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La strana vita dell'io cosciente

Un corpo, un cervello, una mente

Negli articoli precedenti di questo blog ho parlato a lungo dello spirito, delle comunicazioni medianiche in merito alla sua esistenza, delle relazioni che possono esistere tra lo spirito e l'io cosciente. Le mie ricerche, tuttavia, hanno sempre avuto come fondamento l'io cosciente, in quanto centro di riferimento fondamentale dell'esperienza interiore durante la vita umana. Nel partire, per così dire, dal basso, possiamo fare affidamento su basi sufficientemente solide per poter raggiungere ed esplorare anche qualcosa che sta, eventualmente, più in alto. Inoltre l'io cosciente è dotato di un'autocoscienza, grazie alla quale si identifica come soggetto sperimentatore della realtà psichica umana. Per queste ragioni mi sembra utile dedicare questa pagina all'approfondimento della natura e delle caratteristiche dell'io cosciente ed alle trasformazioni alle quali può andare incontro nel corso della vita.

Le vicende di un organismo vivente, qual è il corpo umano, hanno inizio con la sua formazione e la crescita e terminano con la morte e con la distruzione. Si tratta, come è stato spiegato nella sezione sulla vita, di eventi che riguardano le trasformazioni di quell'entità immateriale che è stata definita informazione, che esercitano i loro effetti sul supporto fisico della materia/energia. Come ho già detto, sotto questo aspetto non c'è nessuna differenza tra il corpo umano e quello di un animale pluricellulare evoluto, come per esempio un gatto: la complessità è la stessa. Tra gli organi del corpo umano ve n'è uno, il cervello, il cui funzionamento dà origine all'attività mentale. L'attività del cervello determina e controlla il funzionamento del corpo – anche come reazione agli stimoli ambientali o a quelli provenienti dall'interno del corpo stesso – ma questo processo non richiede, almeno nelle sue fasi iniziali, alcun soggetto cosciente. La coscienza si forma lentamente, come un arcipelago di isolette che si aggregano col tempo formando un territorio più vasto, e la coesione necessaria perché emerga l'autocoscienza dell'io richiede tempi ancora più lunghi.

Per tutta la prima fase della vita umana, che dura una ventina d'anni ed anche più, i processi mentali nei quali l'io si trova coinvolto tramite la coscienza si svolgono automaticamente: i più diversi stimoli ambientali producono i loro effetti sul sistema nervoso e sul cervello, provocando reazioni psichiche in termini di sensazioni, emozioni, sentimenti, desideri, oppure elaborazioni di pensiero determinate dalle facoltà mentali e dunque, almeno in parte, dalla qualità del cervello. Nella prima parte della vita l'individuo è particolarmente predisposto all'apprendimento, all'essere programmato, ed assimila prontamente l'elaborazione dei programmi vitali che gli viene trasmessa culturalmente dalle generazioni che lo hanno preceduto e dall'ambiente in cui vive. La scoperta della vita umana è sempre un processo di per sè affascinante e coinvolgente, anche se in alcuni casi presenta aspetti difficili e dolorosi, durante il quale al bagaglio ancora ridotto di esperienze che si va formando nella memoria si contrappongono le speranze, i desideri ed i progetti per un futuro che, se pur in gran parte illusoriamente immaginato, agisce comunque come catalizzatore dell'energia vitale che vuole estrinsecarsi.

Per quanto riguarda la vita interiore, in questa fase la coscienza, una volta formatasi, inonda l'io di esperienze psichiche particolarmente intense, anche in relazione alla qualità del cervello, ancora giovane e funzionante a pieno regime. L'io, d'altra parte, è talmente immerso nella dimensione psichica da non riuscire nemmeno a considerare se stesso come un'entità autonoma. Questo deficit di autocoscienza fa sì che sia abbastanza facile – per i programmi che determinano lo sviluppo delle nostre società – condizionare l'io affinché funzioni in accordo con il consenso collettivo di un gruppo umano: quello che oggi viene definito popolarità. Se questo processo si consolida, come spesso accade, l'io continua a funzionare in modo condizionato per il resto della vita, identificandosi con le proprie esperienze psichiche, via via che queste vengono acquisite dalla coscienza, in modo del tutto acritico e carente di intelligenza, subendo passivamente tutte le offese e le menomazioni che questo distorto funzionamento gli riserva.

