e l'interesse che può avere nella continuazione della propria esistenza dopo la morte dell'organismo consiste proprio nella liberazione da tali condizionamenti e nella possibilità di continuare a sperimentare in forma autocosciente nella condizione di io spirituale. Il sapere di essere al servizio, per così dire, di un'entità spirituale distinta da esso, o – come io l'ho chiamata – di uno spirito alieno, non potrà mai appagarlo fino in fondo, a meno che esso stesso non diventi quello spirito quando l'organismo muore: ma allora non si tratterà più di uno spirito alieno.

A proposito della cosiddetta reincarnazione, non dobbiamo dimenticare le importanti ricerche effettuate dallo psichiatra Ian Stevenson (1918-2007) sui casi di bambini che ricordano eventi e persone appartenenti all'esperienza di una persona precedentemente vissuta, fino al punto di identificare il proprio io con l'io di quella persona. Sebbene si tratti di casi statisticamente rari, vedremo in un prossimo post come possono essere interpretati in relazione allo sviluppo dell'io cosciente: ci basti per ora osservare che quasi sempre la persona il cui io sembrava essersi reincarnato era morta traumaticamente, spesso assassinata, e dunque potremmo essere in presenza di un fenomeno di possessione, che inibisce la formazione di un nuovo io cosciente autonomo, anziché agevolarla. I casi studiati da Stevenson ci confermano tuttavia l'esistenza di una dimensione parallela nella quale si svolgono dietro le quinte, per così dire, quei processi di registrazione, di interpretazione, di archiviazione e di gestione delle esperienze umane, che poi spesso influenzano, in una forma o nell'altra, le dinamiche della psiche che si manifestano sul palcoscenico della vita umana. Anche per questo la formazione dell'io cosciente ed il suo sviluppo all'interno di un organismo umano è un processo piuttosto delicato, che in certi casi non va nemmeno a buon fine, perché viene ostacolato o impedito dalle circostanze ambientali in cui l'organismo cresce, e dalle tensioni causate dalla dinamiche della psiche in balìa delle quali l'io, ancora debole, viene a trovarsi. La prima esposizione teorica spiritualista della reincarnazione è contenuta nel Libro degli Spiriti di Allan Kardec – pseudonimo del pedagogo francese Hyppolite Léon Rivail (1803-1869), fondatore della Revue Spirite – pubblicato nel 1857, nel quale l'idea della progressione dell'io cosciente contenuta nelle rivelazioni riportate dal giudice Edmonds nel suo libro Spiritualism (per cui l'io cosciente si trasformerebbe, una volta per tutte, in io spirituale dopo la morte dell'organismo), veniva ripresa e rielaborata: non era più l'io cosciente legato ad un singolo organismo ad evolversi nelle dimensioni dello spirito, ma un'entità spirituale astratta, distinta dall'io cosciente, la quale doveva passare attraverso un certo numero di incarnazioni – ciascuna, ovviamente, con un organismo diverso, e dunque con un diverso io cosciente – per poter imparare dalle esperienze della vita umana ed esercitarsi in essa come in una palestra (ma sempre tramite  un io cosciente), in modo da evolversi sul piano spirituale. Forse Kardec sperava in questo modo di offrire una risposta ad alcune delle questioni che la teoria della progressione esposta da Edmonds lasciava irrisolte (come abbiamo visto nella pagine dedicate al giudice Edmonds ed al suo libro), o forse la sua teoria delle incarnazioni successive scaturiva da alcune sintonie più europee della psiche, diverse da quelle americane: in quel periodo infatti le influenze dell'induismo esercitavano un forte fascino sulla cultura europea. Ritengo tuttavia che – almeno per quanto riguarda il destino del nostro io cosciente – la teoria delle incarnazioni successive esposta da Kardec presenti molti aspetti controversi, e risulti ancor meno convincente della teoria della progressione presentata da Edmonds.

