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'l fuoco sfillava perdendosi 'n faville; l'armaro battea colpi sonanti in sul su' ceppo, poi ritornava verso 'l fuoco e vi rimettea 'l ferro e con gran lena vi dea soffio; quando questo erasi arrossato abbastante lo riportava in sul ceppo ed altre faville ne nascean. Al di fuora della porta apparenza avea fatto un piccol monello che dava conoscenza che molto dilettavasi di gran piacere all'opra dell'armaro. Questi il vide e chiamollo a sé: «Di', moscino, da che abituro tu vieni?».
Questo fecesi avanti e rispose: «Vengo dalla piana dell'Elsa, messere».
«Ma io veggo che sei 'nzuppo; che diavolo è stato?».
«Oh! messere – rispose il monello – l'Elsa dette fuori questa notte e la capanna nostra, ecco messere, presa è stata dall'acqua».
L'armaro appoggiossi al ceppo e domandando fecesi attento. «E li tuoi famigli?».
«Oh! messere, che cosa ne so io?! L'acqua crebbe con tal ripiglio che colti fummo nello sonno; io sentia trambusto come di cosa che muover faccia, ma tanto preso ero dal sonno che poco ascolto diedi; poi da Algo (il cane) fui svegliato e resomi conto di ciò che succedea chiamai a gran voce li miei famigli, ma questi già s'eran iti. Lesto balzai fuori dell'abituro, ma l'acqua mi dea già sopra alle ginocchie; molto patii freddo e paura, messere, e molto chiamai per li nomi li miei, ma questi favella di risposta a me non diedero. Ed ora, messere, sono qui; perdonate se ardisco farmi vicinante quello fuoco, ma molto ho freddo». 'l monello avvicinossi al chiarore della brage stendendo le mani non senza pria aver dato strapazzo.
L'armaro mosso non si era durante 'l favellar di quello, ma due lacrime le spuntarono alli occhi, e a piccol tratti scendendo si perderon nello fondo della barba. Scossesi come ad apparir di brivido passando 'l dorso della maestra sulli occhi; poi fece sospiro e buttato 'l martello più a disparte avvicinossi a quel monello, e messegli una mano sui capelli come a dimostrare affetto. A quella carezza 'l monello alzò li occhi: fu allor che l'armaro vide che avea capelli biondi e molto piegati, e li occhi eran color dell'acqua quando specchia il cielo; 'l volto rosato e molto bello.
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«E questa quanto vale?».
L'armaro presela in sulla mano e dettegli ondeggio come a fare peso; mise 'l labbro di sotto più a fuori dell'altro e favellò: «Messere, datemi quattro dei vostri fiorini e, come vero l'acqua, io vel' cedo».
L'altro alzò le ciglia come a dimostrar sorpresa e presala in sue mani andava col dito provandogli 'l filo.
«Messere armaro, sembrami che troppo chiediate; questa vedete – e trasse fuora la sua ch'apparia spezzata più 'n su della metà – m'abbastò più d'un tempo; a San Gimignano ne spezzò più di sei, e a Rocca d'Olivo spezzò un ficcone. Mirate l'impugnatura degna di cesellatore; sapete di chi è tal opra? Di messer Bandinello di Ciappo in quel di Siena; eppure mel chiese quasi tre soltanto».
L'armaro l'osservò, e facendo sorriso disse: «Caro messere, molto ben conosco quell'artigiano, sì ch'egli ebbesi a pigliare certa mia lezione nel ricavar l'impugno dal sol pezzo, ma perdonate messere, se vi dico che mai dettegli spezial cura nel piegare 'l ferro, sì che molte delle sue spezzasi sempre sotto 'l mettimano». E così favellando presene una dal tavolone, e facendo presa in sulla punta, con gran picchio dette l'impugnatura in sul ceppo e poi mostrolla al messere. Questi parve messo a contento di tal prova, trasse 'l saccoccio dalla cintura e contò fino a tre, avendo cura di farli tinnare perché più buon occhio facessero. «Basta così?».
L'altro riguardò e di subito rispose: «No, messere; com'è vero l'acqua io vi dico che non mi comperate neppure 'l mettimano».