Quando un umano funziona in questo modo, il suo io cosciente viene controllato – quasi senza che se ne renda conto – dalla tonalità positiva o negativa delle sintonie psichiche che lo coinvolgono. In questo modo anche la volontà, che dovrebbe essere a disposizione dell'io, viene pilotata: tutto quello che l'io conosce è il desiderio, la tensione per ottenere qualcosa, ed il piacere che deriva dall'ottenere ciò che desidera, oppure la frustrazione e la sofferenza conseguenti al mancato appagamento dei desideri. L'io non si pone alcuna domanda in merito all'origine dei desideri: li considera qualcosa di assolutamente naturale. Di solito le persone che funzionano così si rivolgono sempre all'esterno per ottenere informazioni e programmi utili ai loro scopi, soprattutto quando le emozioni ed i sentimenti negativi hanno il sopravvento: tuta la nostra società è orientata per favorire queste forme di programmazione e di rassicurazione, e chiunque voglia può trarre vantaggio da questa situazione, purché sia inserito in un contesto che gli garantisca un'aura di autorità e (presunta) competenza. Estroversione, socializzazione e popolarità sono le parole d'ordine della nostra epoca.

Va infine ricordato come l'esperienza psichica dell'io cosciente sia, per sua natura, soggettiva: al di là delle informazioni che possiamo ottenere da un altro io, mediante comunicazioni verbali e forme di comportamento, in merito alle sue esperienze psichiche, o di quanto possiamo ipotizzare per immedesimazione empatica nel suo stato d'animo, non possiamo sperimentare direttamente quello che l'altro sta provando. Inoltre, va tenuto presente che solo di rado – soprattutto nella nostra cultura – l'io cosciente conosce se stesso: infatti, dato che l'io è controllato dalle istanze psichiche, un improvviso mutamento delle circostanze esterne o interne al corpo, o l'emergere di nuove sintonie psichiche fino ad allora rimeste inconsce, sono sufficienti a modificare l'umore, il modo di sentire ed il comportamento di una persona, fino a renderla irriconoscibile non solo dagli altri, ma anche a se stessa. Un caso limite patologico di questa condizione è rappresentato dalle forme di dissociazione che possono determinare la presenza di personalità multiple nello stesso corpo.

L'autocoscienza e la valorizzazione dell'io

Ho già detto che la condizione di identificazione dell'io cosciente con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono può durare tutta la vita. In passato, alcune culture hanno valorizzato le tecniche di autocontrollo dell'io, mentre oggi prevale – soprattutto nella nostra società – una forma di autoindulgenza per la quale l'io asseconda e ricerca quelle esperienze psichiche che gli offrono una ricompensa immediata, anche se effimera, in termini di piacere e di felicità. Che l'io voglia evitare le esperienze dolorose è comprensibile, così come fa parte della sua natura la ricerca della felicità: i problemi nascono dal fatto che nella vita umana ogni scelta comporta delle conseguenze – per noi stessi come per gli altri – ed il piacere di oggi può avere come conseguenza la sofferenza di domani. Inoltre, a causa dell'impermanenza nel tempo degli effetti di certe esperienze, si crea il bisogno di ricercare sempre nuove esperienze positive, senza avere il controllo della mente, che ne determina gli effetti. Si tratta, in ogni caso, di una condizione che può condurre ad un più forte asservimento dell'io alla psiche, anziché contribuire alla sua liberazione.

La società di oggi, formata da consistenti masse di individui, si fonda su programmi che lasciano poco spazio alla liberazione dell'io, anche se proclama in continuazione di voler difendere la libertà umana. Il fatto è che l'io di coloro che hanno il potere di controllare e di orientare gli altri (come i governanti, gli insegnanti o i dirigenti dei mass media) è a sua volta controllato da alcune sintonie psichiche le quali determinano, più o meno caoticamente, gli orientamenti collettivi. Così le persone comuni, che si lasciano passivamente condizionare dai programmi psichici di massa, guardano con ammirazione ed invidia ai modelli umani dei loro controllori, i quali a loro volta sono pilotati da istanze psichiche particolarmente forti, e tutti sono ugualmente affascinati ed irretiti dalla psiche. Ai nostri giorni la sintonia psichica dominante nelle società di massa è la paura, perché il numero di umani è così elevato che il collasso delle complesse strutture sociali che ne garantiscono la sopravvivenza comporterebbe la miseria, la competizione per le risorse e la morte per un enorme numero di persone. Gli istinti di base derivanti dalla nostra origine animale sono ancora largamente predominanti.

Eppure, anche in queste condizioni – non certo favorevoli – nell'io di alcuni individui comincia a manifestarsi un desiderio di liberazione: a prima vista potrebbe sembrare una sintonia psichica come le altre, ma a differenza delle altre non cerca di esercitare alcuna forma di controllo sull'io, anzi lo rende più cosciente del dominio esercitato su di esso dalla maggior parte delle istanze psichiche. Questa nuova esperienza, sulla cui origine l'io comincia ad interrogarsi, valorizza alcuni aspetti dell'intelligenza come risorsa al servizio dell'io, ed incrementa sensibilmente l'autocoscienza, in modo tale che l'io possa concentrare l'attenzione della mente su se stesso come soggetto di coscienza e di conoscenza, e non come un mero esecutore di comandi mentali generati e programmati dalle forze psichiche e dai condizionamenti socioculturali. Dopo qualche tempo, l'io cosciente comincia a sentire un legame sempre più profondo tra la sua reale natura, che resta per lui enigmatica, e questa particolare sintonia psichica che lo rende più libero, gli dà dignità e lo valorizza, offrendogli una prospettiva che va ben oltre la sua debole e temporanea condizione umana. La sorgente di questa sintonia psichica è lo spirito, il quale, in questo modo, sollecita l'io cosciente ad iniziare la propria avventura spirituale.