Nel loro complesso, le informazioni ottenute per via medianica vanno considerate per quello che sono: racconti, narrazioni di qualcosa che noi umani non possiamo sperimentare direttamente, né verificare. Il potere di convincimento di tali comunicazioni dipende dalla maggiore o minore fiducia che ciascuno può riporre nelle entità comunicanti, e nell'affinità di quanto da esse prospettato con le sintonie della psiche umana dalle quali il nostro io è maggiormente attratto. Come si è visto a proposito delle comunicazioni ottenute dal giudice Edmonds, la contaminazione delle presunte rivelazioni spirituali da parte della psiche umana è apertamente riconosciuta dalle stesse entità comunicanti, e non sorprende se – tanto per fare un esempio – la classificazione degli spiriti enunciata da Kardec nel suo Libro degli Spiriti riproduce fedelmente le tipologie umane presenti nei nostri sistemi sociali. Quando poi qualcuno dei partecipanti alle sedute si azzarda a chiedere alle entità comunicanti spiegazioni attendibili sulle ragioni per cui gli spiriti dovrebbero orientarsi verso l'una o l'altra polarità (sempre nell'ambito della psiche umana), dato che sono tutti prodotti, per così dire, dalla stessa fabbrica, ottiene spesso risposte inconcludenti o addirittura sferzanti, del tipo: «La mente umana non è ancora in grado di comprendere certe cose...», oppure «Chi sei mai tu, essere umano, per voler discutere i piani di Dio...», e simili amenità. A volte si fa ricorso al presunto libero arbitrio concesso agli esseri umani di scegliere tra l'una e l'altra polarità della psiche, salvo poi dover riconoscere che certe scelte sono dovute all'ignoranza in cui l'io cosciente si trova, ed all'influenza che su di esso possono avere gli spiriti inclini al male, i quali provano evidente soddisfazione nel traviare e fuorviare il povero io a causa della sua debolezza. Insomma, un quadro teorico nel complesso confuso, incoerente e tutt'altro che soddisfacente. In definitiva, ognuno è libero di confrontarsi direttamente con le varie comunicazioni di origine medianica e di valutarle alla luce degli orientamenti determinati dalle proprie sintonie psichiche: potrà certamente trovare alcuni interessanti spunti di riflessione, soprattutto in un'epoca – come quella attuale – nella quale i programmi culturali dominanti tendono a rimuovere (o addirittura negano) l'importanza dell'orientamento dell'io cosciente durante la vita umana in relazione al suo destino dopo la morte dell'organismo a cui è vincolato. È opportuno comunque ricordare che ci muoviamo pur sempre nell'ambito delle dinamiche determinate dalla psiche umana, con le quali è proprio la vita organica che ci obbliga a confrontarci, e che la morte dell'organismo rappresenta un passaggio fondamentale (e per noi misterioso) perché l'io può eventualmente andare a sperimentare una dimensione del tutto diversa.

Per concludere, vorrei sottolineare come queste rivelazioni di origine medianica sembrino appartenere ad un'epoca diversa e molto distante dalla nostra, almeno sotto il profilo delle conoscenze di cui noi umani attualmente disponiamo. È facile dunque riscontrare l'ingenuità o la falsità di certe informazioni in merito, per esempio, alle caratteristiche degli abitanti di pianeti come Giove o Marte, oppure al funzionamento fisiologico dell'organismo umano, o anche alle modalità con cui le dinamiche della psiche umana vengono attribuite ad energie come l'elettricità o il magnetismo. Altrettanto ingenue – in modo che a volte sembra perfino offensivo nei confronti della nostra attuale intelligenza – sono le spiegazioni che vengono date sui fenomeni della vita nel nostro mondo e sull'organizzazione della materia vivente. Ora, sarebbe facile giungere alla conclusione che queste informazioni non sono altro che i prodotti del sottobosco immaginario della psiche umana: resta tuttavia il fatto che in alcuni casi le entità comunicanti dimostrano anche di essere in grado di produrre fenomeni fisici – come gli apporti o le materializzazioni – che noi, con le nostre attuali conoscenze, non riusciamo a spiegare, e che implicano poteri di controllo sulle energie del mondo fisico, che vanno ben oltre le capacità umane. Inoltre, queste medesime entità hanno dimostrato a volte di disporre di conoscenze dettagliate e precise di particolari eventi relativi a persone o cose del nostro mondo, ed in qualche caso anche di essere in grado di conoscere eventi che si