L'altro fece sorriso che dea in malizioso, e continuò: «Eccovi dell'altro, messer armaro, e credo che ciò basti; eppoi 'l vecchio ferro lo cedo a voi, prendete». E dettegli 'l resto dell'opra di messer Bandinello. Riprese 'l mantello e 'l copricapo, non senza prima aversi bene assicurata all'anna la nuova compera, e di nuovo il disse: «Fra dieci dì, messere, sarò di ripasso e parlerovvi di mio contento in quanto a questa». Fece saluto con la mano e d'un sol salto balzò a cavallo sparendo a dietro la vecchia torre.
L'armaro lo avea…
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«Pietade, messeri; i' prego lo Dio per le glorie delle vostre, pietade, messeri».
Ma Beccario andaa innanzi col su' dire: «Taci, fellone, pietade io non cognosco; fuora le armi, quelle pur sogguattate, in quale sito han preso alloggio?». E ancora dando strappo rabbio alla su' barba: «Favella, rognoso de' Branducci».
Ma l'armaro risposta non dette e muto stevasene per amor delli altri che in cor tenea. Beccario da nero livor preso trasse ancora con la su' forza bruta quella barba, e sì tanto rudemente, che quello dal dolor sen' cadde al basso mentre gemea: «Mio Dio, mio Dio, pietade».
Li altri dannati intanto dean rovisto al tutto sottosopra mettendo. «Ecco», favellò uno a Beccario che dimenticanza non avea fatta di posare lo su' calzare sul collo dell'armaro, e puosegli una di quelle tasche di pelle. Beccario strappolla dalle mane di costui e fattovi padron la su' tozza mana trasse al fuora quelle spezial carte che già da dì in serbo tenean quelle cosette di Volterra.
Ma questi non avendo 'n dote quella sappienza che cognoscer fa li scritti altrui, fe' muover di capo addimostrando l'aver capito 'l tutto, e 'n favellar dié comando: «Presto, portate a me un cavallo e della bona cordaccia; voglio inviar costui alli suoi». E quando fu a lui uno con la cordaccia, legò bene bene e molto forte le bracce dell'armaro al su' dreto, alzollo sulli piedi e dissegli dell'orecchia: «Porta pure li nostri saluti, e lo Dio ti maledica sempre». E legato ch'ebbe 'l finir della cordaccia alla coda del cavallo, punzecchiollo collo su' stocco appresso 'l sito, sì che questi nitrendo dal dolor misesi 'n correr traendosi al dreto l'armaro...
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«Messere armaro, oh, messere armaro! perché a me favella non date? Datemi risposta». Riscese li scaletti e di nuovo mise li piedi in quell'abituro ove li arnesi del mestiero buttati erano a sciantinio: 'l ceppo era a terra, 'l pinzone e la martella e 'l piegalame disseminati erano al fuori, e li stocchi, li ficconi e le tremende, assieme ad altro, non faceano più visione; chi a quello modo avea messo tutto, s'erasele prese 'n compagnia.
«Messere armaro – ripeté ancora quel piccolo con favellar tremante – per pietà, voi che molta affezion mi deste, datemi risposta, e promessa vi faccio di non far pianto». E li suoi occhi scorrere avean di lagrimare. Oh, che male fa allo core 'l dolore che un piccolino prova! E se va 'n lagrimare, finzion non ha come ad altro si convenga, e molto soffre sì che ad altri poco è dato 'l conoscer simil soffrire. E in mentre ch'avea pianto cercò menare al dentro quel che al fuori steva; poi provossi a mettere allo suo posto 'l ceppo, ma la forza sua non era forte, e veduto che non vi riuscia, in sopra vi cadde, e ben abbracciandolo come solea fare con l'armaro, dettevi gran pianto che anco la stella che dallo ciel fa luce, misesi nuvola per non veder sì doloroso pianto.
Forse poco o non molto durato sarà quel piangere; e come fa su' piccoli che dopo pianto prendon sonno, pure quello addormentossi sempre dando stretta a quello ceppo; e forse avea sogno, che udir non poté neppure il giunger di cavalli 'n corsa. E un cavaliere scendendo dette resìa.
«Tardi siam giunti – disse – e quel che dovea succeder già è fatto».
Anche li altri che forse eran quasi sette, scesero.