Il percorso di valorizzazione dell'io cosciente inizia quando l'io si rende conto non solo della sua dipendenza dalla psiche, ma di essere esso stesso un prodotto temporaneo di particolari sintonie psichiche, e dunque frutto di un processo di dimensioni molto ampie, che ne determina la nascita, la morte ed il destino. Questo processo costituisce il riflesso interiore, più o meno cosciente a seconda delle persone, del fenomeno fisico che dà origine alla vita umana, per il quale un corpo (ed il relativo cervello) si forma, cresce, agisce, invecchia ed infine muore. Sotto questo aspetto l'io non è altro che la rappresentazione mentale di una particolare singolarità individuale che si manifesta nell'ambito di un processo misterioso che la trascende. Ma è proprio a questo punto che nell'io stesso scatta qualcosa che pone il problema della sua esistenza: mentre il corpo invecchia ed avanza nel proprio percorso verso la morte, l'io sente l'esigenza (e, si potrebbe dire, il diritto) di continuare ad esistere: l'esistenza temporanea gli appare insoddisfacente. Non tutti gli umani sentono il rebus interiore determinato dalla consapevolezza della durata a termine dello strumento che determina l'attività mentale individuale (il cervello) e dalla coscienza del diritto all'esistenza da parte dell'io, ma alcuni lo sentono intensamente. Ovviamente, questo problema non si pone per chi ha una forma di fede che dà per scontata la sopravvivenza dell'io cosciente, al quale viene dogmaticamente (ed irrazionalmente) attribuita un'esistenza indipendente dal funzionamento del cervello.

Ma è proprio il carattere mentale di qualsiasi forma di percezione cosciente della psiche che consente all'io di procedere – col supporto dello spirito – nel suo percorso di valorizzazione e di liberazione. Infatti anche l'affermazione che l'esistenza dell'io dipenda da quella del cervello è dogmatica, anzi è uno dei dogmi del nostro tempo e della nostra cultura sociale. Il cervello non è altro che uno strumento complesso tramite il quale la coscienza e la psiche si possono manifestare nella dimensione fisica, e l'io può riuscire a controllare il funzionamento della mente (e cioè del cervello), anziché esserne controllato. Tuttavia le leggi che governano l'universo e la vita hanno un valore inderogabile, ed in base a queste leggi la morte del corpo è un evento che segna l'uscita definitiva dell'io cosciente dalla dimensione fisica, con la quale non potrà più interagire attivamente a causa della mancanza di uno strumento adatto. Per questa ragione la morte resta comunque un evento importante, al quale una persona normalmente intelligente dovrebbe prepararsi per tempo, considerando che in ogni caso andrà incontro ad un cambiamento di ambiente (o meglio, di dimensione) epocale. Sotto questo profilo, l'attaccamento alla vita che viene sollecitato culturalmente anche nelle persone anziane rappresenta una delle più ridicole e dannose distorsioni psichiche della nostra società.

La riflessione dell'io su se stesso è un esercizio di meditazione cosciente mediante il quale l'io si sottrae all'influenza delle forze psichiche di origine aliena dalle quali, nel corso della vita, è stato attratto e dominato. È un esercizio che non richiede sforzo, ma costante dedizione, e dunque un po' di tempo ogni giorno. Non comporta nemmeno sofferenza, come tutto ciò che è autenticamente associato allo spirito, ma anzi diviene ben presto fonte di serenità e di felicità, anche se nella fase iniziale – così come ogni esercizio fisico produce un certo indolenzimento muscolare – può provocare forme di disorientamento nei confronti del nostro normale adattamento alla realtà sociale. Quando l'io mette a fuoco la coscienza sulla propria essenza, libera la mente da ogni esperienza psichica (pensiero, emozione, sentimento, sensazione, fantasia, ecc.) estranea alla propria natura. Quello che si sperimenta non è il vuoto, anche se per un certo periodo si può avere l'impressione di essere serenamente sospesi nel nulla, ma una trasformazione delle sintonie psichiche che cominciano ad accordarsi armoniosamente all'essenza spirituale dell'io.