devono ancora verificare. Mostrando gli effetti dei loro poteri ed interagendo con i partecipanti alle sedute mediante le risorse di cui dispongono, queste entità ne conquistano la fiducia, fino al punto che le loro rivelazioni vengono poi credute anche quando la nostra intelligenza umana dovrebbe indurci ad assumere una posizione critica nei loro confronti. Se lo scopo di questa operazione, che si è protratta per oltre un secolo e mezzo, era quello di convincere l'umanità della continuazione dell'esistenza dell'io cosciente alla morte dell'organismo e della necessità di adottare comportamenti più virtuosi, oggi ne dobbiamo concludere che l'obiettivo non è stato raggiunto, o che la missione è stata abbandonata. Agli esordi del movimento spiritualista, le comunicazioni medianiche facevano spesso riferimento ad una rapida ed universale diffusione di questa nuova fede, che sarebbe stata presto condivisa da tutti gli esseri umani, convinti dall'evidenza dei fatti: così non è stato, ed evidentemente le entità aliene coinvolte in questa operazione non avevano fatto bene i conti con le dinamiche della psiche umana. Può darsi che quest'operazione sia stata intrapresa per iniziativa di un gruppo di entità, che non avevano le risorse necessarie per controllare adeguatamente la qualità delle comunicazioni trasmesse, o per impedire l'accesso ai dispositivi di trasmissione ad altre entità non particolarmente affidabili. Alla luce di quanto accaduto in seguito, sembra invece che abbiano avuto più successo altre entità, le quali – pur senza manifestarsi direttamente – hanno stimolato lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche umane. In base a queste considerazioni, non mi occuperò oltre delle comunicazioni o delle rivelazioni di origine medianica, a meno che non mi capiti di imbattermi in qualcosa di veramente significativo e convincente, che sia in grado di superare tutti gli ostacoli posti dalla psiche umana.

Le NDE come fonti di informazione sulle esperienze dell'io spirituale

In questo sito ho già diffusamente trattato delle NDE sia nelle pagine della sezione ad esse dedicata, sia nel Blog 2021 (Gli studi e le ricerche sulle NDE), così come nel Report sulle NDE (prima e seconda parte) del Blog 2022. In relazione al confine rappresentato dalla morte dell'organismo, di cui ci stiamo ora occupando, le NDE presentano il vantaggio di poter essere considerate come esperienze reali – per quanto esclusivamente soggettive – accessibili all'io cosciente di un essere umano, al quale possiamo attribuire caratteristiche analoghe a quelle del nostro io. Quando riteniamo di poter prestar fede ai racconti di coloro che sono passati attraverso una di queste esperienze, valutiamo la possibilità che, in corrispondenza con la morte del nostro organismo, qualcosa di simile possa essere sperimentato anche dal nosto io. Ma dato che si tratta di esperienze tipicamente soggettive, è evidente che questa possibilità non si può tradurre in certezza: piuttosto prenderà la forma di desiderio o di timore a seconda della qualità dell'esperienza stessa nella valutazione che ne fa il nostro io cosciente. Come si è visto nel Report sulle NDE di questo sito, il fatto di poter disporre di un elevato numero di resoconti di esperienze di questo genere ci consente di mettere in evidenza quegli elementi che ricorrono in esse più frequentemente, e che dunque presentano maggiori probabilità di verificarsi. Va tuttavia tenuto sempre presente che, nel complesso di queste esperienze, la prossimità dell'organismo dello sperimentatore alla condizione critica di morte è molto variabile, ed in nessun caso può evidentemente essere considerata come definitivamente raggiunta, dato che l'io cosciente dello sperimentatore è stato di nuovo connesso al suo organismo e ci può raccontare la sua esperienza. Uno dei maggiori ostacoli che – come è facile verificare – impediscono all'io cosciente di essere convinto della continuazione della propria esistenza alla morte del proprio organismo, è rappresentato dalla constatazione dell'aleatorietà degli stati di coscienza, a seconda delle condizioni in cui viene a trovarsi l'organismo stesso. Infatti, affinché l'io possa sentire di esistere, è anzitutto necessario che sia cosciente della propria esistenza, dunque, in accordo con quanto sperimentiamo durante la vita organica, è indispensabile che la coscienza funzioni: senza coscienza, niente io, quanto meno nella vita umana. Ma