«Diavoli dannati! inseguiamoli» disse un altro.
«Troppo ben tu dici, Grattagatti, – disse Testa – ma chi sa da qual parte se ne son iti? Guardiamo che diavol fecero».
Ed entrati che furono in quell'abituro, viddero quel piccolo sempre dormiente.
«Lo hanno forse ucciso?» chiese Chiappo treciando li denti; al che Grattagatti fece disgusto ficcando le dite nelle orecchia a simil rumore.
«Diavoli degni di vescovi – disse Testa toccandosi lo stocco – ben aspetto quel giorno che in due vi spiccherò la capoccia».
«Eppur le armi sparìe sono» disse lo Zoppo che entraa dopo aver dato sicuro alli cavalli.
«Volei forse, Zoppo dannato, che fussero quelli qui a poggele?» risposegli Chiappo.
«Zitti, cane bolloso di vescovo – disse Nappino ch'erasi avvicinato allo piccol; – questo pulzellino non è moruto, ma dormesi».
Li altri avvicinaronsi circondo facendo, e Testa guardollo bene al volto ch'avea per metà in veduta; e strinti li occhi li riaprì al grande, dicendo in piano: «'l crino l'ha chiaro e anelloso, 'l naso è quello, come pur l'orecchia. Amici del diavolo, quando veduto arò 'l color che l'occhio le tinge, vi dirò cosa che 'n dubbio sta, ma forse è veritiera».
«Sveglialo» lo Zoppo chiese.
«Taci, Zoppo di vermini pieno – disse Chiappo – un tu vedi che ben dorme?».
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Un'altra pagina del quaderno con la trascrizione del romanzo medianico |
«Non aver temore, favella». E li suoi occhi fissi si faceano ne' suoi.
Ma quelli avean lagrimare alquanto e lo singulto faceasi udire più spesso alla su' gola, sì che a stento trarre sapea favella. Testa accarezzollo ancora a' be' capelli e fece nuovo cenno a Chiappo affinché costui li desse ancor dell'acqua.
«Bevi, pulzello, e lo singulto passerà; così chioserai come successe 'l malanno e dove ficcossi 'l buon armaro». E mentre esso sì favellaa a quello giunse Gaggione e lo Zoppo a caval battuto portanti novità di nulla aver saputo per qual direzione menarosi quelli dannati.
«Che 'l diavolo siaseli presi pel fuoco suo» resiò Chiappo. E ogni uno di quelli a mo' suo favellò.
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Alzando 'l volto allo cielo mormorò: «Che male feci? Oh, madre mia, soccorrimi con le tu' ali e fa' ch'i' venga teco, onde nudrendomi dell'amor grande, più non veda questi lochi pien di orrore che molto fan tremare!» e dea 'n lagrimare.
«State 'n silente» dissegli ancora l'altro. Ma quella, non udendo, continuò: «Oh, Dio pieno di bontade che alle genti non è dato 'l conoscerla, abbi misericordia di tutto».
L'altro avvicinossi e per lo braccio prendendola fecegli forza grande, e ben spintandola dissegli ancora: «Tacete col vostro Dio, che dammi gran fastidio 'l sentir nomare ch'io non vedo». Eppoi 'n gran risore continuò: «Fra poco le vostre cose che soltanto a pensierarle faceano aver mozza la lingua, saran da tutti ammirate e molto dietro alle parole faranno ire».
La poveretta nell'udir ciò dette 'n singhiozza che cessolle d'un tratto, e dalla su' gola uno suono uscì come di strozza, mentre li occhi eran grandi e molto fermi, e le mani assieme allo su' corpo avean tremore. Veder si potea ch'ella l'era più morta che viva e che 'l pensare a simil spettacol molto l'atterria, e meno venne cadendo a basso. L'altro non degnolla neppur delli occhi, e uscito che fu si udì lo stridare del chiavaccione che entraa nel su' posto.
