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La psiche umana nello spazio e nel tempo

Le trasformazioni culturali della psiche umana

Nel post dello scorso aprile dedicato all'energia psichica, mettevo in evidenza gli effetti delle sintonie psichiche che si generano per effetto delle interazioni tra i cervelli interconnessi nei gruppi sociali, sui programmi culturali e sui condizionamenti che influenzano e determinano il funzionamento e le esperienze mentali di ogni nuovo membro di quel sistema sociale. Le diverse culture possono dunque essere considerate come le manifestazioni dinamiche (in quanto soggette a trasformarsi nel tempo) di una gamma più o meno ampia di sintonie psichiche, che tuttavia costituiscono solo una limitata regione nell'ambito delle potenzialità presentate dalla psiche umana. L'attenta osservazione di questi mutamenti della psiche collettiva (in quanto sintonizzata dall'attività di reti di cervelli in gruppi sociali più o meno ampi) porta ad una valutazione della condizione umana come stato di assoggettamento nei confronti di qualcosa che ci domina e ci usa, senza offrirci alcuna informazione affidabile né alcuna garanzia in merito alle finalità del processo di cui ciascun essere umano, nascendo e crescendo, entra a far parte. Ad una prima lettura, questa considerazione può sembrare una banale ovvietà. Dal punto di vista interiore, infatti, la vita umana non è altro che questo: una serie di esperienze determinate dalle dinamiche psichiche che si attivano autonomamente o come reazione a determinate variabili ambientali. Ma una volta che la coscienza dell'io si sia sufficientemente evoluta, la domanda sul significato della propria esperienza individuale non può essere elusa.

Il normale funzionamento mentale, che comporta l'identificazione dell'io cosciente con le dinamiche psichiche nelle quali viene coinvolto, viene attivato automaticamente in ogni nuovo essere umano che nasce e cresce nell'ambito di una cultura. Si tratta di un'estensione dei processi naturali già presenti nel mondo animale, nel quale ogni singolo organismo funziona in un certo modo, senza nulla sapere in merito alle cause che determinano la sua temporanea esistenza e (probabilmente) senza porsi domande sul significato della sua vita. Ma l'umanità è caratterizzata anche da un'evoluzione culturale che introduce un sostanziale elemento di novità rispetto alle dinamiche del mondo animale. Ogni cultura trasmette infatti ai suoi membri, tramite i programmi informativi ed i condizionamenti comportamentali, una serie di interpretazioni – spesso presentate come forme di conoscenza – sul significato e sullo scopo della vita, sulle energie e sui poteri ai quali gli esseri umani sono soggetti, e sul ruolo assegnato ad ogni individuo nell'ambito del sistema sociale (culturale) di cui fa parte. La nostra attuale interpretazione in termini psichici di questi processi non ne sminuisce né l'efficacia né il potere: si tratta di energie che hanno sull'io un enorme potere di attrazione, tanto più forte quanto maggiore è il numero di coloro che fanno parte di quella cultura. Non c'è dunque da meravigliarsi se, di norma, l'io cosciente si identifica con le dinamiche psichiche nelle quali viene irretito dal funzionamento della sua mente, condizionato anche dai programmi e dai modelli culturali.

Quando la coscienza intelligente di una persona si è sufficientemente sviluppata da consentire all'io di poter osservare con uno sguardo critico le dinamiche psichiche alla base delle diverse culture che interagiscono nel nostro mondo in una determinata epoca storica – per esempio quella attuale –, emergono evidenti le diversità, i contrasti ed i conflitti nei quali gli esseri umani sono coinvolti. Per non parlare delle dinamiche conflittuali, anche violente, presenti tra le varie sub-culture che si confrontano nell'ambito più ampio di un'organizzazione sociale. Il concetto di cultura infatti può essere riferito a vari ambiti ed a vari livelli di gruppi umani: si può parlare di cultura con riferimento ad uno stato ed alla sua organizzazione (è l'accezione più comune), oppure alla condivisione di una lingua, ad un'attività economica o – come si usa dire – culturale, ma anche ad un determinato modo di pensare e di agire che caratterizza alcune categorie sociali con finalità istituzionali o perfino criminali, come la cultura politica, la cultura militare o la cultura mafiosa. Sono le interazioni più o meno frequenti tra un certo numero di menti (cervelli) a determinare le forme culturali, che a loro volta influenzano i programmi in base ai quali ogni membro di una certa cultura o sub-cultura interagisce con gli altri.

Ognuno di noi si può facilmente accorgere dell'influenza che la cultura ha sulle manifestazioni individuali della psiche, oltre che sui comportamenti che ne conseguono, mettendo a confronto persone appartenenti ad ambienti diversi – pur nell'ambito di una stessa cultura – oppure a culture diverse. In ambito sociale, si ha sempre l'impressione che ognuno debba impersonare il suo ruolo – quale che esso sia – perché non gli è consentito di fare altrimenti. Più una società è complessa, più la sua organizzazione richiede che ognuno svolga con diligenza ed efficienza il ruolo che gli viene assegnato. Di fronte a questa straordinaria manifestazione del potere organizzativo dell'energia psichica, l'io cosciente non può che prendere atto della propria debolezza, ai limiti dell'irrilevanza. Per la psiche collettiva, così come per la natura, il singolo individuo è un'entità quasi del tutto priva di valore, data l'abbondanza di materiale umano di cui può disporre. È il quadro generale del cosiddetto progresso sociale ad interessare la psiche collettiva, e nell'ambito di questo schema organizzativo ad ogni individuo viene data maggiore o minore importanza in relazione al ruolo svolto a servizio di quel progetto collettivo. Fondamentalmente, dunque, la vita degli umani è determinata dall'uso che ne fanno le culture più o meno avanzate che operano nel mondo attuale.

Il ruolo dell'io cosciente come sensore

A fronte dei programmi sociali e culturali che influenzano efficacemente il comportamento di ogni individuo e molte delle esperienze psichiche in cui l'io viene coinvolto, possiamo osservare le diverse modalità con cui l'io cosciente reagisce ai vari eventi della vita. In realtà, come abbiamo spesso messo in evidenza, nella stragrande maggioranza dei casi l'io cosciente si identifica completamente con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono, anche perché uno degli scopi a cui tendono i programmi culturali – particolarmente evidente negli obiettivi perseguiti dai messaggi propagandistici e pubblicitari così diffusi nella nostra epoca – è quello di determinare le risposte emotive a particolari eventi nel maggior numero possibile di persone. Tali risposte corrispondono ad esperienze percepite come felicità, entusiasmo, partecipazione, sensazione di vittoria, consenso, vantaggio, libertà, ecc., da una parte, oppure come tristezza, infelicità, abbandono, fallimento, sconfitta, isolamento, perdita di libertà, senso di oppressione, ecc., dall'altra. Ovviamente, quanto più l'io si identifica con queste esperienze psichiche, tanto più viene sottomesso e dominato dalle forze e dai poteri – naturali, culturali, o di un ordine sconosciuto – che determinano il funzionamento della psiche. In ogni caso, ogni io riveste un ruolo di sensore, per il solo fatto di sperimentare coscientemente gli eventi psichici che lo coinvolgono, ma se la coscienza di cui dispone non è sufficientemente evoluta, la sua identificazione con le dinamiche psichiche impedisce qualsiasi forma di evoluzione e di distacco nei confronti della psiche umana, e l'io si riduce ad essere solo un dispositivo che registra i meccanismi determinati dal funzionamento automatico ed inconsapevole della psiche.