I problemi possono nascere quando si deve tornare al funzionamento normalmente (e inesorabilmente) richiesto dal nostro ruolo sociale. Per una persona che sia nel pieno della propria vita lavorativa e sociale sono necessarie risorse non comuni per passare da uno stato psichico all'altro senza subire un processo dissociativo. Sotto questo aspetto la meditazione è molto più adatta e consigliabile per chi è già andato in pensione, e può dedicare – come sarebbe opportuno ed intelligente – il tempo rimanente della propria vita a prepararsi al trasferimento nell'altra dimensione. In ogni caso, la meditazione comporta una progressiva valorizzazione dell'io cosciente che, una volta purificato dalle scorie psichiche nelle quali era imprigionato, non ha più niente a che vedere con le forme di egoismo e di egocentrismo che possono caratterizzare la tutela della nostra ordinaria personalità umana. L'io cosciente risplende di luce propria e non ha bisogno di nessuna forma di protezione nei confronti degli altri, nei quali anzi va riconosciuta la presenza di un io cosciente, anche se non liberato.

La scoperta dell'io: tecniche preliminari

Mediante la riflessione sull'io cosciente attuata tramite la meditazione ciascuno di noi è libero di scoprire il proprio io. Non si tratta dunque di un'adesione concettuale ad uno schema mentale preconfezionato da qualcun altro, perché ad ogni essere umano è data la piena libertà di comprendere la natura ed il valore di ciò che trova nella sua interiorità. In un certo senso, non è nemmeno necessario adottare una tecnica particolare: si tratta semplicemente di utilizzare la coscienza come uno specchio che riflette limpidamente l'immagine e la natura del soggetto cosciente. Eventualmente, si può parlare di tecnica in relazione alla pulizia dello specchio, che va reso sempre più terso e libero da impurità. Infatti la nostra incessante attività mentale immette continuamente nella coscienza eventi psichici di ogni genere, che la saturano, la oscurano e la rendono inadatta a riflettere in modo affidabile l'immagine dell'io.

La coscienza è addestrata dalla nostra cultura occidentale a mettere a fuoco l'esperienza psichica, considerata come il normale ed insindacabile riflesso mentale di una realtà oggettiva esterna, che determina in noi sensazioni, emozioni, sentimenti e pensieri ai quali viene attribuito un valore assoluto, almeno fin quando l'io si identifica con le esperienze psichiche in cui la coscienza lo coinvolge. Il carattere soggettivo della psiche viene almeno in parte represso dalla nostra cultura – che ha bisogno di persone che funzionino secondo schemi oggettivi, in accordo con le esigenze sociali – salvo poi ripresentarsi, spesso in modo inatteso, in forme inferiori, primitive, ingenue e non di rado violente nei confronti degli altri e di se stessi. La nostra coscienza viene dunque plasmata fin dalla prima infanzia affinché metta a fuoco l'attenzione su determinate sintonie psichiche piuttosto che su altre: subisce così un processo di deformazione che la rende inadatta a mettere a fuoco la realtà interiore dell'io. Col tempo inoltre le più diverse esperienze psichiche lasciano incrostazioni e deformazioni di ogni genere, impedendo alla coscienza di funzionare come una lente cristallina levigata a regola d'arte. In queste condizioni non c'è da meravigliarsi se l'introspezione si limita a considerare l'io come soggetto/oggetto della ricerca di soddisfazione dei desideri indotti dalle dinamiche psichiche.

Lo scopo delle fasi iniziali della meditazione, per raggiungere il quale possono essere necessari anni di pratica, consiste dunque nel ripulire e nel rimodellare la coscienza affinché possa riflettere al meglio la natura dell'io, trasformandosi così in affidabile autocoscienza ed autoconoscenza. Può essere utile indicare qualche tecnica per abbreviare per quanto possibile questa fase preliminare – pur tenendo presente che le risorse necessarie variano da persona a persona – ma prima devo chiarire meglio il significato che i due termini mente e coscienza, spesso usati in modo interscambiabile, possono avere. La coscienza è uno strumento, il cui uso dovrebbe essere nella piena disponibilità dell'io come soggetto cosciente: nella nostra cultura questo avviene di rado, in quanto di norma la psiche ed i programmi di condizionamento prevalgono sull'io, il quale può facilmente essere dominato suo malgrado da pensieri, preoccupazioni, desideri, passioni e vincoli dai quali vorrebbe liberarsi, senza riuscirci. La mente può essere considerata tanto sotto il profilo del prodotto dell'attività cerebrale – percepito interiormente mediante la coscienza o i suoi riflessi sulla coscienza – quanto come sinonimo dell'esperienza psichica, quale che ne sia l'origine. Dunque espressioni comunemente usate nella pratica meditatica, come liberare la mente o purificare la mente, mi sembrano inesatte ed in una certa misura anche fuorvianti.