E mentre ch'ella giacea a basso immobil come morte, la Stesa che dovea gustar sì brutal spettacol si facea sempre più pregna di genti venute chi sa da dove. Vedeansi giungere messeri pien di polvere che deano impression d'aversi lunghe miglia divorate; vedeansi madonne di tutti i tempi, e poteasi notar benissimo che v'eran madonne di buon casate che non arrossian di scontento per tutti que' beceri da stese, anzi spesso qualcuna volgendo 'l volto alle su' monne dea 'n sorriso ch'addimostraa contento 'l sembrargli d'esser becera pur lei…
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Si accorse che li suoi occhi avean veduto quello volto ch'apparia come a persona che morta sia, e parvegli che lo su' core di batter cessasse, e già stea per venir meno, ma 'l su' pensiero che ben sapea d'aver lo corpo forte e pronto a tutto, richiamollo al buono dando allo su' volto certo colore che molto sembraa 'l diavolo che ben descritto avea lo grande maestro. Li suoi occhi aperti al grande fissi erano verso quella poveretta che nuda al basso giacea, e forse cercaa con quello di tesser certa veste laonde le su' bellezze vista non facessero; e le sue orecchie di ricever suoni avean cessato sì che questi nulla udiva delli incitamenti che li suoi gettavan, e nulla udiva delli altri che, soppresi dalla soppresa, urlavan resiando mettendosi 'n difesa, e nulla udiva delli altri che al fuggi si deano, e li suoi occhi non si accorsero che qualche madonna dal terror svenia veniendo dalli cavalli calpestata. Li suoi occhi miravan quello volto che molto nello su' cor vivea, e le sue orecchie a quella bocca le portaa, onde nell'attento capirvi favella o sia lamento. E mentre li suoi menaan botte a manca e a maestra, Brando si facea entro a loro incitandoli a tutto fare. Corpi ve n'eran già a terra, e gemiti venian da resìe; e quando vicino fu a quello chiuso diede piglio alla tremenda rompendo que' legni che duri erano.
Chiappo le si era fatto appresso, e sceso che fu dal su' cavallo presesi sulle sue bracce quella giovin madonna e dettela sul cavallo a Brando ben dicendo: «Attento, mio messere, sempre tenetevi al nostro dreo, che a far ciò che diceste penseremo noi». E fatto per rimontare sul su' cavallo vidde allor costui che uno già l'avea colpito e le stea tagliando la gola. Li suoi occhi brage sfillaron, e ben treciando li denti, con balzo le fu addosso e dettegli tal mazzata sulla testa che le fece spiaccio sino alla gola schizzando allo torno sangue ed altro, sì che pure Chiappo pieno n'ebbe 'l volto.
«
Muori, bolloso» urlò. E con buon colpo di suo stocco spiccò netta la testa ad altro che vicino a Brando si facea.
«Venite, genti dannate» urlaa Chiappo che orribil era con li suoi occhi al fuori, sì che molti ne rimanean tardivi. «E quando perdute arò le armi, mi rimarranno li denti che san far cantare 'l ferro». E forse quel su' costume di battagliare molto tenea a bada quelli che vicinante a Brando voleanosi fare.
Anche Testa giunto era con li altri alla parte opposta, e ben lavorando d'armi e di vociare faceasi passo tra quelle genti che, presi ancora di soppresa in mezzo, rifuggiano al dentro cercando modo di farsi difesa. E quando quelli di Testa furono alli altri giunti, fecer circondo a Brando facendo difesa forte, e di sempre battagliando si spostavan verso la porta; e quando ben sicuro fu 'l tratto, Brando uscì da loro mettendo 'l su' destriero a tutta corsa.
Urli e resìe usciron dalli altri, e essendo qualcuno già bardato a cavallo dettegli inseguimento; ed avendo quelli cavalli minor peso, raggiunto l'avrebbero, ma Testa già avea capito, e facendo voce a Nappino e a Gaggione, buttaronsi a loro dietro non senza pria collo su' occhio aver veduto che Chiappo era caduto e già uno delli altri stea per finirlo; ma lo Zoppo che sempre sul cavallo steva, più svelto fu di quello, e con la tremenda le troncò la vita. Chiappo erasi già rialzato, ma molto sangue dallo volto perdea sì che aspetto umano più non avea; inciampò una mazza e raccoltala mulinello fecesi allo torno…
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E fattosi chino come a sfiorarle volto, favellò dicendo: «Madonna Grazia, come vi sentite?».