è per noi evidente che gli stati di coscienza dipendono dal funzionamento di particolari aree del cervello, e che – di conseguenza – la coscienza può essere messa fuori uso intervenendo sulle condizioni dell'organismo. L'interesse verso le NDE è suscitato in buona parte dalla supposizione che stati di coscienza alternativi vengano attivati – senza che si sappia come – anche in condizioni nelle quali si ritiene che, di norma, la coscienza ordinaria dovrebbe essere spenta. Naturalmente ci sono anche coloro che non condividono tale supposizione, e credono che le condizioni in cui si trova l'organismo di chi sperimenta una NDE, nel periodo in cui l'evento accade, siano tali da consentire il funzionamento organico della coscienza. Si tratta di una questione piuttosto complessa, le cui implicazioni – anche sotto il profilo socioculturale – sono più profonde di quanto di solito non si pensi.

La constatazione (e, tecnicamente, anche la dichiarazione) della morte di un organismo viene sempre fatta dall'esterno, per così dire, ossia da qualche altra persona ancora vivente, dando per scontato che, per quanto se ne può sapere, le condizioni fisiologiche dell'organismo considerato morto non consentano più alla coscienza di riaccendersi, e dunque all'io cosciente di sperimentare qualcosa nella nostra dimensione. Ma mentre in alcuni casi l'organismo dichiarato morto presenta condizioni di deterioramento tali da escludere qualsiasi forma di funzionamento cerebrale (come ad esempio nel caso di un organismo bruciato in un incendio), in molti altri casi il processo di deterioramento e di decomposizione post mortem procede normalmente con i propri tempi, e di conseguenza l'assenza di qualsiasi forma di coscienza anche nelle fasi iniziali di questo periodo viene ragionevolmente ipotizzata in base alle attuali conoscenze sul funzionamento del cervello. Tuttavia, come abbiamo già osservato nella pagina su Gli studi e le ricerche sulle NDE, con particolare riferimento a quanto esposto dal dottor Sam Parnia, esperto internazionalmente riconosciuto nel campo delle tecniche di resuscitazione, nel suo libro del 2013 Erasing Death - The Science That Is Rewriting the Boundaries Between Life and Death (Cancellare la morte - La scienza che ridefinisce i confini tra la vita e la morte), negli ultimi decenni queste tecniche di rianimazione hanno fatto grandi progressi, consentendo di riattivare i processi cerebrali, e dunque la coscienza, dopo diverse ore, anche in organismi che in passato sarebbero stati considerati e dichiarati definitivamente morti. Se è vero quanto ha raccontato Yuri Rodonaia in merito alla sua NDE, il suo corpo rimase in un obitorio per tre giorni – considerato morto e gestito come tale – prima che la sua coscienza si accendesse di nuovo nel suo organismo. E si sospetta che in passato si siano verificati casi di organismi chiusi in una bara e seppelliti, prima che un ritorno di coscienza costringesse l'io a sperimentare un'agonia non certo piacevole. Sono stati anche accertati rari casi di persone, sottoposte ad interventi chirurgici, per le quali l'anestesia non aveva funzionato a dovere in relazione all'eliminazione della coscienza, pur risultando efficace nell'inibizione dell'attività muscolare, col risultato che il loro io sentiva intensamente il dolore, ma non riusciva a comunicare la sua condizione cosciente allo staff medico. Dunque non è semplice attribuire al funzionamento del cervello una forma di attività cosciente – anche se non ordinaria – quale è certamente quella che consente le NDE, in condizioni nelle quali si ritiene che il cervello non sia in grado di mantenere la coscienza: questa questione è già stata trattata nella pagina su Gli studi e le ricerche sulle NDE, alla quale si rimanda. Qualcuno potrebbe obiettare che le NDE non richiedono una coscienza ordinaria, come quella dello stato di veglia, ma una coscienza affine a quella onirica, che potrebbe essere il risultato dell'attività cerebrale anche in quelle condizioni in cui il cervello non può determinare lo stato di coscienza ordinaria. Ma, al di là del fatto che non abbiamo ancora sufficienti conoscenze in merito alle correlazioni tra gli stati del cervello e gli stati di coscienza, molti sperimentatori delle NDE negano il carattere onirico delle loro esperienze, e spesso affermano con convinzione che esse sono ancor più reali della realtà percepita mediante la coscienza ordinaria dello stato di veglia.