In ogni caso il fatto che un evento psichico sia coscientemente sperimentato e registrato da un io è di per sé molto importante: poiché la coscienza non è unica, ma è frammentata in una miriade di nuclei individuali, ogni io diventa il centro di riferimento di una serie di esperienze psichiche coscienti, differenziandosi, sotto questo aspetto, da ogni altro io. Nel valutare la propria storia personale ed il proprio destino, le condizioni ambientali in cui ha avuto origine e si è sviluppata la sua esperienza della vita, le risorse su cui ha potuto fare affidamento e le debolezze che ne hanno limitato l'azione, ciascun io – in modo più o meno ingenuo, a seconda del suo livello di evoluzione – mette a confronto la propria esperienza di vita con quelle che ritiene siano le esperienze di vita degli altri esseri umani. Per una serie di ragioni – biologiche, geografiche, storiche e culturali – vi possono enormi differenze tra la vita di una persona e quella di un'altra, e l'uguaglianza umana intesa come uniformità nella distribuzione delle esperienze psichiche che possono coinvolgere l'io è solo un mito particolarmente popolare dell'era moderna: ciascun io, infatti, fa esperienza diretta delle dinamiche psichiche che lo coinvolgono individualmente, e può solo acquisire informazioni indirette sulle esperienze psichiche degli altri, o può immaginarsele, senza avere elementi cognitivi per sapere se ciò che esso immagina corrisponda veramente alla realtà di quanto l'altro sperimenta. Ciascun essere umano è come un'isola di un arcipelago, collegata a varie altre isole da linee di comunicazione mediante le quali si possono trasmettere non le esperienze, ma solo le descrizioni delle esperienze.

Il fatto di non poter dire con certezza dell'altro: «tu sei come me, tu funzioni e ti comporti come me, tu senti quello che sento io», mette l'io cosciente in una condizione di relativismo molto strana, in quanto non riesce a comprendere in che misura e per quale ragione le dinamiche psichiche che esso sperimenta siano diverse da quelle che un altro (che dovrebbe essere un suo simile) sperimenta. Il motivo per cui si sente il bisogno di socializzare è che, quando si è interconnessi all'interno di un gruppo, le sintonie psichiche che l'io sperimenta sono diverse da quelle sperimentati quando si è da soli, e questo fatto offre, se non la certezza, almeno l'illusione di far parte di una pluralità di persone che condividono un sentire comune. D'altra parte proprio la socializzazione – con i suoi limiti – non fa altro che trasferire sui gruppi i contrasti ed i conflitti psichici che spesso si manifestano nei rapporti tra le persone: senza scomodare le guerre, basta osservare una partita di calcio, dove una metà del pubblico esulta e gioisce per eventi che per l'altra metà sono motivo di tristezza, di rabbia o di rancore. Dall'osservazione dei conflitti psichici, delle modalità con cui le esperienze psichiche coinvolgono e dominano l'io, e dei cambiamenti che la psiche collettiva di una cultura subisce nel corso del tempo, nasce l'esigenza dell'io cosciente di prendere le distanze dalle dinamiche psichiche in cui esso stesso viene coinvolto, nei confronti delle quali ritiene necessario assumere una posizione critica.

La funzione di sensore dell'io cosciente nei confronti degli eventi – e delle dinamiche psichiche che ne conseguono – della propria vita consiste in questo: o l'io accetta l'esperienza della vita umana così com'è, con le sue luci e le sue ombre, ben sapendo che la sua esperienza non è altro che una tra miliardi e miliardi di possibili ed effettive esperienze di vita, alcune simili, ma altre molto diverse dalla propria, oppure l'io, in quanto entità cosciente, separa se stesso da quello che le circostanze della vita e la natura intrinseca della psiche lo costringono a sperimentare. Una terza posizione, quella di chi desidera una vita diversa o invidia la vita di qualcun altro, è ingenua: le risorse di cui possiamo disporre sono già presenti in noi, ed esplicheranno i loro effetti nel corso della nostra vita, ed eventi in grado di cambiare in modo sostanziale questa nostra vita possono effettivamente verificarsi, ma via via che il futuro si trasforma in passato la vita di ognuno di noi diventa quello che è sempre stata, e ciò che più conta è il risultato finale. Questo non impedisce di prendere atto delle sostanziali e talvolta estreme differenze che determinano il destino di ogni vita umana, considerando anche le vite del passato che si sono definitivamente concluse.

Dal punto di vista dell'io cosciente, gli eventi della vita che il destino gli riserva si trasformano in esperienze psichiche – positive o negative, piacevoli o sgradevoli, portatrici di gioie o di sofferenze più o meno intense – che danno una particolare tonalità ad ogni vita. Ciò che mi sembra veramente importante è il modo col quale l'io cosciente reagisce a tali esperienze psichiche: col trascorrere del tempo della vita, la coscienza rudimentale ed in genere poco intelligente che caratterizza gli anni giovanili, ha la possibilità di espandersi, di evolversi e di intensificare le proprie funzioni, trasformandosi in uno strumento estremamente sensibile ed efficace che consente all'io di confrontarsi con le vicende che la vita gli riserva e con le esperienze psichiche ad esse collegate. L'osservazione ci mostra come questo processo di evoluzione della coscienza varia da individuo ad individuo: non solo in alcuni è più rapido, ed in altri molto più lento, ma cambiano anche le modalità con le quali manifesta i suoi effetti, che possono andare dall'amore verso il prossimo alla carità, dalla ricerca della conoscenza e della liberazione alle esperienze mistiche, ecc. In ogni caso si ha l'impressione che vi sia una componente del nostro essere che esercita sull'io cosciente una forma di attrazione, e nello stesso tempo, lo sostiene quando il confronto con le dinamiche psichiche della vita diventa arduo.

Via via che l'io prende le distanze dalle dinamiche psichiche che la vita gli riserva, si sente attratto da una forma di esistenza alternativa, che in parte viene intuita ed in parte percepita come una nostalgia, quasi l'eco di un ricordo inafferrabile che non si è spento del tutto. Quando la coscienza riesce a sintonizzare queste nuove forme di esperienza interiore, l'attaccamento alla vita umana si trasforma nell'attesa fiduciosa di un evento liberatorio che consenta la transizione dall'esperienza temporanea e limitata della vita umana ad un'altra forma di esistenza. Questa trasformazione viene spesso ingenuamente rappresentata come desiderio di sopravvivenza alla morte e, sulla base delle conoscenze che noi abbiamo in merito alle condizioni che rendono possibile la vita umana, molte persone ne negano la possibilità. Ma la funzione di sensore dell'io cosciente nei confronti della vita umana si fonda proprio sulla sua capacità di mettere a confronto questa sua esperienza di vita con una altro modello, che in una forma o nell'altra – se non altro in quella più elementare e rudimentale del piacere e del dolore – deve essere già presente in esso.