Ma quella non gli dea risposta, e sul su' bel volto veder si potea ancora i segni del terrore e qualche piega eragli rimasta sulla su' bianca fronte.
«Messere, – dissegli Testa – ecco dell'acqua frescata»; e impregnata ch'ebbe una pezza di panno porsela a Brando che con gran affezione misela sulla fronte a Grazia: poi voltossi per la direzione che menar potea a San Gimignano, e di braccio teso disse: «Cani di peste pieni, spiacemi soltanto di non aver dato giorno al core vostro per assincerirmi di cosa siasi nudrito!… e tu, vescovo del diavolo, pieno di dottrine che molto fan resiare, me 'l pagherai com'è vero la stella!».
E sì favellando, nero di collera diventaa e Testa fecegli cenno che tanto non gridasse per amor di quella che ancor non era 'n vita, e questo avvedutosi 'l chiese: «E li altri qual novella ci porteranno?».
«Non crucciatevi, messere; quand'io a voi venni, Chiappo soltanto l'era ferito; oh! è buona volpe lui, e con un buon boccale si rifarà forte; ma mirate messere, – disse poi addicendo a Grazia – sembrami che li occhi si muovino…».
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«Sì, madonna, perdonate 'l mio ardire, ma io assa' troppo vi amo e dir vi posso che molto credo che lo corpo mio si nacque per far difesa a voi che delli angeli siete l'angelo». E prendendole uno delle sue mani accarezzolla nelle sue.
Madonna Grazia, a quel carezzar, ebbesi tremor nello su' dentro; li suoi occhi molto eran lucenti, e le sue guance avean preso 'l color che disconoscere non fa chi bene osserva; poi prese in favellar sì armonioso a dire a quello: «Messer Brando, molto siete buono, e facciovi sapevol che l'anima mia ebbesi sì pura pace sol quando la vostra conobbe».
«Oh, madonna Grazia, – le dicea Brando – i' credo che l'esser felice non esista se questo io lo sono; vi amo, angel mio, e solo lo vostro amore che molto puote, vincer mi ha fatto tutte le battaglie; e vincerò pure per giustizia metter ver' coloro che Antonello uccisero…».
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Il tempo quella sera molto era ito in peggio; 'l vento soffiava e molto a stento in su' piedi stavan. L'acqua trovando i coperti si facea in sulle parti cadendo a sgrondo rinsaltando sullo piano e ripartendosi in tanti strisci che alla fossa menavan. Li cipressi di casa Banti gemeano come anime di purgatorio; poi venia luce dalli schianti su nello cielo e davan giorno luminando li dintorni. I due messeri di poco avanti giunti erano al loro luogo; quello più piccolo scossesi 'l mantello e batté a più riprese li suoi calzari che pregni assai doveano essere. L'altro invece accontentossi solo di sbatter 'l mantello e dar strapazzata di mani che di star ferme non voleano saperne.
La furia intanto un po' lavata era; forse lo piovere calmata avea l'ira che scoteva sì forte l'anima di messer Brando, e voltosi verso l'altro 'l disse: «Caro Testa, l'acqua ci attarda, ma faccia lo Dio che la mia ira di vampar non cessi; mal sarebbe credilo, o Testa». E intanto si rosicchiava 'l dito.
Messer Testa riprese a battere li calzari e favellò a denti stretti rispondendo: «No, messere, l'ira vostra non si spegnerà, se pria lo vostro stocco non avrà bevuto 'l sangue che tanto brama; messer mio, io prego 'l diavolo che compagnia ci tenga»; e favellò resìa che l'altro non udì.
«Appena sullo sfondo segnale ci daran d'esser comparsi, tu in discosto tienti, ma stringi forte 'l pugno che dimenticar non possa che lo stocco è suo».
Messer Testa portossi subito la mano all'impugnatura e assentì di capo.
«Io farommi primo gridando lo suo nome, sì ch'esso in tempo faccia a mettersi a difesa, e, se messere da onore è, farassi avanti dando ordine alli suoi che in disparte stiano; ma bada, Testa, che se tradimento ci fosse, in un salto balza allo mio fianco e cara venderemo la pellaccia nostra». E sì dicendo lo batté in sulla spalla.