Indipendentemente da quali siano le dinamiche tecniche, se così mi posso esprimere, mediante le quali le NDE si verificano, è evidente che il valore e l'interesse che esse rivestono per l'io cosciente risiede nell'esperienza stessa, che non di rado supera per importanza qualsiasi altra esperienza l'io abbia fatto durante la propria vita. In relazione a questo fatto, potremmo dividere l'umanità in tre categorie: coloro che non si sono mai trovati nelle condizioni critiche in cui talvolta si verificano le NDE, coloro che – pur essendosi trovati in tali condizioni – non hanno sperimentato una NDE (la stragrande maggioranza), e coloro che ne hanno vissuta almeno una. Nel gruppo minoritario di coloro che hanno sperimentato una NDE possiamo ancora distinguere tra coloro la cui esperienza è stata vissuta dall'io cosciente come negativa, angosciante o infernale (una minoranza), coloro la cui esperienza è risultata prevalentemente positiva ma non particolarmente ricca, complessa, estesa nel tempo e significativa (probabilmente la maggioranza), e coloro per i quali l'esperienza ha avuto un impatto emotivo, percettivo, intellettivo e sentimentale talmente ricco di significati e di contenuti da renderla, oltre che indimenticabile, diversa e più importante rispetto a qualsiasi altra esperienza della loro vita. Le esperienze di quest'ultimo tipo ci offrono importanti indizi e stimoli di riflessione su quella che può essere definita la dimensione dello Spirito, così come l'io cosciente potrebbe sperimentarla, una volta libero dai vincoli del suo organismo e trasformato in io spirituale. Trattandosi di esperienze effettivamente vissute dall'io di alcuni esseri umani, non presentano le stesse ambiguità interpretative determinate dalle contaminazioni della psiche che caratterizzano le comunicazioni medianiche: infatti, mentre queste ultime pretendono spesso di essere considerate come oggettive, le NDE sono per loro natura soggettive, e dunque la loro variabilità non ci sorprende. In ogni caso, considero le NDE tanto più interessanti quanto più si differenziano rispetto alle dinamiche della psiche che coinvolgono l'io durante la vita organica: sotto questo aspetto la dimensione dello Spirito può rivelarsi realmente come qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che crediamo possa essere, e che ci viene suggerito dalla polarità positiva della psiche, dalla quale scaturiscono le varie idee sulla divinità e sui premi, punizioni, espiazioni, meriti e demeriti di cui sono infarciti quasi tutti gli orientamenti religiosi, costretti a fare i conti con le dinamiche bipolari della psiche umana. Il fatto che l'energia dello Spirito sia libera dalla bipolarità che caratterizza la nostra psiche cambia completamente la prospettiva, e non mi sembra un caso che alcuni di coloro che hanno sperimentato quella dimensione ricordino di aver compreso il significato di ogni cosa, e di aver ricevuto una risposta chiara, incontrovertibile e di immediata comprensione ad ogni loro domanda, salvo poi essere costretti a dimenticare tutto ciò che sapevano nella fase di ritorno alla vita organica, ed alle consuete dinamiche della psiche umana. Anche il fatto che l'energia dello Spirito venga percepita, sentita ed interpretata come amore assoluto, infinito ed incondizionato, rappresenta un'ulteriore conferma della sua sostanziale diversità rispetto all'energia della psiche. Si tratta di due dimensioni realmente diverse e separate, e la morte dell'organismo può rappresentare per l'io cosciente l'occasione per effettuare il transito dall'una all'altra.