L'origine psichica dei sistemi culturali

Riuscire a comprendere come un certo sistema culturale abbia avuto origine e si sia evoluto nel tempo è un'impresa difficile e rischiosa. In genere si parte dall'ipotesi della comunità tribale, all'interno della quale le attività svolte come gruppo organizzato offrivano vantaggi, in termini di sopravvivenza, di riproduzione e di allevamento della prole, rispetto ai rischi ambientali che minacciavano l'esistenza dell'individuo isolato. Un lungo periodo di tempo, sul quale abbiamo scarse informazioni, separa la vita animale di gruppo dei nostri progenitori, dalle culture tribali già umane, anche se di livello primitivo, caratterizzate da una comunicazione fondata sul linguaggio. Certamente, le condizioni naturali – ambientali e climatiche – hanno contribuito a plasmare e a differenziare le varie culture, perché un conto è vivere nelle lussureggianti, calde ed umide foreste equatoriali, ed un altro conto è vivere in aree desertiche o nelle fredde lande nordiche. In ogni caso l'dea che un'organizzazione culturale abbia origine da una concordia di intenti nel fronteggiare le difficoltà della vita, agendo in modo efficiente – ciascuno in armonia con gli altri – per ottenere i risultati voluti, è senz'altro ingenua, come si può osservare anche ai nostri giorni: gli umani non vengono fabbricati da catene di montaggio, come esemplari identici l'uno all'altro, ma presentano differenze di rilievo non solo nell'efficienza fisica ma anche – e soprattutto – nel funzionamento mentale. Dunque si può ritenere probabile che le prime culture si siano formate più per il carisma di alcuni individui particolarmente dotati, capaci di esercitare la loro influenza organizzativa su altri umani raggruppati, che non per un comune intento su base paritaria.

Del resto l'enorme potere esercitato dalla psiche sull'io (più o meno cosciente) è sempre stato riconosciuto, fin dalle epoche più antiche, mediante l'idea del divino e della divinità, soprattutto quando quest'ultima veniva attribuita ai personaggi dominanti nell'ambito di una cultura. In effetti i grandi organizzatori sociali, i detentori dell'autorità e del potere, sono i recettori, gli elaboratori e gli attuatori di particolari sintonie psichiche che si presentano nella loro mente, ed alle quali essi per primi debbono obbedire, quasi sempre senza nemmeno sapere perché. Il fatto poi che questi personaggi carismatici e dotati di particolari risorse di energia psichica – che si chiamino Cesare, o Tamerlano, o Bonaparte, o Hitler – siano capaci di esercitare le doti del comando e dell'organizzazione, è un'ulteriore prova del potere che scaturisce dalla psiche: la stessa tensione psichica che, con una polarità, spinge alcuni individui a comandare ed a dominare, con l'altra polarità induce molti altri individui ad ubbidire ed a chinare il capo di fronte al potere collettivo consolidato che si incarna in coloro che fanno parte – nei vari ruoli gerarchici – dell'organizzazione dominante. Così come fa la natura con gli organismi viventi, anche la psiche utilizza le abbondanti risorse umane di cui dispone per perseguire obiettivi che sono finora sfuggiti alle nostre capacità conoscitive, indipendentemente dal fatto che siano valutati da noi umani come positivi o negativi. In ogni caso, molte creature umane hanno sofferto, molte soffrono, e molte soffriranno anche in futuro, sotto il dominio della psiche.

Se possiamo studiare solo indirettamente le culture del passato, esaminando i documenti e le tracce che riusciamo a trovare, possiamo renderci conto della complessità delle dinamiche psichiche collettive studiando le culture attuali, ed in particolare quella di cui noi stessi facciamo parte, dato che in questo caso siamo in grado di disporre di un'ingente quantità di elementi informativi. Nel mondo attuale, il fatto che più ci colpisce è l'estrema frammentazione della psiche umana, ormai suddivisa in miliardi e miliardi di individui che vivono in condizioni ambientali diverse e nell'ambito di culture che – sebbene molto più collegate tra loro di quanto non accadesse in passato – mantengono ancora differenze di rilievo. Senza dubbio è attualmente in corso un processo – iniziato nel secolo scorso – che viene definito col termine di globalizzazione, caratterizzato da un'intenso interscambio di informazioni, oltre che di merci e di persone, in quasi tutte le aree del pianeta. Questo processo viene notevolmento favorito e stimolato dallo scambio di dati e di informazioni in tempo reale reso possibile dal rapido sviluppo delle tecnologie informatiche e delle reti telematiche. Si direbbe che l'attuale orientamento della psiche umana abbia come fine la creazione di una super-cultura globale, nell'ambito della quale le culture attuali sarebbero progressivamente assimilate come culture di secondo livello, mantenendo alcuni requisiti determinati dal loro retaggio storico: un processo simile a quello per cui i dialetti possono continuare ad essere usati a livello locale anche quando si è affermata una lingua nazionale.

Non siamo in grado di dire quanto tempo ci vorrà perché questo processo di aggregazione culturale vada a buon fine: le dinamiche conflittuali ereditate dalle culture storiche hanno ancora un notevole potere nel contrapporsi ai processi aggregativi, facendo leva sul principio del vantaggio di parte. Nel mondo naturale gli organismi, singoli o raggruppati, entrano spesso in competizione tra loro, per il controllo delle risorse territoriali o per lo status riproduttivo e gerarchico all'interno di un gruppo, ed alcuni individui prevalgono temporaneamente su altri, fin quando la morte non elimina ogni singolo organismo, lasciando alla generazione successiva il compito di continuare questo gioco ripetitivo. La psiche umana non ha fatto molti passi avanti, almeno sino ad oggi, rispetto a questo schema naturale: termini come prevalere, vincere o perdere sono ancora estremamente diffusi in tutte le nostre culture, ed evocano intense reazioni emotive, sia che vengano riferiti alle competizioni sportive, o alle elezioni politiche, o alle guerre. Il confronto e la competizione vengono spesso culturalmente stimolati ed incentivati a livello individuale, per poi riproporsi a livello di gruppi organizzati sempre più numerosi e complessi, fino al grado più elevato degli stati sovrani. Questo è il retaggio storico dell'umanità, con il quale ogni tendenza aggregativa deve fare i conti. Nello stesso tempo, tuttavia, le esigenze organizzative all'interno di ogni gruppo umano che persegua gli stessi obiettivi ed abbia gli stessi interessi stimolano ed incoraggiano la collaborazione ed il sostegno reciproco, in quanto i risultati così ottenuti dovrebbero – almeno in linea di principio – tradursi in un effettivo vantaggio per ogni persona che faccia parte di quel gruppo organizzato.