In condizioni ordinarie, la coscienza è controllata da istanze psichiche che determinano, sulla base di rapporti di forza, cosa può diventare cosciente e cosa no. L'io viene coinvolto più o meno passivamente in queste dinamiche, subendone gli effetti (che gli siano graditi o meno) in modo acritico, senza riuscire a conquistare un reale controllo sull'uso volontario della coscienza e su come metterla a fuoco su qualcosa e mantenerla ferma. Dunque il primo obiettivo dell'io consiste nel riappropriarsi della coscienza, che deve essere trasformata in uno strumento perfettamente funzionante di cui l'io possa disporre secondo le proprie intenzioni, e non obbedendo ai desideri ed ai timori che la psiche umana gli impone. La tecnica preliminare per conseguire quest'obiettivo consiste nel mantenere il nostro corpo in un ambiente tranquillo ed isolato dagli stimoli esterni, in una condizione di coscienza di vigile attenzione, per almeno mezz'ora al giorno, incrementando questo periodo, progressivamente, fino ad un'ora al giorno.

La posizione del corpo non ha una particolare importanza: è sufficiente che sia comoda e naturale, senza indurre sonnolenza. Si può stare seduti con la schiena dritta, ma anche in piedi appoggiati ad una parete, o sdraiati supini purché si resti vigili. Nemmeno l'immobilità deve necessariamente essere perfetta, ed eventuali piccoli movimenti sono consentiti, purché non si traducano in azioni che possono interrompere l'attenzione cosciente nei confronti dei flussi psichici originati dalla nostra attività mentale. Gli stimoli esterni che possono determinare azioni vanno accuratamente evitati: il telefono non deve suonare, nessuno deve bussare alla porta o suonare il campanello, eventuali rumori esterni devono essere attenuati: la preparazione dell'ambiente in cui si medita deve essere tale da garantire l'isolamento, e già questo, nelle attuali condizioni sociali, può essere un obiettivo non facile da ottenere. Si può anche meditare di notte, quando tutto è più tranquillo, sdraiati nel proprio letto, purché si possa restare svegli senza scivolare nel dormiveglia. L'impegno iniziale consiste nel riuscire a mantenere questo stato almeno per mezz'ora, eventualmente frazionandolo con brevi intervalli di non più di un minuto. Gli occhi possono restare aperti, semiaperti o chiusi: tenere gli occhi chiusi facilita, soprattutto all'inizio, l'osservazione del flusso mentale, a condizione di non assopirsi.

Una volta iniziata la meditazione, l'attenzione vigile consiste nel mettere a fuoco la coscienza su tutti gli eventi psichici che entrano nel suo raggio d'azione, osservandone le trasformazioni più o meno caotiche, senza esercitare alcuna azione inibitrice o di controllo nei confronti del flusso psichico. L'unica cosa veramente importante, in questa fase preliminare, è che l'io sia cosciente di stare osservando, mediante la coscienza, il flusso psichico determinato dall'attività mentale. Di norma chi inizia a meditare osserva un flusso disordinato e piuttosto caotico di eventi psichici invadere la coscienza: pensieri, ricordi, immagini, desideri, preoccupazioni, fantasie, programmi, ecc. si susseguono davanti all'io che li osserva. Non occorre far niente, il semplice fatto di osservare il flusso psichico è sufficiente a produrre un doppio effetto. Anzitutto, di quando in quando la coscienza metterà a fuoco anche l'io, in quanto soggetto osservatore: si produrrà così un pensiero, o una forma di percezione immaginativa, che si inserirà nel flusso psichico attestando che «io sto osservando». Inoltre l'io comincia progressivamente a differenziarsi ed a distaccarsi rispetto al flusso psichico osservato. Questo esercizio va eseguito con costanza, giorno dopo giorno, per un sufficiente periodo di tempo, finché non produce evidenti e benefici risultati.

Sebbene uno degli scopi della meditazione sia quello di creare uno stato mentale di piacevole beatitudine, è necessario un certo tempo affinché questo avvenga. La fase iniziale, che si protrae per qualche mese o per qualche anno – a seconda delle modalità di funzionamento della nostra mente e delle risorse di cui l'io può disporre – non è in sé sgradevole, ma non si può nemmeno dire che sia particolarmente piacevole: qualcuno potrà trovarla rilassante, qualcun altro potrà osservare, tra gli altri pensieri e sensazioni del flusso psichico, uno che gli suggerisce di impiegare diversamente, ed in modo più gratificante, il proprio tempo libero. Se siamo sufficientemente determinati, osserveremo questo pensiero/desiderio con un particolare interesse, in quanto evidenzia in modo esemplare come la psiche cerca di irretire l'io. In ogni caso lo stato meditativo deve essere rilassato, lasciando che il flusso psichico segua il suo corso e che la coscienza lo registri in una condizione che potremmo definire di indifferente interesse.