La maggior parte delle NDE avvengono spontaneamente, non sono cioè né previste né attese dall'io di coloro che ne fanno esperienza. Sebbene ai nostri giorni le informazioni sulle NDE siano sempre più diffuse, e dunque il numero delle persone che ne hanno sentito parlare cresce continuamente, molti di coloro che hanno reso pubblica la loro esperienza affermano, rispondendo ai questionari, che non erano al corrente delle NDE quando si era verificata la loro. Inoltre, come abbiamo già avuto occasione di osservare, non sembra vi sia una relazione precisa tra la qualità della vita o l'orientamento dell'io di coloro che hanno sperimentato una NDE, ed i contenuti dell'esperienza stessa, anche se alcune dinamiche della psiche dei soggetti coinvolti possono manifestarsi durante una parte di essa. Quando l'io cosciente entra nel raggio d'azione della dimensione dello Spirito, tutto sembra trasformarsi, anche se in vari casi (ma non sempre) i ricordi e le conseguenze del confronto dell'io con le dinamiche della psiche sembrano riflettersi in quella che viene chiamata la revisione della propria vita. Quello che più ci sorprende è il fatto che in questo processo, nel corso del quale l'io cosciente può rivivere con rammarico e talvolta anche con pena le conseguenze negative provocate negli altri da certi suoi comportamenti o dall'espressione dei suoi pensieri, esso sente il conforto di una presenza sublime che non solo non lo giudica, e meno che mai lo condanna, ma nemmeno gli fa calare dall'alto – per così dire – il proprio perdono: anzi, quasi sempre lo Spirito manifesta una sincera, cordiale ed affettuosa empatia nei confronti della condizione di debolezza che l'io è costretto a sopportare durante la sua vita organica. In alcuni casi la dimensione dello Spirito viene esplicitamente descritta come un luogo in cui dolore e sofferenza proprio non esistono, nemmeno come riflesso di ciò che accade in questa vita organica, una dimensione che si trova veramente al di fuori ed al di là del bene e del male. In quella dimensione l'energia dello Spirito viene sperimentata dall'io cosciente come amore puro, incontaminato ed assoluto che permea ogni cosa nello spazio-tempo. L'io si sente intensamente attratto da questa energia – che veramente merita di essere chiamata divina – al punto da perdere interesse verso qualsiasi altra forma di esperienza, e da avere come unico desiderio quello di poter restare nella sfera di influenza dello Spirito. Si comprende, allora, come la dimensione dello Spirito sia completamente al di là della portata della psiche umana: mi sembra soprattutto importante capire come lo Spirito sia qualcosa di differente e di ben distinto anche rispetto alle idee sulla divinità che ci vengono proposte in varie forme dalla polarità positiva della psiche umana, idee che restano sempre contaminate dal bipolarismo che contraddistingue l'energia della psiche, e dunque dalla contrapposizione tra bene e male. Conviene riflettere con particolare attenzione su questo fatto, perché proprio l'assuefazione dell'io alle dinamiche della psiche umana, contratta durante la vita organica, potrebbe essergli di ostacolo nel processo di transizione alla dimensione dello Spirito.