Dunque due istanze antagoniste, l'una tendente alla collaborazione, alla concordia, al perseguimento di obiettivi comuni, l'altra rivolta alla competizione, alla contrapposizione ed al confronto anche conflittuale con gli altri, sono destinate a manifestarsi nelle dinamiche psichiche che coinvolgono l'io cosciente, non solo come retaggio dell'origine naturale – e dunque animale – del nostro organismo, ma anche per effetto dei programmi culturali che ci vengono trasferiti nel corso del nostro processo di addestramento alla vita, in quanto membri di un sistema socioculturale. Questi programmi possono essere più o meno coercitivi e più o meno rispettosi della libertà di ogni persona di avere un orientamento individuale nei confronti della propria vita: nei regimi dittatoriali entrano in funzione forme di condizionamento e di coercizione che hanno lo scopo di costringere ogni individuo non adeguatamente condizionato dalla propaganda di regime a comportarsi e ad agire come non vorrebbe ed a tenere per sé le proprie riserve mentali. Ovviamente, questi metodi coercitivi funzionano perché la psiche umana impone all'io di fare il possibile per sopravvivere e per evitare la sofferenza. Nei sistemi più liberali, invece, le forme di propaganda sono essenzialmente diverse, in quanto fanno leva soprattutto sugli aspetti positivi delle dinamiche psichiche e sui vantaggi offerti dal sistema sociale al quale apparteniamo, spesso contrapposto ad altri sistemi sociali – quasi sempre presentati come più oppressivi – dai quali è necessario difendersi e con i quali ci si deve confrontare.

Senza dubbio alcuni sistemi politici sono preferibili ad altri, e ci si può anche rallegrare per il fatto che il destino ci abbia fatto nascere in un sistema democratico anziché sotto un regime dittatoriale. Resta tuttavia la constatazione che anche gli altri esistono, e che le ragioni per cui si nasce in un luogo o nell'altro sfuggono alla nostra comprensione. L'esperienza della vita umana si presenta dunque come soggetta ad un'aleatorietà che, nel momento in si manifesta alla nostra coscienza, chiede in qualche modo di essere giustamente compensata. Le diseguaglianze genetiche, culturali e sociali hanno una notevole influenza sull'esperienza della vita dei singoli esseri umani, e sono la manifestazione eclatante delle dinamiche contraddittorie e conflittuali che caratterizzano la psiche. Tanto i sistemi politici democratici quanto molti regimi dittatoriali non mancano mai di sottolineare l'importanza di quella che viene definita uguaglianza sociale, presentando, quasi sempre ipocritamente, programmi il cui obiettivo dovrebbe essere quello di eliminare una volta per tutte – o quanto meno di ridurre – tali diseguaglianze. Le costituzioni di quasi tutti gli stati sono piene di solenni dichiarazioni di principio in merito all'uguaglianza di tutti i cittadini, ed all'esigenza di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che determinano le diseguaglianze. Quest'esigenza, di evidente origine psichica, è continuamente contraddetta dalla stessa psiche e dalla natura, che rendono continuamente attive ed operative le cause che determinano le diseguaglianze, rispettivamente nell'ambito culturale ed in quello organico. Nonostante ciò, la nostra sensibilità umana è portata a cercare una spiegazione soprattutto in merito all'ineguale ripartizione delle sofferenze, che colpiscono alcuni esseri umani molto più di altri.

Nel tentativo di trovare una giustificazione umanamente soddisfacente per questo stato di cose, la psiche ha escogitato varie elaborazioni essenzialmente fideistiche, le quali prevedono in ogni caso una forma di esistenza cosciente in una dimensione alternativa a quella umana: che si faccia riferimento al karma ed al ciclo delle rinascite, o alla vita intesa come prova d'esame a cui segue una ricompensa o una punizione, o ad un'esperienza temporanea alla quale un'entità trascendente (sia essa chiamata anima o spirito) si assoggetta per apprendere e conoscere qualche aspetto di quest'universo misterioso, la comprensione del significato della nostra vita diventa possibile solo da un punto di vista diverso dalla condizione in cui attualmente ci troviamo. L'alternativa è quella di una concezione nichilista che nega valore e significato ad ogni azione umana e ad ogni impegno teso all'evoluzione della coscienza ed alla ricerca della conoscenza. Anche la stessa idea – attualmente in auge – per cui il significato della vita consiste nel pensare e nell'operare in modo da realizzare condizioni umane più equilibrate, più giuste e più soddisfacenti sotto il profilo della gratificazione temporanea, non può essere accettata – se disgiunta dalla possibilità di un'esistenza in una dimensione alternativa – per due ragioni essenziali: 1) anzitutto non rende equità e giustizia a tutti gli esseri umani che sono già morti, dopo aver sofferto ed esser stati ingiustamente tormentati per cause naturali o culturali; 2) si pone come obiettivo utopistico quello di realizzare un sistema sociale globale giusto ed equilibrato, quando tutta l'esperienza umana dimostra che l'energia psichica è governata da una tensione bipolare tra il bene ed il male, in virtù della quale ad ogni intenzione e ad ogni azione tesa verso il bene può corrispondere, in un'altra persona, un'intenzione o un'azione in senso contrario.

La vita nell'ambito di un sistema culturale

Se la psiche plasma e trasforma le culture, queste a loro volta condizionano le esperienze psichiche di ogni nuovo membro che viene allevato al loro interno: quella che l'io cosciente sperimenta, e che viene impropriamente chiamata la propria vita interiore, è una serie di eventi psichici determinati dal funzionamento di una mente plasmata dai programmi culturali che le vengono via via trasmessi. Le stesse reazioni psichiche conflittuali, che possono arrivare fino alla ribellione aperta ai condizionamenti ricevuti, diventano eventi culturali, in quanto stimolate dagli effetti che certi programmi trasmessi dalla nostra cultura possono avere nei confronti di altri programmi già attivi nel nostro sistema mentale. Di norma, le sintonie psichiche sperimentate da ogni essere umano sono condizionate dal tempo e dal luogo in cui la sua vita si svolge: dunque il processo di liberazione dell'io cosciente dall'identificazione con le sintonie psichiche che lo coinvolgono ha anche l'effetto di svincolarlo dalle limitazioni imposte da una forma di esistenza condizionata dallo spazio e dal tempo. Ovviamente, la vita dell'organismo – il nostro corpo – resta soggetta a tali limitazioni fino alla morte: solo in rari casi, del tutto eccezionali, interviene un'energia aliena, del tutto sconosciuta, che può sostenere per tempi più o meno lunghi anche la vita del corpo, superando le esigenze imposte dalle leggi naturali.