Messer Testa serio divenne in sulla fronte, e messasi la mano al giustacuore le rispose: «Messere Brando contare può sullo mio stocco; vi giuro in fede mia che fellon non sono. Per voi mi batto sino all'ultima stilla».
«Lo so, Testa, e ogni tua parola empiemi di coraggio» disse Brando. Poi fecesi attento con l'orecchio e continuò: «Non odi tu, fra il rinsaltar dell'acqua qualche rumor di calzari?». Anche Testa fecesi in ascolto ed accennò col capo.
«Forse è lui – esclamò Brando; – finalmente posso avventarmi a lui con l'anima mia piena d'ira e lo punzecchierò fino alle ossa. Messer Grinta de' Certosi, forse l'ultimo tuo tempo sta per finire!» e con gran forza stringea l'impugnatura. «La mia madonna mai l'avrai e, se così fosse, molto preferirei cascarti a' piedi». Li occhi suoi molto si ingrandivan, la sua bocca storta venia e lo sgrigliar delli suoi denti molto cambiavan lo suo volto ch'era bello assai.
Testa resiò ancora e trasse fuora almen per mezzo…
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«Oh! messere mio, forse 'l braccio mio non potrà più servirvi».
«Taci, non favellar e ben ti farà». E sì dicendo acchinossi verso Testa che a favellar riprese: «Oh, messer mio, quanto spiacemi l'esser caduto pria che 'l mi' stocco avesse voluto 'l suo». Levossi la mano dal petto e guardolla attentamente; questa apparia arrossata di sangue, e sul su' giustacuore apparenza facea una pozza che a giusto crescer s'allargaa; riportossi questa al luogo del dolore e chiusi li occhi riprese: «Oh, messer Brando, io fra poco cesserò l'esser'io, ma partecipe vi faccio che molto vi serbai affetto».
Messer Brando intanto apertolo al giustacuore osservavalo con cura in sulla ferita.
«Taci, o Testa, non ti forzar col favellar, ed io ti dico che ben forte ritornerai»; e voltosi 'n dietro mormorò: «Darei 'l mi' braccio maestro se 'n presenza fosse il ceruso messer Giacco»; ma 'l su' occhio scorgea soltanto corpi che più non si movevan dallo suolo e qualche cavallo che senza addimostrar d'aver ricordo di poco avante pasceasi beato. Li altri forse s'eran'iti portando in loro paura e cavaliere.
«Nessuno che sia vivo» disse a sé messer Brando. «Eppure abbiamo vinto».
Poi rimirò Testa che parea fosse in sonno, ma questi aperto ch'ebbe li occhi il disse: «Oh, messere, io sento certo male qua dentro; forse non vi darò più compagnia».
Con favellar affezionante Brando il rispose: «Che dici omai, Testa; non sai che dei vivere finché io viva?». E presolo sotto alle spalle dettegli sollievo in sulle su' ginocchia.
Testa addimostrò di giovamento: «Messer mio, e s'io morisse?».
«Senti, Testa, se 'l tu' favellar è questo, io non darotti più mia risposta; rassicurati che forte ritornerai e cara venderemo la pellaccia nostra».
A quel favellar Testa piegò la bocca come a far sorriso, ma veder si potea benissimo che molto le costava, e disse: «Messere, sembrami di veder chiarore dalla parte vostra».
Messer Brando guardossi 'n torno, e nulla veggendo, il rispose per farlo contento: «Sì, caro Testa, è la stella grande che sen' va a tuffarsi nelle acque per adilire 'l su' calore».
«Allora la notte verrà e con essa nulla sarà più visivo; ed anco per me ecco ch'essa viene».
Brando voltossi ancora al dietro e pieghe spariron dal su' bel volto, quando udì distinto 'l galoppar di più cavalli verso quel loco di pietade pieno, e veduto che Testa avea li occhi acchiusi, mormorò: «Padre di tutte le cose che in tutto stai, abbi pietà di questa scena e fai che li miei attardar non si possino ond'io giovamento dia a questo infermo». Ma con gran penar di core vide che 'l volto di Testa erasi allividito e dalla su' bocca disserrata uno rivol rubino le scendea in fuori.
Con favella amorosa e pian dicendo il chiamò pel suo ver nome. Questi parea udire...
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