La mancanza di conoscenze affidabili in merito alle varie energie presenti nel cosmo, che ha da sempre caratterizzato la condizione umana (quanto meno fino ai nostri giorni), fa sì che le dinamiche della psiche umana agiscano sull'io cosciente in modo prevalentemente emotivo e sentimentale, costringendolo ad identificarsi con esse ed impedendogli ogni forma di elaborazione autonoma che gli consenta di studiarle, di interpretarle, di conoscerle e, di conseguenza, di controllarle meglio. Fatta eccezione per quelle energie che rientrano nell'ambito della fisica, la cui conoscenza è notevolmente aumentata negli ultimi secoli, le altre forme di energia sono ancora interpretate in forma prevalentemente mitologica, sotto l'influenza della psiche umana. Sotto questo aspetto, i programmi culturali di condizionamento collettivo mostrano ancora tutta la loro efficacia nel determinare le prevalenti sintonie di funzionamento, alle quali milioni e milioni di individui umani si adeguano, come automi ben progettati. Eppure, proprio nell'epoca in cui stiamo attualmente vivendo, si notano degli indizi che potrebbero denotare l'inizio di radicali cambiamenti rispetto al modo in cui l'io cosciente è stato fino ad oggi coinvolto nelle dinamiche della psiche umana: uno di questi cambiamenti consiste nella diffusione delle informazioni sulle NDE; un altro cambiamento, strettamente associato ai progressi conoscitivi e tecnologici, è dato dalle modalità con cui le menti umane sono intensamente indotte ad interagire nell'ambito delle reti informatiche digitali, in particolare con il recente sviluppo delle interazioni legate all'intelligenza artificiale. Può darsi che in un futuro non lontano la rapida diffusione e circolazione delle informazioni produca una sorta di intelligenza collettiva capace di supplire, in una certa misura, alle limitate risorse individuali di cui ognuno di noi, chi più chi meno, può disporre. Vedremo se sarà così. Ma per quanto riguarda l'io cosciente individuale ed il suo destino dopo la morte dell'organismo alla cui esistenza (ed al cui funzionamento) è legato in questa vita, due sono le questioni veremente importanti che lo riguardano, e per le quali cerchiamo una risposta. La prima è quella relativa alle cause della diversità degli orientamenti dei vari io individuali durante la vita organica, ed alla maggiore o minore resistenza di ciascun io cosciente nei confronti del coinvolgimento con le dinamiche della psiche di cui fa esperienza, e con le quali tende ad identificarsi. La seconda riguarda l'importanza della determinazione dell'io allo scopo di riuscire a trasferirsi con successo nella dimensione dello Spirito, sempre che lo voglia e che questo evento sia possibile, alla morte del suo organismo. Anche se queste domande possono rimanere senza risposta, non sarà inutile cercare di approfondire le ragioni per le quali ce le poniamo, e le finalità dell'interesse che esse suscitano in noi.

Nonostante le sintonie derivanti dalla polarità positiva della psiche ci inducano spesso a considerarci, in quanto esseri umani, tutti fratelli, le differenze che si riscontrano tra una persona e l'altra sono innegabili: per quanto riguarda la formazione e lo sviluppo dell'organismo, le cause di tali differenze sono genetiche, ambientali ed anche culturali; ma per quanto riguarda la formazione, lo sviluppo ed il funzionamento dell'io cosciente – il quale, almeno da un certo periodo in poi, deve provvedere anche alle esigenze del proprio organismo, ed in molti casi anche a quelle di altri organismi di cui prende cura – oltre all'influenza dei programmi di condizionamento culturale, si riscontrano tutte le differenze di risorse (intellettive, volitive, creative, carismatiche, affettive, ecc.) determinate dal funzionamento della mente, che suscita tutte le particolari sintonie nelle quali ogni singolo io cosciente viene coinvolto a causa della frammentazione della psiche umana in una pluralità di entità indiividuali. Per quanto i programmi culturali che vengono adottati in funzione delle esigenze collettive cerchino di promuovere un modello standardizzato di comportamento umano, i comportamenti delle singole persone dimostrano quanto sia possibile discostarsi da tale modello, in misura più o meno rilevante: questo fatto diventa tanto più evidente in quelle epoche storiche – come quella in cui stiamo attualmente vivendo – nelle quali i modelli di funzionamento collettivo entrano in crisi, perdendo la capacità di influenzare o di controllare con l'energia necessaria le dinamiche che sgorgano