Vivere nell'ambito di una cultura significa interpretare la realtà del mondo e della vita secondo i canoni ed i programmi mentali messi a punto da quella cultura. La stessa oggettività degli eventi del mondo fisico può diventare un'oggettività interpretativa: anche se gli effetti di un certo evento, per esempio di un terremoto, sono oggettivamente evidenti per tutti (o quasi), l'interpretazione oggettiva di quell'evento è comunque determinata dalla cultura. La scienza può fare affidamento sull'oggettività delle sue conoscenze solo nell'ambito di un riconoscimento incondizionato della validità oggettiva dei dati acquisiti e delle leggi matematiche applicate, sulla base di un normale funzionamento mentale che ci rassicura in merito a tale validità oggettiva, confermata dalla previsione di eventi che poi si verificano regolarmente. Ma per quanto riguarda l'interpretazione della vita, ogni forma di oggettività non è altro che un espediente culturale messo a punto per programmare il funzionamento di un adeguato numero di nuovi membri di quella cultura, sufficiente per consentire (non sempre con successo) a quella cultura di sopravvivere o di evolversi. Anche i cicli culturali sembrano soggetti a fasi di espansione che si alternano a periodi, più o meno lunghi, di crisi e di trasformazione: l'agonia di una cultura può durare a lungo, come quella di un malato terminale che sia mantenuto artificialmente in vita con ogni mezzo possibile, anche se è evidente che non potrà mai guarire e che il suo destino è segnato.

I segnali sintomatici che rendono evidente il declino e la crisi di una cultura sono una manifestazione dei conflitti psichici in atto tra i programmi che quella cultura continua ad elaborare e ad utilizzare, ed altre istanze provenienti dalle profondità della psiche, dotate di risorse energetiche sufficienti ad influenzare gli orientamenti culturali prevalenti fino a quel momento, ed a provocare il progressivo sgretolamento di quella cultura. Ovviamente, una cultura può anche essere distrutta da un'altra cultura in conseguenza di uno scontro diretto, ma in questo caso, di solito, lo stato di salute della cultura che prevale è migliore di quello della cultura che soccombe. In ogni caso, l'io cosciente di un individuo corre sempre il rischio di restare vittima delle dinamiche psichiche conflittuali dalle quali viene coinvolto sia negli scontri tra culture diverse, sia nelle crisi interne di una cultura. Nell'epoca attuale, la nostra cultura occidentale è entrata in una fase di crisi – probabilmente irreversibile – nonostante i notevoli ed incontestabili successi tecnologici che può vantare, ed il benessere economico raggiunto da ampie fasce della popolazione, ma concentrato a macchia di leopardo in alcune aree del pianeta. I sintomi di questa crisi sono diversi, ma ne indicherò, qui di seguito, solo tre, per far notare come le dinamiche psichiche che entrano in gioco nel determinare i comportamenti di grandi quantità di esseri umani non siano gestibili né in base ai programmi culturali già elaborati, disponibili ed utilizzabili, né in base ad altri programmi che potrebbero essere elaborati senza che questa cultura entri in conflitto con i propri principi fondamentali.

Il primo sintomo è di ordine economico-finanziario: ormai la presunta crescita delle principali economie occidentali può essere presentata come tale solo mediante un progressivo indebitamento pubblico. Il carattere sistematico di questo indebitamento viene smascherato dal fatto che i titoli del debito pubblico non vengono più collocati sul libero mercato, come strumenti di raccolta di un risparrmio reale già disponibile, ma vengono acquistati dalle banche centrali – che hanno perso la loro autonomia nei confronti del potere politico – le quali li trasformano magicamente in moneta stampata, priva di qualsiasi controvalore economico. In poche parole, poiche l'economia è entrata in una fase di crisi, si cerca di trasformare, senza successo, una presunta ripresa economica futura – priva di qualsiasi garanzia – in uno stimolo fittizio per l'economia attuale, dimenticando che la complessità dell'economia planetaria si fonda anche sull'utilizzo delle risorse naturali del pianeta, che oggi ha già raggiunto il suo limite. In queste condizioni, non solo il debito accumulato non potrà mai essere rimborsato, se non tramite una moneta molto svalutata, ma la stessa condizione di indebitamento – ormai diffusa su scala planetaria – è destinata a diventare una componente cronica delle varie economie, indispensabile per far apparire come crescita, o quanto meno come stabilità, un sostanziale indebolimento ed un progressivo impoverimento delle condizioni economiche di una società. Si tratta evidentemente di espedienti che consentono di prolungare uno stato di incipiente agonia.

Il secondo sintomo è rappresentato dai consistenti flussi migratori di masse di persone che, provenendo da culture anche molto diverse tra loro, cercano di raggiungere le zone considerate tra le più ricche del pianeta, al fine di insediarvisi e di migliorare – in un modo o nell'altro – le loro prospettive di vita. Queste aree sono tipicamente quelle meglio organizzate secondo i canoni della cultura occidentale, la quale presume – ingenuamente o forse presuntuosamente – di essere in grado di inglobare ed assimilare altre culture, anche molto diverse. Nel merito, va evidenziata la contraddizione intrinseca nella nostra cultura, che da un lato stabilisce delle norme di protezione dei propri ambiti territoriali – che vengono illegalmente aggirate, tramite espedienti di ogni genere, dai migranti e da chi ne gestisce i flussi a scopo di lucro – e dall'altra tenta di difendere, per non sporcarsi le mani, i valori umanitari di solidarietà ed i principi di accoglienza che ne derivano. Pur nell'ipocrisia che la caratterizza, la nostra cultura sa bene che tali valori non sono applicabili se non a minoranze contenute ed occasionali, mentre flussi migratori di entità consistente come quelli attuali si autoalimentano nel tempo, per l'incremento del numero di esseri umani pronti a spostarsi dalle loro aree di origine verso zone dove pensano di poter vivere meglio – richiamati anche da chi vi si è già insediato – finendo inevitabilmente col causare un deterioramento dall'interno della cultura che dovrebbe assimilarli. L'idea che possa esistere una società multiculturale è una contraddizione in termini, perché è una cultura che forma una società e ne costituisce il fondamento: sarebbe come dire che una lingua può essere multilinguistica. Una lingua può coesistere con altri linguaggi diversi tra loro, a patto che tutti coloro che parlano in quei linguaggi siano in grado di parlare e di intendere la lingua principale, altrimenti quella lingua non potrà più svolgere la sua funzione e verrà sostituita, col tempo, da un'altra lingua comune.