Dopo qualche tempo l'io potrà cominciare a valutare il particolare effetto positivo, neutro o negativo associato ad ogni esperienza psichica: per esempio, un ricordo potrà essere gradevole o penoso, ed un pensiero potrà essere neutro sotto il profilo del coinvolgimento emotivo. Anche un'immagine mentale può suscitare un'emozione, e – procedendo nell'attività di meditazione – si possono registrare stati mentali in sé piacevoli, caratterizzati da una felicità emotiva talora molto intensa. Altre volte la reazione mentale potrà essere di noia o di irritazione di fronte al continuo ripresentarsi di eventi psichici non graditi o poco interessanti. Queste dinamiche psichiche, ben registrate dalla nostra coscienza, ci aiutano a ben comprendere come tutto quello che noi sperimentiamo interiormente dipenda dalla nostra attività mentale (a sua volta determinata dall'attività del cervello), ed anche ogni associazione automatica tra determinate esperienze psichiche e gli eventi del mondo esterno, definiti come reali, dipende dai programmi mentali che ci sono stati trasmessi ed in base ai quali funzioniamo. In questo modo l'io cosciente si accorge di essere qualcosa di diverso e di autonomo rispetto all'attività mentale che incessantemente lo coinvolge e lo controlla: il nostro stesso corpo ed il nostro cervello diventano così, per il nostro io cosciente, l'equivalente di fattori ambientali con cui esso si deve confrontare e che cerca di mantenere sotto controllo, anche se con risultati più o meno soddisfacenti, ma con i quali non si identifica.

Progressi nella meditazione

Nella fase di valutazione sotto il profilo emotivo delle dinamiche psichiche – che non comporta mai attività di giudizio o di repressione – è particolarmente interessante riflettere sugli stati mentali che sorgono in conseguenza dell'appagamento o del mancato appagamento dei desideri. I desideri stessi vanno considerati come eventi psichici che coinvolgono l'io più o meno intensamente, talvolta fino a dominarlo completamente. In quanto tali, anche i desideri possono far parte del flusso psichico che si presenta durante la meditazione. Le dinamiche associate ai desideri sono spesso enigmatiche, e rappresentano l'ostacolo maggiore nei confronti della liberazione dell'io, anche perché – col venir meno di un desiderio – può ridursi la stessa tensione che ci spinge a vivere. Per esempio, il desiderio sessuale – che ha un carattere tipicamente iterativo perché, una volta soddisfatto, dopo un po' si ripresenta – può determinare reazioni emotive positive o negative, ma quando, con l'avanzare dell'età, si riduce sensibilmente, può essere sostituito dal desiderio di provarlo di nuovo con la stessa intensità di quando si era giovani, tanto che molte persone sono disposte a sottoporsi a pratiche di ogni genere pur di illudersi di poter essere di nuovo giovani.

Del resto, quando si diventa anziani, il desiderio di poter riavere le energie e le facoltà mentali della gioventù si può manifestare su diversi fronti, e si ricollega al più generale desiderio di vivere, tanto più intenso quanto più la nostra vita ci appare interessante ed emotivamente appagante. Un esempio decisamente umoristico del potere di coinvolgimento di certi desideri è rappresentato da quelle guide spirituali – in genere lama tibetani o guru indiani – che, venuti in occidente per insegnare tecniche di meditazione, finiscono col richiedere prestazioni sessuali alle loro allieve, naturalmente giovani e fisicamente attraenti: in merito alla presa di coscienza di un normale desiderio umano, niente da dire, ma in questi casi l'insegnante, dopo la meditazione, passa all'azione!

Col progredire della meditazione la coscienza diventa sempre più chiara, efficiente e recettiva, e l'io può iniziare un'attività di riflessione critica intelligente sugli eventi psichici messi a fuoco dalla coscienza. Il ruolo di osservatore distaccato consente all'io di liberarsi progressivamente dal coinvolgimento automatico e dall'identificazione con i prodotti della psiche. La riflessione critica è molto importante perché consente all'io di diventare ben cosciente dell'effetto che ogni evento psichico esercita su di esso. Infatti è ben comprensibile come l'io sia incline ad evitare il coinvolgimento da parte di quelle sintonie psichiche che esercitano su di esso un effetto emotivo sgradevole o doloroso, ma nei confronti dei desideri che lo allettano con emozioni e lusinghe gradite e piacevoli l'io, prima di passare all'azione, deve prendere coscienza delle dinamiche con cui il meccanismo di adescamento viene messo in atto. Ovviamente, si tratta di un modo di funzionare del tutto naturale, ma anche la sofferenza e la morte sono eventi naturali. Senza una fase di riflessione intelligente la meditazione può avere comunque effetti benefici, rilassanti e positivi per l'evoluzione della personalità, ma il processo di liberazione dell'io risulta più lento. Tramite la riflessione l'io non vuole giudicare o rimuovere le istanze psichiche, ma mette in atto una ricerca della conoscenza dei meccanismi che lo vincolano a determinate sintonie psichiche.