spontaneamente ed in modo autonomo dalla psiche individuale. Ovviamente, se il sentimento della libertà personale può venire esaltato (anche se spesso in modo illusorio) da questo stato di cose, il buon funzionamento di una società umana ne risente negativamente, con conseguenze che ricadono poi sulle persone che ne fanno parte. Resta il fatto che, come ho sempre messo in evidenza in questo sito, per quanto riguarda noi umani la dimensione della vita organica resta sotto il controllo della psiche, dalle cui dinamiche l'io cosciente viene comunque coinvolto – in una forma o nell'altra – dato che questo sembra essere il motivo della sua esistenza: sperimentare alcune sintonie della psiche e confrontarsi con esse. Ma proprio sotto l'aspetto dell'identificazione con le dinamiche della propria psiche si riscontrano sostanziali differenze tra un io e l'altro, differenze che si riflettono anche sul modo in cui l'io si prefigura, in prospettiva, il destino che lo attende alla morte dell'organismo al quale è vincolato in questa vita. Infatti, tali differenze dipendono – in mancanza di esperienza diretta – da quello che la psiche suggerisce all'io, e dunque dall'acquiescienza dell'io nei confronti di tutto quello che la propria psiche gli detta. Quanto meno, coloro che hanno sperimentato una NDE possono contare sull'esperienza diretta di qualcosa che non di rado si è verificata in coincidenza con una condizione critica dell'organismo che potrebbe aver avuto come conseguenza una morte definitiva, anche se poi questo non è accaduto. Come risultato della loro esperienza, spesso l'orientamento dell'io cosciente di queste persone nei confronti delle dinamiche della propria psiche si modifica sensibilmente.

L'elemento che maggiormente influenza le dinamiche della psiche umana in relazione alla morte dell'organismo è il trascorrere del tempo: se le esperienze del passato contribuiscono a determinare le progressive trasformazioni dell'io nel corso della vita, incrementando non di rado le risorse della sua coscienza, è anche vero che l'io sembra vivere in un continuo presente, nei confronti del quale il passare del tempo riduce continuamente le aspettative di durata della vita futura. Ad un certo punto della vita, inoltre, l'organismo umano comincia a manifestare i sintomi di un declino che col tempo si vanno trasformando in quel deterioramento – spesso associato ad infermità di vario genere – che quasi sempre precede la morte per anzianità. Di conseguenza, quello stesso io che in gioventù si sentiva inebriato dalle dinamiche della psiche, che potevano farlo sentire immortale ed assetato di esperienze di vita, può finire con lo sperimentare, durante la vecchiaia, dinamiche completamente diverse, fondate sulla malinconia dei rimpianti o dei ricordi del passato, e sulla cartezza che il futuro, che si riduce di giorno in giorno, sarà sempre più avaro di emozioni positive, intense ed affascinanti. Si crea così una sorta di dissociazione tra un'umanità che – pur nella diversità delle sue varie componenti culturali – continua il suo percorso, ed un io che sa (e che sente) che la sua esperienza umana sta per terminare: i bambini, i giovani, le persone mature e gli anziani esistono in ogni epoca, ma l'io individuale non può fermare il tempo della propria vita che, nel suo scorrere inesorabile, esercita i suoi effetti sull'età anagrafica del suo organismo. L'interesse nei confronti della vita umana non consiste nel fingere di poter restare per sempre giovani, e nel tentare di volersi comportare come tali, spesso con effetti ridicoli, per esorcizzare il pensiero della morte che si avvicina, anche se è vero che i programmi culturali attualmente prevalenti nelle nostre società avanzate cercano di promuovere atteggiamenti di questo genere, con l'intento di valorizzare al massimo la vita organica. Nella parte finale della sua vita organica, sarebbe più opportuno per l'io cosciente utilizzare una parte del tempo che gli resta da vivere per prepararsi alla morte al meglio delle proprie capacità, così come ci si prepara in previsione di un lungo viaggio in territori misteriosi ed inesplorati, piuttosto che arrendersi passivamente e rassegnarsi all'idea che l'inevitabile morte del proprio organismo determini l'annientamento dell'io e la fine di ogni sua esperienza. Vedremo nel prossimo post quali possono essere le risorse che l'io ha a disposizione per affrontare questo viaggio nelle condizioni più favorevoli e con le migliori prospettive possibili.


 

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