Il terzo sintomo è dato dalla fine della famiglia tradizionale come nucleo sociale stabile deputato alla trasmissione culturale (o sub-culturale). Ovviamente, la famiglia tradizionale, composta da padre, madre, figli, e talvolta uno o più nonni, è stata spesso tutt'altro che idilliaca, ed i conflitti e le tensioni di origine psichica nei quali i suoi componenti, ciascuno nel suo ruolo, erano coinvolti, potevano manifestarsi più o meno frequentemente, a seconda dei casi. Era però anche un ambito di rapporti culturalmente definiti, nel quale i componenti potevano addestrarsi ad affrontare ed a superare le difficoltà della vita, aiutandosi e sostenendosi a vicenda, con spirito di solidarietà, anche nei confronti delle dinamiche psichiche che coinvolgevano ora l'uno ed ora l'altro dei membri della famiglia. Accanto ad ambienti familiari molto degradati esistevano anche ottime famiglie, ed in ogni caso la famiglia ha costituito il nucleo istituzionale primario al quale – per molti secoli – è stata affidata la trasmissione dei programmi culturali di base della nostra società. Di certo, se la famiglia tradizionale è andata in crisi ci sono buoni motivi, che rientrano sempre in quelle reazioni delle dinamiche psichiche che dirigono i comportamenti umani: a me interessa solo evidenziare come il fatto che la nostra cultura non sia più in grado di difendere un'istituzione basilare, quale è stata per lungo tempo la famiglia tradizionale, sia di per sè sintomatico del declino della sua capacità di organizzare i ruoli per la trasmissione culturale, destinato a tradursi in una fase di agonia più o meno caotica e più o meno prolungata, prima che emega una nuova forma di riorganizzazione culturale.

È interessante notare come, per tutte le tre criticità precedentemente elencate, sia possibile trovare valide argomentazioni in favore di ognuna della alternative prese in considerazione: di fatto si formano delle correnti di opinione a favore dell'una o dell'altra alternativa, che finiscono col contrapporsi anche drasticamente, soprattutto sul piano politico. È così che funziona la psiche umana. Il fatto poi che, in un sistema democratico, prevalga l'una o l'altra corrente di opinione, o che si alternino nel tempo, non offre nessuna garanzia in merito alla possibilità che i problemi da affrontare possano essere risolti: anzi, non di rado sono proprio le correnti di opinione che godono di maggiore consenso a causare disastri culturali di rilievo. Inoltre, la stessa conflittualità innescata dalla divisione in due (o più) campi contrapposti rappresenta di per sé la manifestazione di un fattore di disgregazione caratteristico della psiche: non a caso alcune persone sono indotte a credere che la vita umana consista in uno stato permanente di competizione e di lotta, e si comportano di conseguenza. Ovviamente, vi sono anche sintonie psichiche ben diverse, che tendono all'armonia, alla conciliazione ed all'accordo, ma tutto questo conferma l'impressione che la psiche umana, nel suo complesso, sia comunque una forma di energia bipolare che scaturisce dalla tensione presente tra il polo negativo e quello positivo.

L'evoluzione dell'io cosciente

Inserito in questo campo di energia bipolare, l'essere umano – intendendo come tale ogni singolo organismo in grado di sperimentare un frammento delle dinamiche generate dalla psiche umana – trascorre il tempo della sua vita identificandosi, di norma, con il ruolo che il destino gli ha riservato: questa condizione umana, che può essere molto diversa da individuo ad individuo, genera in ciascuno delle reazioni psichiche che coinvolgono la coscienza a tal punto che la grande maggioranza degli umani non si pone nemmeno l'obiettivo della ricerca e della conoscenza della propria autentica essenza interiore, accontentandosi della sperimentazione automatica, passiva e sottomessa delle proprie dinamiche psichiche, via via che si manifestano. Io definisco questa condizione come automa umano, non perché corrisponda a quella di un robot meccanico – anche se certi aspetti del condizionamento culturale hanno l'efficacia di una vera e propria programmazione – ma perché manca del riconoscimento di un'essenza interiore autonoma ed indipendente rispetto alle circostanze della vita e, soprattutto, alle reazioni psichiche che ne derivano. Quello che viene sperimentato dall'automa umano, ed il modo in cui si comporta ed agisce, dipendono da qualcosa che lo trascende e lo domina mediante il suo sistema fisico e mentale: la nostra cultura arriva a sostenere che noi non siamo altro che il nostro corpo ed il nostro cervello, cioè una macchina vivente.

Nella prima fase della vita tutti noi sperimentiamo la condizione di automa umano, vivendo nelle condizioni ambientali che il destino ci riserva, assimilando i programmi della cultura (o della sub-cultura) in cui siamo allevati, ed identificandoci completamente con le reazioni psichiche che ci coinvolgono, determinano di nostri comportamenti e ci fanno credere – data la nostra mancanza di esperienza – che anche gli altri sono come noi pensiamo che siano, e che funzionino più o meno come noi. Via via che passa il tempo, acquistiamo sempre più informazioni sull'ambiente in cui viviamo – ognuno in relazione al proprio ambiente culturale – e sulla vita in generale, e sperimentiamo le dinamiche psichiche attivate dagli eventi in cui siamo coinvolti, soprattutto nel corso delle nostre interazioni con gli altri. Diveniamo così consapevoli delle differenze sostanziali che caratterizzano i vari esseri umani (o meglio, i vari automi umani), ma non per questo, di norma, l'io cosciente riesce ad affrontare la difficile impresa di separarsi dalle dinamiche psichiche che lo coinvolgono e con le quali si identifica. Anzi, proprio la percezione dell'estrema e complessa varietà delle sintonie psichiche che coinvolgono gli altri – ognuno secondo il proprio destino – rafforza la presa ed il potere che le nostre sintonie psichiche hanno su un io cosciente ancora poco evoluto, e dunque debole e vulnerabile, sia che lo stimolino e lo illudano mediante desideri ed emozioni, sia che lo tormentino con le paure e con le sofferenze generate da particolari eventi.

La coscienza dell'io viene così inondata da un flusso continuo di informazioni, comandi, pensieri, valutazioni, giudizi, desideri, programmi e stati d'animo positivi o negativi che caratterizzano arbitrariamente e senza alcuna apparente finalità, se non il capriccio del destino, la vita interiore di ogni automa umano, e di conseguenza anche il suo comportamento. Per la maggior parte degli umani l'esperienza della vita si esaurisce in questo flusso casuale, costantemente messo a confronto con i flussi, più o meno immaginari, che vengono attribuiti agli altri, alcuni dei quali sono invidiati perché ritenuti, con qualche ragione, più gratificanti di quello che la sorte ci ha assegnato, mentre altri ci risultano repellenti e da evitare con ogni mezzo, tanto che ci rallegriamo perché non sono toccati in sorte a noi: eppure l'io cosciente di qualcun altro li ha dovuti sopportare. Questo è il quadro complessivo della vita umana, come è stata in passato e come si presenta anche ai nostri giorni. In questo contesto, la sconcertante differenza dei destini individuali costituisce un problema ed una sfida per la quale gli umani si sono sforzati invano di trovare, in un modo o nell'altro, una soluzione soddisfacente: il che non ci deve sorprendere più di tanto, dato che la tensione che dà origine ai diversi destini individuali deriva dalla stessa natura bipolare dell'energia psichica, e dunque è ingenuo affidarsi ad una soluzione rivelata dalla stessa psiche umana.