L'ampliamento ed il perfezionamento della coscienza fanno sì che l'io si renda conto che il suo coinvolgimento nella vita umana è determinato dalle sintonie psichiche con le quali è connesso ed in base alle quali è portato ad agire. Sotto questo aspetto, la meditazione è per sua natura una tecnica che sospende l'azione. A differenza del sonno – un altro stato nel quale l'azione è sospesa – durante la meditazione l'io è vigile e presente, e la coscienza è attiva. Quali risultati può produrre la meditazione, dopo qualche tempo che la si pratica? A questa domanda non posso onestamente rispondere, per questa ragione: mentre si può parlare oggettivamente della meditazione come tecnica, ciò che accade all'io cosciente praticando la meditazione è un'esperienza intrinsecamente soggettiva, e dunque non sono in grado di dire – o di sapere – se quello che si verifica in me accadrà, negli stessi termini, anche in un altro. Uno dei limiti che si riscontrano a volte negli insegnanti di meditazione è che non si limitano a spiegare le tecniche, ma ad un certo punto cominciano a suggerire anche i risultati, stimolando così un'attesa incentrata su una forma di desiderio.

Comunque, in base alla mia esperienza, posso dire che la meditazione porta alla scoperta ed alla valorizzazione dell'io in quanto spirito – o in quanto entità associata allo spirito – e sotto questo aspetto ognuno potrà fare esperienza del proprio io, con modalità che possono essere diverse da una persona all'altra. Quando la coscienza ha raggiunto un sufficiente livello di efficienza, di limpidezza e di capacità di mettere a fuoco ciò che entra nel suo campo visivo, quasi automaticamente ruota, per così dire, di 180°, ed anziché mettere a fuoco le ordinarie esperienze psichiche, si concentra sul soggetto dell'esperienza, cioe l'io. Questo evento non è vuoto, almeno per come mi è dato di sperimentarlo, ma è accompagnato da sintonie psichiche di una qualità del tutto diversa da quelle ordinarie, tanto nello stato di veglia quanto in quello di sogno. E qui termina la mia testimonianza, proprio in ragione del carattere sostanzialmente soggettivo di tali esperienze. Ognuno è libero dunque di verificare autonomamente dove lo condurrà il percorso iniziato praticando la meditazione.

Un aspetto importante della meditazione è rappresentato dalla constatazione – che può avere l'effetto di una vera e propria scoperta illuminante – che la psiche stimola l'io all'azione: in effetti, la nostra cultura occidentale si fonda sul mito dell'azione, che trova il suo culmine nella complessità delle realizzazioni tecnologiche. A parte i periodi di sonno, noi siamo continuamente portati ad agire seguendo le dinamiche psichiche. La meditazione interrompe questo flusso continuo di azioni, mantenendo una condizione di non-fare che permette di osservare le dinamiche della psiche. L'attività creativa intellettuale si distingue dalla meditazione anzitutto perché è finalizzata al raggiungimento di qualche obiettivo, e poi perché deve essere tradotta in qualche forma di azione, come lo scrivere o il parlare, affinché i risultati delle elaborazioni mentali possano essere trasferiti in ambito sociale. Senza nulla togliere alle esigenze dell'azione come strumento di quel processo trascendente che determina ciò che chiamiamo il progresso umano, sarebbe opportuno che le persone potessero dedicare un po' del loro tempo alla meditazione: la distinzione tra un oriente meditativo e contemplativo ed un occidente dinamico e produttivo oggi non ha più senso (ammesso che ne abbia mai avuto), e l'equilibrio umano richiede tanto l'azione quanto la meditazione.

Meditazione e coscienza

Uno degli effetti della meditazione consiste nel miglioramento della qualità della coscienza. Se è vero che l'io, in quanto soggetto cosciente, entra in contatto con le esperienze psichiche, il normale stato di coscienza quotidiano è quasi sempre insufficiente a mettere a fuoco con chiarezza tanto l'esperienza psichica, quanto il coinvolgimento dell'io da parte di quell'esperienza. Di solito la coscienza si limita a registrare l'evento psichico quel tanto che basta per attivare una reazione o un programma di comportamento da parte dell'individuo, e per inserirlo nella memoria a breve o a lungo termine nei casi più importanti: si tratta di attività in gran parte automatizzate, delle quali l'io, spesso, non si rende nemmeno conto. La meditazione incrementa la potenza della coscienza, così come l'esercizio aumenta l'efficienza muscolare, rendendola capace di mettere a fuoco con chiarezza ed intensità tanto l'esperienza psichica sulla quale viene concentrata l'attenzione, quanto il coinvolgimento e la reazione dell'io nei confronti di quell'esperienza. In questo modo l'io non viene mai raggirato e, per così dire, preso alle spalle dalle dinamiche psichiche, ma è messo in grado di conoscere esattamente il suo grado di coinvolgimento, di condizionamento o di condiscendenza. Può così avere inizio il processo di distacco e di liberazione dell'io.