Anche quando si sente l'esigenza di comprendere la ragione delle sensibili differenze tra i vari destini individuali, i tentativi di spiegazione proposti dalla psiche non hanno mai il valore di un'autentica conoscenza, ma rientrano piuttosto tra gli espedienti mentali tramite i quali la psiche condiziona e controlla l'io cosciente. La più semplice di queste spiegazioni consiste nel convincere l'io che la vita è quello che è, a causa dell'origine naturale del nostro organismo e delle norme che governano la natura, e dunque ognuno deve necessariamente vivere le esperienze che la sorte gli assegna a caso, nel bene e nel male. Una spiegazione più complessa – sulla quale conviene riflettere dato che è particolarmente valorizzata dalla nostra attuale cultura – propone come scopo della vita l'impegno sociale e culturale finalizzato ad equilibrare per quanto possibile i destini individuali, portandoli al miglior livello di soddisfazione possibile. Il presupposto di questa spiegazione è che la vita umana possa progredire da un livello di miseria, di infelicità e di avvilimento (la famigerata «valle di lacrime»), ad un livello di benessere, di soddisfazione e di fiducia nel futuro: effettivamente nell'ultimo secolo il progresso scientifico e tecnologico ha ottenuto successi straordinari ed innegabili sotto questo profilo, almeno per una parte dell'umanità. Tuttavia, se questa spiegazione viene applicata alla vita umana come fenomeno naturale in sé concluso, è necessario metterne in evidenza anche i limiti.

Anzitutto, coloro che in passato sono morti, avendo patito ogni sorta di tribolazioni e di sofferenze, non trarrebbero alcun vantaggio dal nostro benessere attuale o dall'eventuale ed incerto benessere delle future generazioni. Inoltre, anche ai nostri giorni i destini individuali possono essere molto diversi l'uno dall'altro, e poiché tutti si concludono con la morte, si ha l'impressione che la strada da percorrere per creare condizioni più equilibrate per tutta l'umanità sia ancora molto lunga, incerta e piena di ostacoli. Le migliori condizioni di vita attuali hanno fatto sì che il numero di umani contemporaneamente viventi si sia triplicato nell'arco di soli 70 anni, incrementando di conseguenza l'uso delle risorse del pianeta e stimolando la competizione per il controllo di tali risorse. La complessità delle interazioni sociali richiesta dalla produzione e dalla distribuzione dei prodotti tecnologici implica che le persone debbano sempre più funzionare proprio come automi umani, privandole delle energie e delle risorse necessarie per l'evoluzione dell'io cosciente. Dunque, considerando l'umanità nel suo complesso, anche le attuali condizioni dei destini individuali possono comportare sostanziali differenze. Infine, dato il carattere bipolare dell'energia psichica, l'impegno attuale e futuro di coloro che lavorano con dedizione per migliorare le condizioni generali dell'umanità sarà sempre compensato dall'impegno di coloro che cercheranno di trarre un vantaggio, in termini di acquisizione di ricchezza o di potere personale o di gruppo, dalle nuove condizioni socioculturali che via via si vengono a creare. Anche in questo caso, il far parte del gruppo dei buoni, o di quello dei malvagi, dipende dalle sintonie psichiche che irretiscono l'io cosciente: non di rado, soprattutto in campo politico, possiamo trovare persone che appartengono ad entrambi i gruppi.

La motivazione ad impegnarsi in funzione del bene comune, nel caso in cui questo comportamento non sia semplicemente determinato dai programmi di condizionamento culturale, può nascere dalla convinzione che tale impegno verrà adeguatamente ricompensato una volta che questa vita si sia conclusa. Si tratta di una convinzione – anch'essa di origine psichica – che non si fonda soltanto su una specie di calcolo utilitaristico, ma sul riconoscimento del fatto che la vita umana, nel suo progredire nel tempo, è la manifestazione di un progetto al quale si desidera dare il proprio contributo: un punto di vista che deve essere già presente negli attuali programmi culturali che hanno come scopo quello di promuovere l'impegno sociale. Non si comprenderebbe, infatti, per quale motivo ci si dovrebbe impegnare per il bene comune, se poi ogni nostro sforzo in funzione di questo obiettivo potrebbe comunque essere vanificato da eventi casuali, a meno di non stabilire che, al di là dei risultati ottenuti e della loro permanenza, il nostro impegno verrà comunque riconosciuto e ricompensato da un'entità superiore. Infatti, un progetto finalizzato ad ottenere uno scopo richiede anche l'esistenza di un progettista, al servizio del quale noi possiamo mettere le nostre risorse. Rientriamo così nell'ambito di quelle interpretazioni che attribuiscono ad una dimensione diversa da quella in cui di norma si svolge la vita umana – e ad entità che in quella dimensione dimorano – la compensazione degli squilibri, delle ingiustizie e dei patimenti a cui così tanti esseri umani sono stati soggetti durante questa vita, a causa del loro destino. In relazione a questo quadro interpretativo sorgono molti interrogativi per i quali non si possono trovare risposte soddisfacenti sotto il profilo conoscitivo, data la mancanza di qualsiasi documentazione probatoria, ad eccezione delle comunicazioni medianiche, con tutte le incongruenze che esse ci mostrano.

La variante per cui le attuali condizioni della nostra vita dipenderebbero dal karma accumulato nel corso di vite precedenti mi sembra un'ingenua trovata della psiche del tutto priva di interesse, almeno dal punto di vista dell'io cosciente, il quale è ben consapevole del fatto che la sua formazione e la sua evoluzione sono correlate alla vita attuale, mentre le tracce di altre vite possono eventualmente emergere, in qualche caso, nell'esperienza psichica, come stati di coscienza non ordinari, al pari di certe esperienze oniriche la cui realtà è indistinguibile da quella dello stato di veglia. Ma sostenere che la condizione della nostra vita attuale dipenda dalle azioni compiute in una vita precedente, senza aver individuato un soggetto cosciente al quale la continuità di questo ciclo di esistenze possa essere riferita – e la relazione tra tale soggetto e l'io cosciente – equivale, secondo me, a sostenere che le condizioni della mia vita dipendono dalle azioni compiute da qualcun altro, che può anche essere un mio contemporaneo: come è ovvio, nell'ambito di un sistema socioculturale tutte le vite individuali sono interconnesse, ed è un dato di fatto che le vite di alcuni individui hanno avuto un impatto molto forte sul destino di migliaia o di milioni di esseri umani. Ma su ciò che ne è dell'esperienza umana di ciascuno di noi una volta che questa vita si sia conclusa non abbiamo informazioni affidabili. Quello che mi sembra davvero importante, dunque, è la facoltà offerta all'io cosciente di rivendicare un proprio diritto all'esistenza, indipendentemente dalle trame – più o meno insondabili ed insicure – nelle quali la psiche umana lo irretisce. Si tratta, ovviamente, del diritto ad un'esistenza non soggetta alla precarietà che caratterizza la vita umana.

Poiché l'io, vivendo questa vita, può cogliere l'occasione che gli è stata offerta di potenziare le risorse della propria coscienza e di ampliare la conoscenza di cui può disporre, via via che esso procede lungo questo percorso evolutivo diventa sempre più consapevole della natura essenzialmente bipolare – e di conseguenza conflittuale – dell'energia psichica, nelle sue varie frammentazioni e nelle contrapposizioni che ne derivano. L'esperienza del dominio esercitato dalla psiche tanto sull'organizzazione dei sistemi socioculturali quanto su qualsiasi aspetto personale della vita, a causa dell'identificazione dell'io con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono, si traduce nella predisposizione dell'io cosciente ad una diversa condizione esistenziale, preceduta da una fase di liberazione che coincide di solito con la morte, ma può anche essere anticipata, se le circostanze dell'ultima parte di questa vita lo consentono. Lasciando da parte coloro che ritengono che la morte determini l'annientamento definitivo dell'io cosciente (dato che in questo caso non si pone alcun problema in merito alla possibilità di un'esistenza alternativa in un'altra dimensione), la maggior parte degli umani che hanno un'aspettativa in tal senso ritiene di doversi ancora confrontare con un'entità (o con una pluralità di entità) che rappresenta comunque un potere superiore, dal quale l'io spera di ricevere una maggiore benevolenza rispetto alle condizioni sperimentate durante la vita umana, ma può anche temere di dover subire un trattamento peggiore. Si tratta, in ogni caso, di un'estrapolazione delle speranze e delle paure (di origine psichica) che l'io sperimenta nel corso dell'esistenza umana. In alternativa, l'io cosciente può gettare le basi per una diversa condizione psichica della propria esistenza, fondata su un accordo con lo spirito.

Lo spirito è una forma di energia non bipolare, che esercita un'influenza quasi irrilevante nelle vicende umane, poiché è schermato dall'energia molto più intensa emanata dal campo bipolare della psiche. Si potrebbe paragonare lo spirito ad un astro molto luminoso ma lontano, visibile nelle ore notturne ma non durante il giorno, quando la luce del sole – un astro meno luminoso ma molto più vicino a noi – ne impedisce la vista. L'attrazione esercitata dallo spirito sull'io cosciente, per quanto debole, può essere percepita più o meno intensamente – a seconda del grado di evoluzione della coscienza – ma per poter andare verso lo spirito l'io deve riuscire a superare l'intenso campo di forze generato dalla psiche umana, all'interno del quale si trova ingabbiato. La forza di attrazione magnetica che la psiche esercita sull'io cosciente è molto intensa, tanto da far dubitare all'io di poter mai essere in grado di andare oltre la barriera energetica costituita dalle sintonie psichiche che lo coinvolgono e lo vincolano alla vita. La morte offre all'io cosciente l'opportunità di sfuggire al campo energetico della psiche, a condizione che l'io abbia acquistato una sufficiente autonomia rispetto alla stessa psiche, in modo da poter disporre dell'energia e dell'elasticità sufficienti per poter abbandonare il campo psichico mantenendo la coscienza della propria esistenza, altrimenti correrebbe il rischio di essere consumato dal campo psichico, col venir meno di quest'ultimo. Per salvarsi da questo rischio, l'io dovrebbe necessariamente ricorrere all'aiuto di qualche entità superiore che venga in suo soccorso: può anche darsi che quest'aiuto sia comunque garantito ad ogni creatura che ha vissuto raggiungendo un livello di coscienza sufficiente, in base alle regole di un progetto cosmico che va ben oltre le nostre facoltà conoscitive.

Se, invece, l'io riesce a superare la barriera del campo di forze della psiche umana, fino ad entrare nel campo di attrazione dello spirito, viene a trovarsi nella condizione di poter sviluppare il proprio potenziale al di fuori delle conflittualità e delle necessità impostegli dalla psiche, ed in accordo con una forma di energia che lo aiuta a crescere in sintonia ed in armonia con la sua vera natura. Se vogliamo rappresentarci, in qualche modo, la dimensione dello spirito, possiamo ricordare come le dinamiche della psiche umana che noi sperimentiamo e conosciamo, siano determinate dalla nostra temporanea esistenza corporea sul pianeta Terra: lo spirito potrebbe essere considerato come un'energia che alimenta la vita in modo molto diverso rispetto alla psiche, su un altro pianeta appartenente ad un altro sistema stellare, lontano dal nostro Sole. Invece di dover credere che in ogni altro mondo di questo sconfinato Universo debbano per forza funzionare le stesse dinamiche psichiche che alimentano e regolano la vita su questo pianeta, siamo liberi di immaginare che su altri mondi operino forme di energia del tutto diverse, che sostengono l'evoluzione della vita cosciente e lo sviluppo dell'io in accordo con le esigenze della vera natura di quest'ultimo. E poiché, così come esiste questo Universo, possono esistere altri Universi alternativi, la morte può rappresentare l'occasione e l'opportunità per trasferire l'io cosciente in un mondo diverso o in una dimensione diversa, liberandolo dai cavi di ormeggio e dagli ancoraggi che lo mantengono vincolato alla dimensione psichica di questo mondo, nella quale di solito rimane intrappolato a causa delle abitudini contratte durante la vita umana.

Dunque, chi ha un io cosciente sufficientemente evoluto, e dispone delle risorse necessarie, non dovrebbe considerare la morte come un evento infausto – in quanto pone definitivamente termine all'unica forma di esistenza possibile – ma dovrebbe prepararsi in modo da poterla attendere ed accogliere con fiducia e con l'ottimismo che accompagna lo spirito di avventura, che porta ad espandere i confini dell'esperienza e della conoscenza. Il fatto che quest'orientamento sia in contrasto con la visione predominante nella nostra cultura è determinato dall'energia collettiva della psiche umana, che esplica i suoi effetti mantenendo per quanto possibile l'io cosciente ancorato a questa vita. Di solito l'io arriva alla fase finale della vita già prosciugato delle energie necessarie per preparasi adeguatamente all'incontro con la morte, anzi – sotto l'impulso delle dinamiche psichiche che lo controllano – tenta comunque di procrastinare questo evento inderogabile, per quanto precarie e miserevoli possano essere diventate le condizioni in cui continua a vivere. Qui ci basta evidenziare come la nostra cultura non conosca nulla di ciò che può accadere all'io cosciente al di fuori dei confini della vita umana, così come non conosce le condizioni in cui si può manifestare l'esistenza cosciente su un pianeta situato a migliaia o a milioni di anni luce dal nostro mondo: dunque qualsiasi illazione in proposito è determinata dalle sintonie della psiche umana che controllano l'io cosciente, le quali perderanno la loro efficacia al momento della morte, ma che – se l'io cosciente riesce nell'impresa – possono essere spente anche prima.


 

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