La coscienza, così potenziata ed irrobustita, assume un ruolo fondamentale diventando il presupposto necessario ed indispensabile per l'esistenza. L'io stesso esiste solo in quanto esiste la coscienza, o – per essere più precisi – l'io esiste per se stesso solo in quanto esiste quell'aspetto individuale della coscienza che lo riguarda. L'esistenza della coscienza individuale può essere paragonata al funzionamento di un telefono cellulare (mobile phone) il quale, tra i milioni di trasmissioni in forma di pacchetti di onde radio modulate in frequenza contemporaneamente presenti nell'etere in un determinato momento, è in grado di ricevere esclusivamente quella frequenza che gli è stata assegnata. È evidente che esistono miliardi di coscienze individuali, e dunque miliardi di io, solo a livello di esseri umani viventi, e dunque sorge un problema: in relazione a questa massa di io coscienti, quale importanza può avere il singolo io, al quale tuttavia ognuno di noi sembra attribuire un ruolo fondamentale?

La coscienza, nel suo aspetto individuale, è un frammento che sintonizza solo un fascio limitato di esperienze psichiche, che l'io cosciente sperimenta e può memorizzare, almeno in parte. In questo sito sono partito dal presupposto che il senso di esistenza e di identità del singolo io sia determinato proprio dal suo essere cosciente. Lo stato di coscienza, a sua volta, deve poter essere memorizzato almeno per un certo tempo, altrimenti si avrebbe una discontinuità costante che invaliderebbe l'esistenza stessa dell'io cosciente. Cosa ne sarebbe del nostro io se sentissimo qualcosa (un'emozione, un'idea, una sensazione) per dimenticarla un'attimo dopo? Questa potrebbe essere la condizione dei bambini nei primi mesi di vita, durante i quali non si è ancora formata una continuità della coscienza e dunque non c'è un io. Ma quando l'io prende coscienza della propria esistenza, diventa cosciente dell'esistenza di miliardi di altri io, delle cui esperienze psichiche tuttavia non può fare esperienza diretta. Si accorge inoltre delle sostanziali differenze che possono esservi tra gli io di due persone: tali differenze sono dovute soprattutto alle sintonie psichiche che coinvolgono ciascuno degli io e lo controllano in misura maggiore o minore, determinandone il modo di sentire ed il comportamento, ma anche – almeno in parte – all'influenza di un quid di diversa natura che può orientare il percorso della vita individuale.

Ma c'è dell'altro: il riconoscimento dell'esistenza di attività inconsce della nostra mente, o dell'influenza sulla nostra vita di entità – come quelle che abbiamo chiamato spiriti – la cui coscienza non coincide con quella dell'io, ci induce a chiederci se possiamo considerare fondata l'ipotesi che la nostra esistenza coincida con quella dell'io cosciente. Evidenzio il termine nostra, perché è chiaro che l'esistenza, in generale, va avanti anche senza il nostro io. L'ipotesi che alcuni stati di beatitudine estatica comportino la perdita di autocoscienza dell'io è stata avanzata da più parti: per fare un esempio, nell'ambito del sistema filosofico indiano dell'Advaita Vedanta alcuni pensatori ritenevano che lo stato di coscienza perfetto fosse quello del sogno senza sogni, durante il quale l'io cosciente è del tutto assente. Bisogna però riconoscere che uno stato di estasi, come il samadhi, è pur sempre uno stato cosciente la cui esperienza viene registrata nella memoria di qualcuno, altrimenti non se ne saprebbe assolutamente nulla, mentre di ciò che accade durante il sonno profondo (senza sogni) non resta nessuna traccia mnestica.

A mio parere l'esistenza di un soggetto cosciente, l'io, è fondamentale per la sperimentazione e la registrazione di qualsiasi esperienza psichica, ordinaria o trascendente. Ovviamente l'io stesso sperimenta la propria esistenza tramite la coscienza – ed in particolare l'autocoscienza – mediante la quale può inoltre attingere alla memoria delle esperienze già vissute e registrate. Dunque l'evoluzione del funzionamento della coscienza comporta anche una diversa autopercezione dell'io, e quindi una sua trasfromazione. Mediante un processo di interazione reciproca, l'io attiva, tramite la propria volontà, delle tecniche volte ad incrementare la qualità della coscienza e ad ampliare il suo raggio d'azione, e la coscienza, a sua volta, illumina l'io in merito allo stato di esistenza dello stesso alla luce di sintonie psichiche di qualità più evoluta rispetto a quelle ordinarie. Io ritengo che dietro questo processo vi sia l'azione ispiratrice ed orientatrice dello spirito, il quale tenta – per quanto le sue prerogative e le sue risorse glielo consentono – di far evolvere l'io cosciente fino a liberarlo dai limiti imposti dalla condizione umana. E, come ho detto, la meditazione è una tecnica valida ed efficace per migliorare le prestazioni della nostra coscienza.


 

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